QUI GLI 80 ANNI DA HIROSHIMA E NAGASAKI. E' URGENTE ABOLIRE LA "DETERRENZA"!
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A 80 ANNI DA NAGASAKI - PROPOSTA DAI DISARMISTI ESIGENTI, RIFLESSIONE ONLINE SUI PERCORSI PER ABOLIRE LA DETERRENZA -----
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ANCHE DOPO MORTI SI COLPISCE E SI DEVASTA: PERIMETR E ERCS, I SISTEMI HORROR PER LA RAPPRESAGLIA SICURA
Il dialogo tra l'ex presidente USA Donald Trump e il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo Dmitry Medvedev ha riportato alla ribalta uno degli aspetti più oscuri e inquietanti della deterrenza nucleare: i sistemi di risposta automatica. Questi meccanismi, pensati per garantire una rappresaglia anche dopo un "first strike" nemico che annienti la leadership, sono il simbolo della logica perversa della mutua distruzione assicurata (MAD).
Perimetr: La "Mano Morta" russa
Il sistema russo Perimetr, conosciuto in Occidente come "Dead Hand", è l'esempio più estremo di questo concetto. Sviluppato durante la Guerra Fredda, il suo scopo è garantire che un attacco nucleare preventivo contro la Russia non possa impedire un contrattacco devastante.
Una volta attivato dal comando centrale russo in un momento di crisi estrema, Perimetr si mette in stand-by per monitorare l'ambiente circostante. Non è un sistema sempre attivo, ma viene "acceso" solo quando si teme un attacco. Se i sensori rilevano segnali di un'esplosione nucleare, come radiazioni, variazioni della pressione atmosferica, attività sismica o interruzioni delle comunicazioni, e non ricevono alcun segnale di annullamento dal comando centrale, il sistema presume che la leadership sia stata distrutta.
A quel punto, Perimetr lancia automaticamente un missile speciale, il 15P011, che non trasporta una testata nucleare ma un trasmettitore. Questo missile vola sopra il territorio russo e trasmette ordini di lancio automatico a tutti i silos e alle unità missilistiche strategiche ancora operativi. Questi missili vengono quindi lanciati senza bisogno di un ulteriore input umano, garantendo la rappresaglia. Il sistema è un esempio di "fail-deadly": se tutto il resto fallisce, Perimetr agisce comunque.
ERCS: Il "Dead Hand" americano
Anche gli Stati Uniti hanno esplorato concetti simili, sebbene con un approccio leggermente diverso. L'Emergency Rocket Communications System (ERCS) era un sistema di comunicazione di emergenza progettato per garantire che i comandi del presidente potessero raggiungere le forze nucleari strategiche anche in caso di distruzione del comando centrale.
Il sistema ERCS utilizzava missili Minuteman non armati per lanciare in orbita speciali trasmettitori radio. Questi trasmettitori, una volta in orbita, avrebbero trasmesso messaggi pre-registrati alle forze nucleari, ordinando un contrattacco. La differenza cruciale rispetto a Perimetr era che ERCS richiedeva sempre un comando esplicito da parte della leadership americana per essere attivato. Non era un sistema completamente automatico come il suo omologo russo; si trattava piuttosto di un meccanismo per aggirare la distruzione delle infrastrutture di comunicazione, non un sistema per lanciare missili in autonomia.
La logica della deterrenza e i suoi rischi
Sia Perimetr che ERCS riflettono la logica della deterrenza nucleare: l'idea che la minaccia di una rappresaglia sicura, anche dopo la propria morte, possa scoraggiare qualsiasi attacco. Il messaggio è chiaro: "Se ci colpite, sarete colpiti anche voi, non importa cosa succeda".
Tuttavia, questi sistemi automatici mettono in luce i rischi insiti in questa strategia. Essi riducono il tempo a disposizione per il processo decisionale e aumentano il rischio di un lancio accidentale, causato da un falso allarme o da un guasto tecnico. L'escalation verbale tra Trump e Medvedev ha ricordato al mondo che, nonostante la fine della Guerra Fredda, questi meccanismi sono ancora potenzialmente attivi e minacciosi.
La loro esistenza solleva un interrogativo fondamentale: fino a che punto possiamo affidare la sicurezza globale a sistemi progettati per agire al di là del controllo umano?
La minaccia di questi sistemi di risposta automatica, sebbene inquietante, è uno degli aspetti centrali della complessa e pericolosa "partita" della deterrenza nucleare. Un gioco che dobbiamo al più presto smettere di giocare!
QUI un approfondimento sui sistemi di rappresaglia automatici post-mortem
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PICCOLO RIEPILOGO DEL GIOCO DI MINACCE TRA I SUPERBULLI TRUMP E MEDVEDEV; E UN PO' DI RASSEGNA STAMPA SULLA VICENDA E LE SUE IMPLICAZIONI (3 agosto 2025)
Partiamo, per poi entrare più dettagliatamente nell'argomento, dalla decisione del presidente USA Donald Trump di schierare sottomarini nucleari "più vicino alla Russia". Appare, in prima battuta, come una risposta roboante a Dimitri Medvedev, numero 2 del Consiglio di sicurezza russo, che aveva scritto su X che "ogni ultimatum degli USA è un passo verso la guerra". Si partiva dai 10 giorni intimati da Trump a Mosca per l'inizio di negoziati sull'Ucraina. C'era stata una sua prima replica su Truth: "Medvedev stia attento a quel che dice, sta entrando in territori molto pericolosi". Che aveva suscitato una ribattuta piccata e sarcastica del russo: "Trump si ricordi della pericolosità della nostra Mano Morta".
Il riferimento inquietante è a un sistema automatico di risposta nucleare sviluppato durante la Guerra Fredda dall’Unione Sovietica. Il suo nome ufficiale è “Perimetr”, ma in Occidente è noto, appunto, come “Dead Hand”. Si tratta del progetto di lanciare automaticamente missili atomici di rappresaglia nel caso in cui la leadership sovietica sia annientata da un improvviso "first strike" nemico. Funziona come una sorta di “ultima risorsa”: se non arrivano segnali vitali dal comando centrale, il sistema può attivarsi e ordinare un contrattacco nucleare. L’obiettivo sarebbe garantire la mutua distruzione assicurata, scoraggiando qualsiasi attacco preventivo contro Mosca. Il messaggio è stato interpretato a Washington come una minaccia implicita, un modo per ricordare agli Stati Uniti che la Russia conserva capacità di rappresaglia anche in scenari estremi.
Trump, come sappiamo, ha ordinato il posizionamento di due sottomarini nucleari “in regioni appropriate”, prendendo le parole di Medvedev molto di più di semplici "provocazioni". Ha sottolineato che “le parole sono importanti e possono avere conseguenze indesiderate”.
Questa escalation verbale tra due figure di spicco ha riportato alla ribalta vecchi fantasmi della Guerra Fredda, con toni apocalittici e riferimenti a sistemi che, si spera, siano presto relegati nella pattumiera della Storia. Ma questo dipende dalla nostra vigilanza e dal nostro impegno per arrivare ad abolire, con strategie e iniziative adeguate, la "deterrenza"!
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Il teatrino di botta e risposta sopra descritto succede mentre Putin, in visita da Lukaschenko, il suo vassallo bielorusso, annuncia che gli Oreshnik a medio raggio verranno schierati in Bielorussia entro fine anno. E qui entriamo nel campo più serio del ritorno degli euromissili con annessi scenari di guerra limitata di teatro.
Il generale Vincenzo Camporini, ex capo di Stato maggiore della Difesa, esperto di strategia militare e geopolitica, sul Corriere della Sera del 3 agosto 2025, dà la sua valutazione: "Le minacce sono retorica ma rischiano di innescare la reazione del Cremlino".
Ecco i passi salienti della sua intervista al giornalista Riccardo Frignano:
"Da quando esiste la deterrenza nucleare, i sottomarini americani e russi, ma anche quelli cinesi, francesi e britannici, sono sempre in crociera ... Quindi credo che le ultime dichiarazioni del presidente USA abbiano poco senso, se non quello della retorica politica ... E' un gioco, non una cosa seria, che potrebbe tuttavia spingere la Russia a mettere in allerta la sua flotta sottomarina nucleare. E questo non sarebbe cosa da poco" (...)
I sottomarini si spostano di continuo oggi come ieri. Sono un fattore fondamentale della cosiddetta triade che compone la deterrenza strategica insieme con i bombardieri e le rampe di terra...
Sono particolarmente micidiali... perché di difficilissima localizzazione e identificazione ... Il confronto tra sottomarini USA e russi può avvenire ovunque nel mondo, dall'Artico al Pacifico, anche perché alla fine i missili nucleari possono essere lanciati da 6-7.000 km, quindi con il battello in un luogo sicuro e non necessariamente davanti al territorio nemico...
ll Mediterraneo è tuttora scenario di confronto, con le nostre unità (italiane - ndr) che danno la caccia ai sommergibili convenzionali d'attacco russi che non sono però nucleari".
Sul Corriere della Sera della stessa data (3 agosto) registriamo infine l'intervista di Marco Imarisio a Evgenij Savostyanov, ex dirigente del KGB, che dichiara: "Non vedo escalation, ma Mosca è da temere".
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Il MANIFESTO del 3 agosto in prima pagina riporta questo richiamo all'articolo di Sabato Angieri a pagina 5: UCRAINA, «Sottomarini atomici», ma Mosca minimizza.
L’analista dice che «sta facendo i capricci», il generale che «l’ordine non l’ha mai dato», l’ex militare e deputato che «non sono una minaccia»: il roboante annuncio di Trump sulla mobilitazione di due sottomarini nucleari, in Russia viene accolto con freddezza.
Il silenzio di Mosca su Trump e i sottomarini nucleari Usa
Il Cremlino forse sospetta una mossa di Washington per accelerare i negoziati con l’Ucraina
"(E' plausibile che Trump rispondendo a Medvedev con i sottomarini abbia lanciato) un monito a Putin per accelerare le trattative sulla tregua in Ucraina in vista dell’ultimatum dell’8 agosto per i dazi alla Russia e per far sapere agli altri che commerciano con Mosca (India e Cina in primis) che gli Stati uniti non scherzano. (...) Kim Jong un.
IL CREMLINO, per ora, non ha risposto. Le uniche repliche sono giunte dall’ex generale e deputato della Duma Leonid Ivlev - i sottomarini «non rappresentano una minaccia per la sicurezza russa» e «siamo a conoscenza delle manovre Usa» - e dal parlamentare Viktor Vodolatsky, che invece ha alzato un po’ i toni: «È inutile cercare di spaventare la Russia, che dispone di sottomarini nucleari molto più numerosi e meglio equipaggiati negli oceani del mondo e sta prendendo di mira la flotta statunitense». Non hanno parlato Putin, né il ministero degli Esteri, né la Difesa o altre figure di rilievo. E questo silenzio vuol dire molto di più delle sparate di Medvedev".
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Anche per LA STAMPA (3 agosto 2025) in prima pagina c'è un richiamo all'articolo di Stefanini: MINACCE NUCLEARI, L'ARMA DI DONALD PER NEGOZIARE E I RISCHI CON PUTIN e ai pezzi delle pagine 8 e 9.
Alberto Simoni scrive di: ESCALATION SOTTO I MARI
"Al duplice avvertimento di Donald Trump - sanzioni in mancanza di un cessate il fuoco l’8 agosto e avvicinamento verso la Russia di due sottomarini con dotazioni nucleari di classe Ohio - il presidente russo replica mostrando il missile Oreshnik (nocciolo), un vettore balistico ipersonico a medio raggio che entro fine anno potrebbe essere schierato anche nel Paese-satellite di Mosca, la Bielorussia.
Il braccio di ferro fra Usa e Russia avviene su un doppio piano: quello dei gesti è sotto gli occhi di tutti così come quello del botta e risposta fra Trump e l’ex presidente, e super falco russo, Dmitry Medvedev che parla di ultimatum come «passo pericolo verso una guerra contro gli Usa». Trump ha detto di aver ordinato il dispiegamento dei sottomarini «per questioni di sicurezza nazionale» e ha accusato Medvedev di usare le parole con troppa leggerezza, ma certe «cose portano a conseguenze imprevedibili». Mosca minimizza: «I sottomarini non sono una minaccia». Nel botta e risposta, spicca il silenzio di Putin. Certo i missili ipersonici mostrati valgono più delle parole. (...)
Stufo e frustrato è il presidente Trump nei confronti di Putin. In un’intervista alla tv conservatrice Newsmax, The Donald ha definito Putin «un tipo tosto» e ha ricordato di come nonostante le conversazioni con lui siano state sempre positive, poi riprendeva a bombardare i civili. Da qui la riduzione dell’ultimatum da 50 giorni a 10 (scadenza 8 agosto) per le sanzioni. Il presidente Usa ha anche riconosciuto che Putin «se la cava bene con le sanzioni, sa come evitarle».

Abbiamo quindi l'analisi di Stefano Stefanini: Lo scontro segna la fine dell’autodisciplina. Ha iniziato Mosca con le bombe tattiche in Ucraina
Non c’è deterrenza senza diplomazia così si torna alla paura nucleare
"Resta il fatto che Mosca e Washington non si scambiava
no dirette minacce nucleari da decenni. Già ben prima della fine della Guerra Fredda, le due Superpotenze avevano adottato un codice di condotta e di linguaggio che teneva lontano lo spettro della guerra nucleare. Erano entrambi ben consapevoli del rischio di “mutua distruzione assicurata” (“Mad”). Forse proprio perché ben consapevoli volevano evitarla. Comprensibilmente. Ci furono innalzamenti di tensione, in particolare nel 1973 a margine della guerra israelo-egiziana del Kippur, e falsi allarmi – in privato, Zbigniew Brzezinski raccontava istantanei preparativi per un’evacuazione della Casa Bianca, subito abortita, durante la presidenza Carter. Ma dalla crisi dei missili cubani del 1962 in poi russi ed americani si sono ben guardati dallo sbandierare la famigerata lettera “n”. Si sono invece adoperati per una rete pattizia di riduzione e controllo armamenti, ormai smantellata tranne che per il New START, in scadenza fra sei mesi con grosse incognite sulla reciproca volontà di rinnovarlo. Due giorni fa, sullo sfondo di una guerra al centro dell’Europa, si compiva il 50° anniversario dell’Atto Finale di Helsinki che stabilizzava i rapporti fra i due blocchi, Nato e Patto di Varsavia. Altri tempi.
Il confronto verbale di questi giorni non è in alcun modo paragonabile alla crisi dei missili cubani. Segnala, tuttavia, un passo nel progressivo deterioramento dell’autodisciplina auto-impostasi dalle due massime potenze nucleari. Il cattivo esempio viene da Mosca che ha ventilato spesso la minaccia di uso di armi nucleari «tattiche» in connessione con la guerra in Ucraina. Lo ha fatto liberamente il cane sciolto Medvedev, con qualche allusione Putin. Il messaggio di dissuasione della Casa Bianca di Joe Biden fu fermissimo ma sotto la soglia della ritorsione atomica. Fece “de-escalation”. Adesso siamo in escalation. Primo, perché non si parla più delle “bombette” atomiche tattiche in Ucraina, ma delle armi nucleari strategiche che sorvolano l’Atlantico. Con gli arsenali in possesso di Usa e Russia, possono distruggere l’intero pianeta (non ne abbiamo altri). Secondo, perché alla mezza tacca Medvedev risponde il presidente degli Stati Uniti spostando due sommergibili atomici e aggiungendo: «Le parole sono importanti e possono condurre a conseguenze non volute». Donald Trump è il presidente che voleva mettere fine alle guerre. Aggredì il malcapitato Volodymir Zelensky accusandolo di causare la terza guerra mondiale. Non ha cambiato intenzione. Ma non è riuscito a far cessare alcuna guerra. In Ucraina, cozza contro l’opposta volontà di Vladimir Putin che, convinto di vincere, la vuole continuare. Vicolo cieco. Come uscirne? Irritato da Medvedev, Trump risponde “nucleare per nucleare” alzando il livello dello scontro. Ha già minacciato sanzioni. È il suo modus operandi: accrescere la pressione per arrivare al “deal”. Così si fa sul mercato immobiliare di Manhattan. Ma i grattacieli della Quinta Strada non sono i silos dei missili a testata atomica. L’escalation verbale rivela una pericolosa perdita di paura del rischio nucleare da parte chi lo può scatenare e, pertanto, lo dovrebbe temere. Riflette l’oblio delle opinioni pubbliche. Per le generazioni post guerra fredda, i Millenial e la Z, è l’ultima delle preoccupazioni. Non sanno. I governanti che sanno, anziché guidare, si accodano. Con l’atomica non si scherza. Un consiglio a Dmitry e a Donald? Rivisitare la crisi del 1962 che portò il mondo sul ciglio della catastrofe. Per Dmitry scorrendo le memorie dentro In Confidence di Anatoly Dobrynin, sempiterno ambasciatore sovietico in Usa. Per Donald dedicando una serata a 13 Giorni, film del 2000 di Roger Donaldson. Raccontano lo stesso copione, l’uno dall’esterno, l’altro dall’interno della Casa Bianca. Dove rivelano una maturità strategica reciprocata al Cremlino. Oggi latitante. Altri tempi. —

