ELENCO DEGLI ARTICOLI IN ORDINE CRONOLOGICO DAL PIU' AL MENO RECENTE
ELENCO DEGLI ARTICOLI IN ORDINE CRONOLOGICO DAL PIU' AL MENO RECENTE
TERZO INCONTRO DEGLI STATI PARTE DEL TPNW - trattato di proibizione delle armi nucleari (New York City dal 3 marzo al 7 marzo 2025)
Preceduto dall'incontro attiviste/i ICAN (2 marzo 2025)
Appello ai singoli e ai collettivi pacifisti/disarmisti per rafforzare la delegazione organizzata dai Disarmisti esigenti
Maggiori info su:
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Saremo direttamente presenti a questo appuntamento del 3MSP (Terzo meeting degli Stati parti), Disarmisti Esigenti & partners (es. LOC, Costituente Terra) con una nostra delegazione a New York, portando un working paper, ispirato alla formula (che spiegheremo) ICAN+NFU.
Questo nuovo documento di lavoro, in via di preparazione, sarà un aggiornamento di quello preparato al 2 MSP (Secondo Meeting degli Stati Parti), sotto riportato, per dare qualità alla voce della società civile rappresentata da ICAN, la campagna internazionale per la proibizione delle armi nucleari, premio Nobel per la pace 2017. Lavoriamo per il coordinamento di ICAN con la Campagna NFU (No First Use) nel testo stesso del Trattato, percorso che dovrebbe meglio definire e "flessibilizzare" la categoria degli "Stati in conversione". Ecco quindi spiegata la formula ICAN+NFU.
Il TPNW, al momento ratificato da 74 Stati (nel 2017 venne adottato da 122 Stati), è il primo trattato internazionale legalmente vincolante che, per i sottoscrittori, rende illegali lo stesso possesso delle armi nucleari mirando alla completa loro proibizione e tracciando un percorso verso la loro eliminazione totale.
Il Trattato riconosce e condanna le catastrofiche conseguenze umanitarie e ambientali delle armi nucleari, promuovendo un approccio basato sul diritto umanitario e sulla protezione delle generazioni future.
Anche se le principali potenze nucleari non hanno aderito al trattato, esso esercita una pressione morale e politica su di esse: la “stigmatizzazione” degli strumenti di morte incoraggia il disarmo e la non proliferazione.
L'universalizzazione del TPNW sarà frutto di una strategia di diplomazia popolare capace di coinvolgere le stesse potenze nucleari, a partire dalla presa d'atto della centralità del rischio costituito dalla deterrenza, secondo noi un “genocidio programmato”, più convincente, a nostro parere, rispetto alle argomentazioni giuridiche ricavate dal diritto umanitario di guerra.
Per sottoscrivere online il documento dei Disarmisti esigenti:
https://www.petizioni24.com/ican-nfu
La delegazione accreditata da ICAN è completabile con nuovi nominativi da comunicare - con una e-mail a coordinamentodisarmisti@gmail.com - entro il 26 febbraio 2024.
Gli aderenti ai gruppi disarmisti, pacifisti, nonviolenti sono invitati a farne parte - spese di viaggio e di soggiorno a loro carico - in considerazione di due caratteristiche notevoli dell'evento cui si dovrebbe partecipare:
1) con gli inevitabili limiti pur sempre riscontrabili, la Campagna ICAN può essere valutata come la più importante iniziativa in corso del pacifismo mondiale;
2) numerosi membri ICAN si occupano di educazione alla pace ed essere a New York costituisce una occasione unica per prendere molti contatti di persona con personalità e organizzazioni impegnate su questo terreno.
ICAN è una coalizione globale di circa 700 organizzazioni della società civile che lavorano per l'abolizione delle armi nucleari. Partecipare alle loro riunioni permette ai pacifisti di connettersi con persone da tutto il mondo che condividono i loro stessi ideali, creando una rete di supporto e azione a livello internazionale. Questo rafforza il movimento pacifista globale e aumenta la pressione sui governi per il disarmo nucleare in modo focalizzato; e per il disarmo in generale.
Promotori della delegazione per ICAN+NFU: Disarmisti esigenti & Partners
In vista del secondo Meeting, a New York, presso il Palazzo di Vetro dell'ONU, degli Stati parte del Trattato di proibizione delle armi nucleari (27 novembre - 1 dicembre 2023)
e di appuntamenti successivi per la diplomazia dal baso
Primi firmatari:
Alfonso Navarra (cell. 340-0736871) - Luigi Mosca - Michele Di Paolantonio - Mario Agostinelli - Sandro Ciani - Giovanna Cifoletti - Antonella Nappi - Daniele Barbi - Ennio Cabiddu - Cosimo Forleo - Alessandro Capuzzo – Milly Bossi Moratti - Guido Viale
Per contattare telefonicamente a New York Sandro Ciani : +49 172 148 9551
In vista del Terzo Meeting degli Stati parti, a New York, (3-7 marzo 2025) sempre presso il Palazzo di Vetro dell'ONU, si registrano ulteriori firmatari e adesioni organizzative:
Michele Santoro - Servizio Pubblico
Mimmo Lucano - eurodeputato AVS (in attesa di conferma)
Francesco Lo Cascio (LOC Palermo) e Mons. Giovanni Ricchiuti, presidente Pax Christi Italia
Greta Triassi e Sabina Ciuffini (PTD Lombardia)
Totò Schembari - Pagoda per la pace (Comiso)
Teresa Lapis (WILPF Italia)
Costituente Terra (Paola Paesano farà parte della delegazione che raggiungerà New York)
Olga Karatch di Our House in Lituania, candidata premio Nobel per la pace, farà parte della delegazione.
Jeffrey e Sonia Sachs hanno inviato un messaggio di adesione.
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Per l’obiettivo del disarmo nucleare effettivo, tutti i 9 paesi che possiedono armi nucleari (insieme ai loro alleati) dovrebbero sedersi allo stesso tavolo delle trattative, con l’ONU nel ruolo di mediatrice riconosciuta, avendo compreso che il possesso di armi nucleari costituisce un rischio inaccettabile, in primo luogo per loro stessi. Il pericolo concreto di una possibile “guerra nucleare per errore” va messo in cima alle ragionevoli preoccupazioni di chiunque abbia a cuore la sopravvivenza della specie umana sulla Terra. Se da un lato spetta a questi Stati dotati di armi nucleari prendere questa iniziativa, spetta anche a noi, società civile, aiutarli a raggiungere tale consapevolezza anche mediante una “esigente” pressione dal basso. Negli ultimi tempi questo rischio è ancora aumentato principalmente a causa di due fattori: 1. lo sviluppo delle “mini-nuke”, cioè armi nucleari di potenza intermedia tra quella della bomba di Hiroshima e quella delle armi convenzionali. Queste “mini-armi nucleari” saranno più facili da usare sui campi di battaglia e quindi romperebbero il “tabù” dell’uso delle armi nucleari, con le conseguenze che possiamo facilmente immaginare. 2. il possibile utilizzo degli algoritmi di IA (“Intelligenza Artificiale”) nella rilevazione di attacchi nucleari e, cosa ancora peggiore, nel processo decisionale per un’eventuale ritorsione. Di conseguenza dobbiamo concentrarci principalmente su questi due fattori di rischio per convincere gli Stati dotati di armi nucleari a decidere un disarmo nucleare globale. Quindi, l’adesione universale al TPNW, il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, non dovrebbe più incontrare ostacoli. Come contributo a questo approccio, proponiamo di includere nel testo del TPNW la proibizione delle armi nucleari, qualunque sia la loro potenza. (Possiamo anche ricordare in questo contesto quanto sosteneva Gorbaciov "Se uno Stato vuole essere sicuro, deve prima contribuire a garantire la sicurezza di tutti gli altri Stati": tuttavia, la 'deterrenza nucleare' fa esattamente il contrario!) Proponiamo di lavorare per armonizzare e integrare la Campagna ICAN con la Campagna No First Use (NFU) perché riteniamo importante schiudere e approfondire ammorbidimenti e contraddizioni nel fronte nuclearista, già non del tutto monolitico. Sarebbe apprezzabile che l’adozione ufficiale di dottrine sulla deterrenza che escludano un primo colpo nucleare in qualsiasi circostanza sia accompagnato da misure, sotto controllo IAEA, che rendano più difficile la guerra nucleare per errore, come la deallertizzazione delle testate e la separazione delle stesse dai vettori. Il TPNW già, all’articolo 4, prevede un periodo di conversione e una certa flessibilità nelle forme di adesione da parte degli Stati dotati di armi nucleari e degli Stati che ospitano armi nucleari controllate da un altro Stato. Entro la prossima conferenza di revisione, fissata nel 2027, possiamo stabilire una categoria riconosciuta formalmente di Stati "collaboratori", “fiancheggiatori” (o altro termine similare) del Trattato. Sarebbero Stati non aderenti a pieno titolo ma orientati positivamente verso il percorso della proibizione giuridica, valutato quale strumento utile e opportuno, compatibile con le istanze di sicurezza globale, per giungere a un mondo senza armi nucleari.
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Il percorso TPNW, completata la sua prima fase, è come se, scalando una montagna, avesse raggiunto un rifugio e ora, per raggiungere la cima, ci si trovasse a doversi arrampicare sulla ripida parete costituita dall’opposizione del “club nucleare”.
Ecco che bisogna complessificare i metodi per procedere, che riassumiamo nella formula “ICAN+NFU”.
Prendere atto dell’esistenza delle armi nucleari non significa accettarle e smettere di puntare ad un mondo liberato dalla minaccia della deterrenza “atomica”, nella sua sostanza un “genocidio programmato”.
E questo metodo è già contenuto nel TPNW quando si pone a complemento del TNP.
Nel preambolo del Trattato gli Stati sottoscrittori, infatti, “ribadiscono che l'attuazione completa ed efficace del Trattato di Non Proliferazione delle armi nucleari, che costituisce la pietra angolare del disarmo nucleare e del regime di non proliferazione, ha un ruolo fondamentale per promuovere la pace e la sicurezza internazionali”.
La “pietra angolare” del disarmo nucleare è il TNP!
Il problema è una ulteriore articolazione e flessibilizzazione dell’articolo 4 che già prevede la categoria degli “Stati in conversione”.
Si tratta, studiando la terminologia giuridica più appropriata, di affiancare una ulteriore categoria di Stati, magari in un articolo 4 bis, dopo l’articolo 4 (sotto riportato) che affiancano, non ostili, come fa la NATO, al TPNW considerato un ostacolo al percorso verso il disarmo nucleare (in quanto non attento alle esigenze ineludibili della sicurezza).
Questi Stati “affiancatori”, non aderenti né in conversione rigida, non devono, cioè, essere obbligati a procedure rigide di disarmo, ma devono ammettere/riconoscere che il percorso proibizionista del TPNW è utile e opportuno. Diventano osservatori permanenti delle conferenze TPNW, con diritto di proposta ma non di voto.
La condizione per fare parte di questa nuova categoria di Stati (art. 4 bis o nuovo articolo del TPNW) diventa la dichiarazione di rifiuto del primo uso, in qualsiasi circostanza, delle armi nucleari.
La speranza è di coinvolgere, in questo tipo di identificazione dichiarata e formalizzata, Paesi della NATO come la Germania e potenze nucleari più aperte al disarmo nucleare, ad esempio, per cominciare, la Cina.
Da un articolo, a firma Alfonso Navarra, pubblicato sul sito di PTD:
Sembra del tutto convincente che la proibizione delle armi nucleari, con il Trattato di proibizione ratificato per ora da 73 Stati e valido giuridicamente solo per essi, per diventare qualcosa di più di una stigmatizzazione culturale, deve coinvolgere le potenze nucleari in un percorso di disarmo. Ma non sembra realistico ottenere l’immediata adesione degli Stati nucleari al TPNW: non si tratta di rinunciare all’obiettivo radicale del disarmo totale, si continuerà a lavorare per fare aumentare le ratifiche degli Stati a 74, 75, 76 eccetera; ma con approccio graduale e ben mirato, bisogna indicare la tappa intermedia che potrebbe coinvolgere le nove potenze (includendo Israele). Questa tappa è appunto un accordo sulla dichiarazione di non primo uso, “mai, in nessuna circostanza”, che deve significare concretamente anche deallertizzazione delle testate “atomiche” e separazione delle cariche esplosive dai vettori, con controlli esercitati, come già previsto dal Trattato di Non Proliferazione, dall’Agenzia internazionale per l’Energia Atomica.
Vi sono attualmente 2.000 testate nucleari in stato di prontezza operativa immediata, come pistole puntate senza sicura con i proiettili in canna. La loro deallertizzazione significa non renderle disponibili per un lancio immediato, includendo diverse misure. Si è già accennato alla separazione fisica delle testate dai missili o dagli aerei o natanti che le trasportano. Si può aggiungere la rimozione dei codici di attivazione e la riduzione del personale militare comandato a questa incombenza. Queste misure mirano a ridurre il rischio di un lancio accidentale: la guerra nucleare per errore può scoppiare per vari motivi ed è lì a ricordarcelo il riconoscimento attribuito dall’ONU a Stanislav Petrov, il colonnello sovietico che il 26 settembre 1983 in pratica la impedì non comunicando ai superiori un falso allarme di attacco nucleare da parte dei satelliti. Il 26 settembre come data è appunto riconosciuta dall’ONU come “giornata per l’eliminazione delle armi nucleari”. La deallertizzazione non è il disarmo: adottando la metafora del far west, sarebbe come se i pistoleri continuassero a girare armati, ma con le pistole nel cinturone (anche con i proiettili nel cinturone, non infilati nel tamburo della pistola). Questo comunque allenterebbe di sicuro la tensione promuovendo un clima in cui i negoziati per il disarmo potrebbero andare avanti con maggiore tranquillità.
Collegare gli obiettivi della campagna ICAN (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons) per la proibizione totale delle armi nucleari e della Campagna NO FIRST USE per il non primo uso di tali armi può essere estremamente utile per il movimento per il disarmo.
Ecco perché:
APPENDICE: ARTICOLO 4 DEL TRATTATO DI PROIBIZIONE DELLE ARMI NUCLEARI
Verso la totale eliminazione delle armi nucleari
Nell’approccio da parte delle grandi potenze all’impiego delle armi nucleari, la “risposta flessibile” sostituisce la MAD (Mutua distruzione assicurata) per ragioni tecniche ed ovviamente politiche. L'”equilibrio del terrore” si traduce, con la ricerca ossessiva della parità assoluta degli armamenti, necessariamente in squilibrio per categorie e per territori; il dato di fatto, poi, che tali armi possono sfuggire alla vista o essere distrutte in volo, porta alla logica del primo colpo e quindi anche alla visione di un conflitto che può essere gestito come escalation di mosse e contromosse su spazi mano a mano ampliabili. Le armi possono essere usate sui campi di battaglia, come sta minacciando la Russia in Ucraina un giorno sì e l’altro pure; e il conflitto può allargarsi al “teatro europeo”, come la NATO programma con il suo “first use” ufficiale.
Anche come preparazione al terzo meeting degli Stati parte del Trattato di proibizione delle armi nucleari (New York, marzo 2025), ne intendiamo parlare all’incontro online organizzato per l’8 dicembre del 2024, dalle ore 18:00 alle ore 20:00.
La discussione, introdotta da varie relazioni, l’abbiamo intitolata: “TORNANO GLI EUROMISSILI: TORNA L’INCUBO DELLA GUERRA NUCLEARE LIMITATA AL TEATRO EUROPEO?”
Sunday December 8, 18:00 – 20:00
https://us06web.zoom.us/j/83966819853?pwd=78mudVUWUw2NaN8EmbyI3WJ3HC6tEp.1
Dal punto di vista politico, la MAD dell’inizio della Guerra fredda, con la sua minaccia di distruzione totale in caso di conflitto nucleare, era considerata dai governanti una situazione pericolosa e poco realistica nella gestione delle crisi. La risposta flessibile, invece, con la gamma più ampia di opzioni militari, consente, in teoria, agli strateghi in capo, politici e militari, una risposta pensata come proporzionale alla minaccia. Si ipotizza così di ridurre il rischio di una escalation incontrollata verso una guerra nucleare su vasta scala. Non può essere, da costoro, prospettata una esclusione assoluta dell’impiego delle armi nucleari senza pregiudicare la credibilità della logica della deterrenza, legata alla percezione dell’avversario che si sia disposti a sparare, se necessario. La risposta flessibile, per essere presa in considerazione, deve essere messa sul tappeto geopolitico e mantenere una certa ambiguità. Da un lato, deve comunicare all’avversario che un attacco potrebbe provocare una risposta nucleare, sufficientemente grave da rendere l’aggressione non vantaggiosa. Dall’altro lato, deve evitare di fornire all’avversario segnali troppo chiari e precisi sulle circostanze in cui verrebbe utilizzata l’arma nucleare, in quanto ciò potrebbe incoraggiarlo a calcolare il rischio e a tentare un attacco limitato.
L’equilibrio tra la necessità di mantenere la credibilità della deterrenza e il rischio di una escalation nucleare incontrollata è un dilemma che – noi vorremmo evitarlo in partenza! – continua a sfidare i decisori politici che hanno a disposizione gli apparati nucleari. Ma dovrebbe essere ovvio che il punto di vista disarmista condanni la deterrenza nucleare quale concetto che alla lunga non può stare in piedi. Vogliamo comunque sottolineare che allontanare lo spettro della guerra nucleare per errore non smonta completamente il giocattolo della flessibilità che gli uomini dediti al potere, che è soprattutto potere di dare la morte (leggi Canetti e Fornari), si sono dati.
Dal punto di vista tecnico, la risposta flessibile è stata indotta anche da fattori tecnologici relativi ai progressi soprattutto su due aspetti: 1) la qualità dei sistemi di allarme precoce, cioè – detto terra terra – il potere vedere bombe e missili partire, il più possibile al momento del lancio, con la massima certezza di “vedere giusto” evitando i falsi allarmi; 2) la facoltà di potere intercettare i missili in volo mediante sistemi antimissile. Questi dati rendono incerta una rappresaglia che confida solo nella disponibilità statica di un arsenale nucleare. La potenza X può vederselo distrutto da una potenza Y che lo attacchi con missili che arrivano non visti sul bersaglio e che sia in grado di intercettare in volo la rappresaglia delle testate sopravvissute al primo colpo distruttivo.
Per quanto riguarda il primo aspetto, l’allarme precoce, vi sono stati nel corso del tempo, importanti sviluppi sul rilevamento, con maggiore precisione e rapidità, del lancio di missili balistici. I principali miglioramenti sono individuabili nell’aumento della sensibilità dei sensori, che rilevano segnali più deboli e distinguono meglio – si spera rispetto alla notte di Petrov (26 settembre 1983) – tra un vero lancio e un falso allarme. I sistemi di analisi dei dati sono più precisi e in grado di elaborare una grande quantità di informazioni in tempi brevissimi, fornendo un quadro più chiaro della situazione. I sistemi di allarme precoce integrano dati provenienti da diverse fonti, come radar, satelliti e sensori acustici, per ottenere una visione più completa della minaccia. Molte delle funzioni di rilevamento e analisi dei dati sono state automatizzate, nell’intenzione di ridurre il rischio di errori umani. Tutto ciò è stato destabilizzante per la MAD.
Per quanto riguarda il secondo aspetto, quello della difesa antimissile, è opportuno ricordare che esisteva un trattato importante che la regolamentava: il Trattato Anti-Missili Balistici (ABM), firmato nel 1972 dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica. Lo scopo del trattato ABM era limitare la possibilità di difendersi da un attacco nucleare, in modo da scoraggiare l’avversario dal lanciare un primo colpo, sapendo che una risposta altrettanto devastante sarebbe stata inevitabile. Tuttavia, questo trattato è stato abbandonato dagli Stati Uniti nel 2002. La decisione americana di ritirarsi dall’ABM ha aperto la strada allo sviluppo di sistemi di difesa antimissile più sofisticati, ponendo il problema della loro compatibilità con la stabilità strategica e del rischio di nuove corse agli armamenti.
Un punto cruciale riguarda l’integrazione dell’intelligenza artificiale sia nel rilevamento e nella elaborazione dei dati di allarme, sia nell’attivazione dei centri decisionali, sia nella collaborazione con il momento decisionale. L’intelligenza artificiale (AI) sta giocando un ruolo sempre più importante nei sistemi di allarme precoce dagli attacchi nucleari, e la tendenza è a farla influenzare sempre di più anche il processo decisionale.
L’AI viene utilizzata nel rilevamento precoce: analizzare grandi quantità di dati provenienti da radar, satelliti e altre fonti, identificando con maggiore precisione e rapidità i segnali indicativi di un lancio missilistico. Nella verifica dei dati: i sistemi di AI sono in grado di confrontare i dati rilevati con modelli preesistenti, verificando la loro attendibilità e riducendo il rischio di falsi allarmi. Nella previsione delle traiettorie: l’AI può essere utilizzata per prevedere la traiettoria di un missile, fornendo stime più accurate sui potenziali obiettivi. Nel supporto alle decisioni: l’AI offre agli operatori umani una serie di strumenti e informazioni per aiutarli a prendere decisioni più informate e rapide in situazioni di crisi. Nel processo decisionale l’AI può essere utilizzata per automatizzare alcune fasi, come l’invio di avvisi o l’attivazione di contromisure. Più comunemente, l’AI fornisce agli operatori umani una serie di informazioni e raccomandazioni, lasciando a loro la decisione finale. L’AI, infine, permette di elaborare una grande quantità di dati in tempi brevissimi, consentendo di prendere decisioni più rapide.
Vi sono, nei sistemi di allarme precoce, sfide e i rischi associati all’utilizzo dell’IA riassumibili nei fallimenti del sistema, soprattutto in situazioni complesse o impreviste. Nella dipendenza tecnologica: un’eccessiva dipendenza dall’AI potrebbe rendere i sistemi vulnerabili a cyberattacchi o a malfunzionamenti. Nelle questioni etiche implicate: l’utilizzo dell’AI in contesti militari solleva importanti questioni etiche, come la responsabilità delle decisioni prese dai sistemi autonomi. Nel rischio di escalation: l’automatizzazione di alcune fasi del processo decisionale potrebbe ridurre il tempo a disposizione per valutare le conseguenze di una risposta, aumentando il rischio di una escalation incontrollata.
È importante, di fronte a politici di cui sembra saggio, se si considerano le vicende storiche, dubitare della responsabilità, per noi disarmisti sottolineare che le decisione finali devono sempre rimanere in mano agli esseri umani. L’AI, pubblicamente e opportunamente regolata, e non abbandonata nelle cattive mani degli oligopolisti attuali, può fornire un supporto prezioso, ma non deve sostituire il giudizio umano in qualsiasi campo, meno che mai nel campo della guerra nucleare!
L’apparato di difesa e di reazione predisposto per la “risposta flessibile”, calibrata rispetto alle intenzioni e alle minacce, dipende dalla tipologia delle armi nucleari suddivisibili per piattaforme (basate a terra, su aerei, su natanti come navi e sommergibili) e per diverse gittate: tattiche da campo di battaglia, intermedie, “strategiche” con i missili balistici intercontinentali. Tali armi crescono in precisione, velocità, miniaturizzazione, controllo digitale e vengono sviluppate in rapporto all’evoluzione delle dottrine di impiego.
Quanto finora esposto può fare da premessa al fatto che le decisioni prese sulla reintroduzione degli euromissili in Europa rafforzano la possibilità che scoppi una guerra nucleare sul “teatro europeo”. Da parte russa, un aspetto strategico cruciale è usare, più di Kalinigrad, la Bielorussia come cuscinetto, essendo i Paesi dell’ex Patto di Varsavia diventati alleati della NATO e quindi indisponibili per la vecchia funzione sacrificale. Il concetto della “guerra di teatro” è appunto avere delle regioni messe avanti come sacrificabili lasciando intatto il “santuario” del proprio territorio nazionale.
In questa logica utile al “santuario americano”, la dottrina ufficiale della NATO sul first use (primo uso) delle armi nucleari nell’Europa occidentale subalterna, contenuta nelle sue parti essenziali in documenti classificati, è un tema in continua evoluzione, che ha subito significative modifiche nel corso degli anni. Non esiste un singolo documento ufficiale che definisca in modo esaustivo e definitivo la dottrina nucleare della NATO. Piuttosto, la dottrina si articola attraverso una serie di dichiarazioni, strategie e linee guida elaborate nel corso degli anni.
Elementi chiave della dottrina NATO (secondo Gemini):
Alcuni punti di riferimento storici (secondo Gemini):
Può risultare interessante, dopo la presentazione delle notizie e delle analisi sopra esposte, formulare una paradossale “FORMULA DELL’INDIGNAZIONE”, soprattutto da parte di certi settori “caldi” delle avanguardie pacifiste: proporzionale direttamente all’esposizione mediatica e alla carica simbolica anti-imperialista (a senso unico, contro gli USA, considerati l’unico vero motore dei conflitti nel mondo). Ed insieme inversamente proporzionale alla portata mortifera e distruttiva.
E’ notevole, ad esempio, che non vi siano orrore e rifiuto per le migliaia di bambini che ogni giorno muoiono di fame o per le vittime delle “guerre dimenticate” o degli eventi estremi e per le catastrofi prodotte dal riscaldamento globale.
Dal 3 al 7 marzo 2025 si riunisce il 3MSP (Terzo Meeting degli Stati Parte) del TPNW (Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari), adottato a New York nel 2017, un Trattato, entrato in vigore nel 2021 dopo la cinquantesima ratifica (adesso siamo a quota 73 ratifiche). L’importanza di questo strumento giuridico sta nel fatto che proclama l’illegalità della deterrenza nucleare, cioé si va oltre la condanna della minaccia dell’uso, lo stesso possesso degli ordigni atomici è considerato da bandire.
Noi consideriamo la preparazione di una guerra atomica molto più di un crimine di guerra: è una presa in ostaggio delle popolazioni minacciate di rappresaglia per “dissuadere” uno Stato ostile da un attacco nucleare. Quindi siamo di fronte a un crimine contro l’umanità, ovvero, di un GENOCIDIO PROGRAMMATO, secondo la fattispecie definita nel 1948 dalla Assemblea generale dell’ONU, accolta nell’art. 6 dello Statuto della Corte penale internazionale firmato a Roma il 17 luglio 1998.
Noi saremo presenti a New York a marzo alla conferenza del TNP, perché, come società civile, intendiamo batterci, affinché il Trattato di proibizione venga riconosciuto come strumento di attuazione dell’articolo VI del TNP: le trattative in buona fede che devono condurre al disarmo completo.
Proponiamo di lavorare per armonizzare e integrare la Campagna ICAN con la Campagna No First Use (NFU) perché riteniamo importante schiudere ammorbidimenti e contraddizioni nel fronte nuclearista, già non del tutto monolitico. Sarebbe apprezzabile che l’adozione ufficiale di dottrine sulla deterrenza che escludano un primo colpo nucleare in qualsiasi circostanza sia accompagnato da misure, sotto controllo IAEA, che rendano più difficile la guerra nucleare per errore, come la deallertizzazione delle testate e la separazione delle stesse dai vettori. Il TPNW già, all’articolo 4, prevede un periodo di conversione e una certa flessibilità nelle forme di adesione da parte degli Stati dotati di armi nucleari e degli Stati che ospitano armi nucleari controllate da un altro Stato. Entro la prossima conferenza di revisione, fissata nel 2027, possiamo stabilire una categoria riconosciuta formalmente di Stati “collaboratori”, “fiancheggiatori” (o altro termine similare) del Trattato. Sarebbero Stati non aderenti a pieno titolo ma orientati positivamente verso il percorso della proibizione giuridica, valutato quale strumento utile e opportuno, compatibile con le istanze di sicurezza globale, per giungere a un mondo senza armi nucleari.
Ed in Italia continueremo ad insistere per la presentazione di un disegno di legge di ratifica del TPNW. Al di là della approvazione immediata, non alla portata purtroppo di questo Parlamento, riteniamo comunque utile che il tema del disarmo nucleare e del suo rapporto con i rischi bellici, ecologici e sociali, debba fare parte del dibattito nella campagna elettorale per le prossime politiche del 2027.
LA SCOMODA VERITA’ ALLA BASE DEL MIRAGGIO DELLA “DETERRENZA” VA SPIEGATA ALLA GENTE COMUNE!
LA DIFESA DAL (E QUINDI LA RICERCA DEL) PRIMO COLPO NUCLEARE – È LA REGOLA FONDAMENTALE DELLA COMPETIZIONE ATOMICA.
LA MUTUA DISTRUZIONE ASSICURATA NON REGGE SE POSSIAMO SPARARE MISSILI “ATOMICI” NON INDIVIDUABILI O SE POSSIAMO DISTRUGGERE IN VOLO I MISSILI DELLA POTENZA AVVERSARIA.
NE DISCUTIAMO ONLINE L’8 DICEMBRE NELL’ANNIVERSARIO DEL TRATTATO DEL 1987 DI ELIMINAZIONE DEGLI EUROMISSILI, CHE OGGI RITORNANO IN CAMPO
Di Alfonso Navarra
Perché, nell’ambito delle dottrine sull’ impiego delle armi nucleari, si è passati dalla mutua distruzione assicurata alla risposta flessibile ed in questo contesto è stata concepita la guerra nucleare limitata al “teatro” europeo (ed ai vari “teatri” in cui viene suddivisa la competizione di potenza)?
Il sottoscritto ha trattato il problema in vari libri, tra i quali ne segnalo uno dedicato alle ragazze e ai ragazzi: “La guerra nucleare spiegata a Greta”, Emi edizioni, 2006.
Lo scenario di questa guerra “limitata” fu alla base della cosiddetta “crisi degli euromissili” degli anni Ottanta del secolo scorso, superata dall’accordo INF (Forze nucleari intermedie) tra Reagan e Gorbaciov del 1987, in cui ebbe un ruolo anche la resistenza nonviolenta del Cruisewatching.
Oggi la questione ritorna attuale con la guerra in Ucraina, in cui l’uso delle atomiche “tattiche” è minacciato, in particolare da parte russa (ma non solo) un giorno sì e l’altro pure; e se ne parla con più clamore dopo il patto bilaterale USA-Germania per la reinstallazione dei Tomahawk (e altri missili) annunciato e approvato dal summit NATO del luglio 2024.
La denuncia del Trattato sulle Forze Nucleari a Raggio Intermedio (INF) da parte di Russia e Stati Uniti ha creato un vuoto normativo, consentendo a entrambi i Paesi di sviluppare nuovi sistemi missilistici a medio raggio (dai 500 ai 5.500 km).
Gli euromissili che saranno dispiegati in Germania nel 2026 sono convenzionali, ma rientrano nella possibilità di un primo colpo contro le “basi atomiche” dell’avversario russo.
L’opinione pubblica ha pochi elementi per inquadrare il significato e la portata dell’evento. Molte “non notizie” sarebbero da spiegare al pubblico che ignora, ad esempio, che in realtà la corsa agli armamenti nucleari è, come intrinseca necessità tecnica del “gioco”, la ricerca della difesa da un eventuale primo colpo (first strike) da parte della potenza nucleare avversaria.
La MAD, sviluppatasi durante la prima fase della Guerra Fredda, postulava che un attacco nucleare da parte di una superpotenza avrebbe innescato una reazione altrettanto devastante da parte dell’avversario, portando alla distruzione reciproca. Questo “equilibrio del terrore”, si pensava, avrebbe scoraggiato qualsiasi attacco iniziale, poiché nessuna parte avrebbe potuto sperare di uscirne vincitrice.
Ma questa concezione, alla fine, non ha retto al cambiamento dei dati reali, tecnici, della situazione. Si può fare risalire il cambiamento strategico a diversi fattori, non ultimo l’esigenza politica di uscire dalla rigidità della MAD, che offriva poche opzioni in caso di crisi. La risposta flessibile, invece, prevede una gamma più ampia di opzioni, consentendo ai decisori politici di adattare la risposta alla gravità della minaccia.
Ma la causa determinante della erosione e del superamento della MAD la si può individuare non nei capricci della volontà di potenza dei governanti, bensì nella fatale esigenza di una difesa efficace contro un primo colpo nucleare dell’avversario.
Ecco alcune delle ragioni tecniche principali.
Se una parte credesse di potersi difendere da un primo colpo, con un sistema di intercettazione efficace, potrebbe essere tentata di sferrare per prima un attacco, nella speranza di disarmare l’avversario prima che possa reagire. Questo crea una spirale di competizione per sviluppare sistemi d’arma sempre più sofisticati, minando la stabilità strategica.
Lo sviluppo di sistemi missilistici antibalistici e di altre tecnologie difensive ha messo in discussione l’assunto fondamentale della MAD, ovvero che un attacco nucleare porterebbe inevitabilmente alla distruzione reciproca. I missili dell’avversario possono essere visti e colpiti in volo!
Anche gli arsenali nucleari sono vulnerabili, e attacchi preventivi potrebbero riuscire a distruggere una parte significativa delle forze nucleari avversarie.
E possono essere lanciati missili non individuabili dai satelliti e dai radar, adatti al primo colpo. Questa era ad esempio l’intenzione esplicita dei Cruise di Comiso.
La possibilità di un primo colpo efficace potrebbe far sentire una potenza nucleare più sicura e invogliata a intraprendere azioni più aggressive, poiché si sentirebbe meno vulnerabile a una rappresaglia.
La possibilità di difendersi da un attacco rende, allora, il calcolo della deterrenza molto più complesso. Non è più sufficiente contare sulla minaccia di una distruzione reciproca, ma bisogna considerare una serie di fattori aggiuntivi, come la vulnerabilità dei sistemi d’arma, l’efficacia dei sistemi di difesa e la volontà di ciascuna parte di rischiare un conflitto nucleare.
La proliferazione nucleare ha favorito ulteriormente il passaggio di impostazione strategica: essendo i giocatori “nucleari” diventati più di due, la certezza di una risposta immediata e devastante, alla base della MAD, ha sempre meno basi razionali (nella logica paranoica della “deterrenza”).
Poi anche gli sviluppi tecnologici hanno reso i sistemi di comando e controllo più vulnerabili, mettendo in dubbio la capacità di garantire una risposta rapida e coordinata. Oggi questa condizione è ancora più “stressata” dalla velocità ipersonica dei missili e con la minaccia di attacchi cibernetici guidati dall’intelligenza artificiale.
La concezione di una guerra nucleare limitata al teatro europeo si inserisce in questo nuovo contesto strategico. Essa prevede la possibilità di utilizzare armi nucleari tattiche, con effetti limitati geograficamente e in termini di potenza distruttiva, in risposta a una minaccia convenzionale o a una limitata escalation nucleare.
L’Europa, ex padrona del mondo, è da sempre una regione di grande importanza strategica, al centro delle tensioni tra le grandi potenze globali. Alcuni paesi europei, come la Francia e il Regno Unito, possiedono arsenali nucleari. Alcuni strateghi hanno sostenuto che una guerra nucleare limitata all’Europa potrebbe essere contenuta, evitando una escalation globale.
Da parte pacifista ci sono sempre state critiche alla logica di fondo della deterrenza nucleare, che conduce inevitabilmente, se ci si riflette bene, alla ricerca del primo colpo.
Noi membri di ICAN (Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari, premio Nobel per la pace nel 2017) sosteniamo che:
La possibilità di una guerra nucleare limitata potrebbe aumentare il rischio di un conflitto nucleare su larga scala, poiché gli avversari potrebbero sottovalutare le conseguenze di un attacco iniziale.
Una volta iniziata una guerra nucleare, anche limitata, è difficile prevederne l’esito e controllarne l’escalation.
Anche un conflitto nucleare limitato avrebbe conseguenze devastanti e inaccettabili per le popolazioni civili. Oggi inoltre dobbiamo considerare la possibilità dell’”inverno nucleare”. Una guerra nucleare locale potrebbe portare a una catastrofe globale.
In conclusione
Il passaggio dalla MAD alla risposta flessibile rappresenta un tentativo di adattare la strategia nucleare al gioco della ricerca del primo colpo, favorito da un mondo in continua evoluzione, che ha moltiplicato gli attori nucleari e reso tecnologicamente precario il cosiddetto “equilibrio del terrore”. Tuttavia, questa nuova dottrina ignora il punto fondamentale che guerra nucleare rimane una minaccia esistenziale per l’umanità, e la prevenzione di un conflitto nucleare deve rimanere, come sostiene ICAN e tutto il percorso che ha portato al Trattato di proibizione delle armi nucleari (adottato nel 2017 ed entrato in vigore nel 2021) la priorità assoluta della politica internazionale.
Anche come preparazione al terzo meeting degli Stati parte del Trattato di proibizione delle armi nucleari (New York, marzo 2025), ne intendiamo parlare all’incontro online organizzato per l’8 dicembre del 2024, dalle ore 18:00 alle ore 20:00.
La discussione, introdotta da varie relazioni, l’abbiamo intitolata: “TORNANO GLI EUROMISSILI: TORNA L’INCUBO DELLA GUERRA NUCLEARE LIMITATA AL TEATRO EUROPEO?”
Sunday December 8, 18:00 – 20:00
https://us06web.zoom.us/j/83966819853?pwd=78mudVUWUw2NaN8EmbyI3WJ3HC6tEp.1
Il momento del commercio con il diavolo è però arrivato anche per il sottoscritto. Sto cominciando a sperimentare l’uso dell’Intelligenza artificiale, a livello basico, per aiutare a mettere ordine tra i miei pensieri, sperando di guadagnare tempo. Passati i 70 anni si comincia meglio a comprendere che è una risorsa scarsa!
In particolare sto bazzicando Gemini, il tool di Google.
Gemini, da oracolo digitale, semplicemente potrebbe essere programmato per “lisciare il pelo”, opportunisticamente, di chi si rivolge ad esso. Ma, senza falsa modestia, non mi sembra il caso di questa idea, che ho esposto, della apertura flessibile, agli Stati nucleari, del Trattato di proibizione delle armi nucleari (sigla: TPNW) contenuta nel working paper da me avanzato a suo tempo con Luigi Mosca e con altre/i (si vada su:https://www.petizioni24.com/ican-nfu)
Restando in tema, do ora un annuncio. Dal 3 al 7 marzo 2025 si tiene a New York la Terza Conferenza degli Stati parte del Trattato TPNW , sotto la presidenza del Kazakistan (in sigla: 3MSP).
Sunday December 8, 18:00 – 20:00
https://us06web.zoom.us/j/83966819853?pwd=78mudVUWUw2NaN8EmbyI3WJ3HC6tEp.1
Collegare gli obiettivi della campagna ICAN (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons) per la proibizione totale delle armi nucleari e della Campagna NO FIRST USE per il non primo uso di tali armi può essere estremamente utile per il movimento per il disarmo.
Ecco perché:
Come si può realizzare questa sinergia:
In conclusione, unire le forze di ICAN e della Campagna NO FIRST USE rappresenta una strategia vincente per accelerare i progressi verso un mondo libero da armi nucleari.
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Le ONG e i movimenti di base che promuovono la campagna per il “no first use” sono numerosi e operano a livello globale.
Queste organizzazioni svolgono un ruolo fondamentale nel sensibilizzare l’opinione pubblica, esercitare pressioni sui governi e promuovere politiche di disarmo nucleare.
Alcuni esempi di attori chiave in questo campo sono:
Le attività di queste organizzazioni includono:
È importante sottolineare che questo è solo un elenco parziale e che il panorama delle organizzazioni che lavorano per il “no first use” è in continua evoluzione. Per avere un quadro più completo della situazione, ti consiglio di consultare i siti web di queste organizzazioni e di seguire le loro attività sui social media.
Inoltre, ti suggerisco di cercare organizzazioni attive nel tuo Paese o nella tua regione, poiché spesso esistono gruppi locali che lavorano su queste tematiche e possono offrire opportunità di coinvolgimento diretto.
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L’idea di introdurre una categoria di “Stati in conversione” (collaboratori/fiancheggiatori ma non pienamente aderenti) nel Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW) è un tema molto interessante e dibattuto nel mondo del disarmo nucleare.
Ma analizziamo i potenziali svantaggi di questa proposta:
Considerazioni aggiuntive:
In conclusione, l’introduzione di una categoria di “Stati in conversione” nel TPNW è una questione complessa che richiede un’attenta valutazione di tutti i pro e i contro. È fondamentale tenere conto delle diverse prospettive degli Stati coinvolti e delle implicazioni per la sicurezza internazionale.
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Le diverse posizioni degli Stati dotati di armi atomiche sul “no first use”
La questione del “no first use” (NFU), ovvero l’impegno a non utilizzare per primi le armi nucleari in nessun caso, è un tema cruciale nel dibattito internazionale sul disarmo nucleare. Le posizioni degli Stati dotati di tali armi sono diverse e complesse, influenzate da fattori geopolitici, storici e dottrinali.
Stati favorevoli o che hanno considerato il NFU
Alcuni Stati hanno espresso favore per il principio del NFU o lo hanno incluso in parte nelle loro dottrine nucleari:
Stati contrari al NFU
Altri Stati, invece, si oppongono al principio del NFU o lo considerano una debolezza strategica:
Fattori che influenzano le posizioni
Le posizioni degli Stati sul NFU sono influenzate da diversi fattori, tra cui:
Conclusioni
La questione del NFU è complessa e multisfaccettata. Mentre alcuni Stati hanno espresso un forte sostegno a questo principio, altri lo considerano una debolezza strategica. La divergenza di opinioni riflette le diverse realtà geopolitiche e le preoccupazioni di sicurezza nazionale di ciascun Paese.
Per approfondire:
Archivio Disarmo: Un’analisi dettagliata del dibattito sul “non primo uso” nucleare in Europa: https://www.archiviodisarmo.it/view/0I8vMXlZumjpAVPEUxKR8wwMJmWFUk13IklI-OwlbnA/dibattito-sul-non-primo-uso-nucleare-in-europamag83-.pdf
Perché sul summit non ci sono dettagli specifici? Proviamo ad avanzare delle risposte
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The present document contains preliminary information for non-governmental
organization participants in the third Meeting of States Parties to the Treaty on the
Prohibition of Nuclear Weapons. Any necessary additional information will be
provided closer to the date of the session. Documentation and other information will be posted, as it becomes available, on the website of the Meeting of States Parties
I. Dates and venue
1. The third Meeting of States Parties to the Treaty on the Prohibition of Nuclear
Weapons will be held at United Nations Headquarters in New York from 3 to 7 March 2025.
2. The Meeting will open at 10 a.m. on Monday, 3 March, in the Trusteeship
Council Chamber at United Nations Headquarters.
II. Modalities of participation of non-governmental organizations
3. Rule 1, paragraphs 2 to 4, of the rules of procedure of the Meeting of States
Parties to the Treaty on the Prohibition of Nuclear Weapons (TPNW/MSP/2022/3)
reads as follows:
2. The United Nations, its specialized agencies and related organizations, the
International Committee of the Red Cross, the International Federation of Red
Cross and Red Crescent Societies, representatives selected by the States parties
of treaties establishing nuclear-weapon-free zones and the International
Campaign to Abolish Nuclear Weapons may attend the Meeting of States Parties
as observers without the right to vote.
3. Other relevant international organizations or institutions, regional
organizations and relevant non-governmental organizations whose purpose and
activities are consistent with the object and purpose of the Treaty may attend
the Meeting of States Parties as observers. Such organizations or institutions
shall inform the President of the Meeting of their interest to participate in the
Meeting no later than 30 days prior to the beginning of the Meeting or 15 days
prior to the beginning of an extraordinary Meeting. Said interest shall be
accompanied by information on the organization’s purpose, programmes and
activities in areas relevant to the scope of the Meeting.
4. Any of the organizations or institutions referred to in rule 1, paragraph 3,
that are in consultative status with the Economic and Social Council in
accordance with the provisions of Council resolution 1996/31 of 25 July 1996
may attend the meetings as observers. For any organizations that do not have
consultative status with the Council, the President of the Meeting will circulate
to all States parties a list of new applications received from relevant
organizations or institutions referred to in rule 1, paragraph 3, that have
expressed an interest in participating in the Meeting pursuant to rule 45, taking
into consideration criteria such as whether the purpose, programmes and
activities of the organizations or institutions are consistent with the objec t and
purpose of the Treaty, no less than 10 days before the Meeting on a
non-objection basis. The participation of these organizations or institutions is
ultimately subject to the final approval of the Meeting.
4. The information below applies only to those organizations referred to rule 1,
paragraph 3, and not to the International Campaign to Abolish Nuclear Weapons.
5. Rule 53, paragraph 2, of the rules of procedure concerns the rights of observers
and reads as follows:
2. The observers that are not signatory States or organizations and entities
referred to in rule 1, paragraph 2:
(a) May make oral statements in accordance with rule 20;
(b) May submit written statements and documents, which shall be
distributed electronically by the secretariat to all delegations in the quantities
and in the language in which the statements are made available to it, provided
that a statement submitted is related to the work of the Meeting of States Parties.
Written statements and documents shall not be made available at the expense of
the Meeting and shall not be issued as official documents;
(c) May receive official documents;
(d) May not participate in decision-making;
(e) May not make, or be among the speakers called on to speak in favour
of or against, any procedural motion or request, raise points of order or appeal
against a ruling of the President.
III. Practical arrangements for accreditation, registration and issuance of grounds passes Accreditation
6. All requests for accreditation by organizations must be submitted to the
secretariat no later than 20 December 2024, using the online form available at
https://bit.ly/TPNW25. Non-governmental organizations (NGOs) must also send to
the secretariat (tpnw@un.org) a written accreditation request on the official letterhead of the organization listing the representatives who will attend, including their full names and titles. Additional representatives may be included in a revised
accreditation request letter, which should be submitted by 24 February 2025. To
facilitate communications concerning accreditation and registration, the letter must
include the personal email address and direct telephone number of a point of contact in the organization.
7. Interested NGOs whose purpose and activities are consistent with the object and
purpose of the Treaty that are not in consultative status with the Economic and Social Council in accordance with the provisions of Council resolution 1996/31 must
provide additional information on the organization’s purpose, programmes and
activities, and their consistency with the object and purpose of the Treaty.
8. Those NGOs that have requested accreditation as stated above will be informed
by the secretariat by email by 4 January 2025 of the outcome of their request. NGOs
with consultative status will be accredited to the Meeting. The accreditation of all
other NGOs will be decided upon by the Meeting though its intersessional decision -
making process. It should be borne in mind that individuals requesting accreditation, as well as those planning to attend side events, must be at least 18 years of age. For questions relating to accreditation, please contact the secretariat (tpnw@un.org).
Registration and issuance of grounds passes
9. Incomplete registrations and registrations received after the deadline will not be
processed.
10. Online registration will be available from 4 January to 24 February 2025 for
representatives of NGOs whose accreditation has been approved.
11. Attendees without a valid grounds pass for United Nations Headquarters must
complete the registration form on the online Indico system at
https://indico.un.org/event/1013655/registrations
and follow the process described therein.
Once a participant is registered in the system, the profile will remain valid and will only have to be updated if needed. Online registrations must include: (a) the accreditation request letter, including the name of the participant; and (b) the email address of the participant. If the requested documents are not attached, the system will reject the application.
12. Once their registrations have been approved in Indico, representatives of NGOs
will receive a confirmation email. Grounds passes valid for the duration of the
Meeting of States Parties will be available for collection at a time and location to be
announced in due course.
13. Representatives of NGOs will need to have their passport and a printed copy of
the confirmation email with them to collect a grounds pass. For questions related to
registration and the issuance of grounds passes, please contact the secretariat
(tpnw@un.org).
IV. General exchange of views
14. Representatives of NGOs interested in delivering a statement during the general
exchange of views are invited to contact the NGO point of contact, Annette Willi,
who will coordinate the list of NGO speakers. Ms. Willi’s contact details are provided
in section X.
15. NGO representatives are kindly requested to submit electronic versions of their
statements in PDF format to estatements@un.org and to tpnw@un.org no later than two hours in advance of delivery. The name of the NGO and the title of the meeting should be indicated in the subject line of the email and in the heading of the statement.
The statements will be uploaded to the digital Journal of the United Nations and to
the website of the Meeting after delivery.
V. Facilities
16. In order to facilitate the participation of NGOs in the Meeting, a conference
room will be made available for use by all accredited NGOs for their meetings,
briefings and side events and for the distribution of official conference documents to their representatives. The NGO point of contact, Annette Willi, will be responsible
for the allocation of time and availability of the room for NGO briefings and
meetings. Ms. Willi’s contact details are provided in section X.
17. NGOs are solely responsible for delivering, storing, distributing and removing
their materials (including documents), as well as for all related costs. The secretariat
does not receive or store any materials on behalf of NGOs. NGOs are advised to
ensure that boxes or other containers can easily be opened for security inspection, if requested. The secretariat will authorize the removal of materials judged to be
inappropriate.
VI. Documentation
18. No hard copies of documents will be available during the Meeting of States
Parties. All documents and statements will be available on the website of the Meeting.
19. NGOs may submit material in writing, which will be circulated in its original
language. NGOs are kindly requested to limit such submissions to five single -spaced pages (2,675 words) and to utilize the template for NGO working papers availablefrom the NGO point of contact. Submissions should be emailed to tpnw-
msp@icanw.org.
20. NGOs may be allowed to display documents and other information materials on
a designated table. One copy of each document should be provided to the Meeting
secretariat through the NGO point of contact, prior to public display.
VII. Side events and exhibitions
21. There is limited space available for side events during the Meeting of States
Parties. Side events that can be accommodated within the room allocated to NGOs
will also be coordinated by the NGO point of contact.
22. Any request for side events must specify the list of all necessary technical
equipment and services. The provision of certain technical equipment and services
will incur costs to be borne by the requesting NGO. NGOs must ensure that lecturers, presenters, speakers or any other invitees to their side events have valid grounds passes or otherwise register them as members of their own delegations to the Meeting of States Parties. The information should be transmitted to the secretariat by the NGO point of contact by 13 January 2025.
23. Limited space is available for exhibits. All exhibits at United Nations facilities
require sponsorship by a Member State willing to assume responsibility for their
placement and content as well as the submission of associated costs. Please submit
sponsorship requests directly to the point of contact in the relevant permanent
mission. Member States should contact the secretariat (tpnw@un.org) as soon as
possible and by no later than 13 January 2025.
VIII. Taking action on harassment, including sexual harassment
24. The organizations of the United Nations system are committed to enabling
events at which everyone can participate in an inclusive, respectful and safe
environment. All conferences and events taking place on United Nations system
premises are guided by the highest ethical and professional standards, and all
participants are expected to behave with integrity and respect towards all participants attending or involved with any United Nations system event. To that end, the Code of Conduct to Prevent Harassment, Including Sexual Harassment, at United Nations System Events will apply to all persons involved in the Meeting of States Parties. The text of the Code of Conduct and further information thereon are available online (www.un.org/en/content/codeofconduct).
25. If you feel you have been a victim of, or a witness to, harassment, including
sexual harassment, at United Nations Headquarters during the Meeting of States
Parties, you are encouraged to contact the United Nations Secretariat. The “Speak up” helpline and email address (+1 917 367 8910 and speakup@un.org) are available to provide confidential support about what to do and where to go for help.
IX. Letters of invitation and visas
26. The United Nations is not in a position to provide letters of invitation or letters
to consulates requesting that NGO representatives be provided visas for travelling to the United States of America in order to attend the Meeting of States Parties. It is the full responsibility of NGO representatives to make arrangements for visas, travel and related costs. It is advisable that NGO representatives make visa and travel arrangements at their earliest possible convenience.
X. Point of contact
27. The secretariat has been informed that the designated NGO point of contact in
connection with participation by NGOs in the Meeting of States Parties is as follows:
Annette Willi - Civil Society Coordinator
International Campaign to Abolish Nuclear Weapons
Email: tpnw-msp@icanw.org
Telephone: +41 22 788 20 63
Checklist for representatives of non-governmental organizations Deadline
Request for hosting of side events or exhibits - 13 January 2025
Requests for accreditation sent to the secretariat - 20 December 2024
Notification by email from the secretariat to representatives
informing them of the status of their request - 4 January 2025
Request for additional representative registration - 24 February 2025
traduzione in lingua italiana (con l'aiuto di Google Translator)
Il presente documento contiene informazioni preliminari per le organizzazioni non governative partecipanti alla terza riunione degli Stati Parte del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari. Qualsiasi informazione aggiuntiva necessaria verrà fornita in prossimità della data della sessione. La documentazione e altre informazioni verranno pubblicate, non appena disponibili, sul sito web della riunione degli Stati Parte
(https://meetings.unoda.org/-msp/treaty-on-the-prohibition-of-nuclear-weapons-third-meeting-of-states-parties-2025).
I. Date e luogo
1. La terza riunione degli Stati Parte del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari si terrà presso la sede delle Nazioni Unite a New York dal 3 al 7 marzo 2025.
2. La riunione si aprirà alle 10:00 di lunedì 3 marzo, nella Camera del Consiglio di amministrazione fiduciaria presso la sede delle Nazioni Unite.
II. Modalità di partecipazione delle organizzazioni non governative
3. La regola 1, paragrafi da 2 a 4, del regolamento interno della Riunione degli Stati
Parti del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW/MSP/2022/3)
recita quanto segue:
2. Le Nazioni Unite, le sue agenzie specializzate e le organizzazioni correlate, il
Comitato internazionale della Croce Rossa, la Federazione internazionale delle società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, i rappresentanti selezionati dagli Stati
Parti dei trattati che istituiscono zone libere da armi nucleari e la Campagna internazionale per l'abolizione delle armi nucleari possono partecipare alla Riunione degli Stati Parti in qualità di osservatori senza diritto di voto.
3. Altre organizzazioni o istituzioni internazionali pertinenti, organizzazioni regionali e organizzazioni non governative pertinenti il cui scopo e le cui attività sono coerenti con l'oggetto e lo scopo del Trattato possono partecipare alla Riunione degli Stati Parti in qualità di osservatori. Tali organizzazioni o istituzioni
devono informare il Presidente della Riunione del loro interesse a partecipare alla
Riunione entro e non oltre 30 giorni prima dell'inizio della Riunione o 15 giorni
prima dell'inizio di una Riunione straordinaria. Tale interesse deve essere
accompagnato da informazioni sullo scopo, sui programmi e sulle attività dell'organizzazione in settori pertinenti all'ambito della Riunione.
4. Qualsiasi organizzazione o istituzione di cui alla regola 1, paragrafo 3,
che abbia uno status consultivo con il Consiglio economico e sociale in
conformità alle disposizioni della risoluzione del Consiglio 1996/31 del 25 luglio 1996, può partecipare alle riunioni in qualità di osservatore. Per tutte le organizzazioni che non hanno status consultivo con il Consiglio, il Presidente della Riunione farà circolare a tutti gli Stati parti un elenco di nuove domande ricevute da organizzazioni o istituzioni pertinenti di cui alla regola 1, paragrafo 3, che hanno
espresso interesse a partecipare alla Riunione ai sensi della regola 45, prendendo
in considerazione criteri quali se lo scopo, i programmi e le attività delle organizzazioni o istituzioni sono coerenti con l'oggetto e lo scopo del Trattato, non meno di 10 giorni prima della Riunione su base di non obiezione. La partecipazione di queste organizzazioni o istituzioni è in ultima analisi soggetta all'approvazione finale della Riunione.
4. Le informazioni di seguito si applicano solo alle organizzazioni di cui alla regola 1,
paragrafo 3, e non alla Campagna internazionale per l'abolizione delle armi nucleari. 5. La regola 53, paragrafo 2, del regolamento interno riguarda i diritti degli osservatori e recita come segue:
2. Gli osservatori che non sono Stati firmatari o organizzazioni ed entità
di cui alla regola 1, paragrafo 2:
(a) Possono fare dichiarazioni orali conformemente alla regola 20;
(b) Possono presentare dichiarazioni e documenti scritti, che saranno
distribuiti elettronicamente dal segretariato a tutte le delegazioni nelle quantità
e nella lingua in cui le dichiarazioni sono messe a sua disposizione, a condizione
che una dichiarazione presentata sia correlata ai lavori della Riunione degli Stati Parte.
Le dichiarazioni e i documenti scritti non saranno resi disponibili a spese della
Riunione e non saranno emessi come documenti ufficiali;
(c) Possono ricevere documenti ufficiali;
(d) Non possono partecipare al processo decisionale;
(e) Non possono fare, o essere tra gli oratori chiamati a parlare a favore
o contro, alcuna mozione o richiesta procedurale, sollevare questioni di ordine o presentare ricorso contro una decisione del Presidente.
III. Disposizioni pratiche per l'accreditamento, la registrazione e il rilascio dei pass per i campi Accreditamento
6. Tutte le richieste di accreditamento da parte delle organizzazioni devono essere inviate alla segreteria entro e non oltre il 20 dicembre 2024, utilizzando il modulo online disponibile su https://bit.ly/TPNW25.
Le organizzazioni non governative (ONG) devono inoltre inviare alla
segreteria (tpnw@un.org) una richiesta di accreditamento scritta su carta intestata ufficiale dell'organizzazione, elencando i rappresentanti che parteciperanno, inclusi i loro nomi completi e titoli. Ulteriori rappresentanti possono essere inclusi in una lettera di richiesta di accreditamento rivista, che deve essere inviata entro il 24 febbraio 2025. Per agevolare le comunicazioni relative all'accreditamento e alla registrazione, la lettera deve includere l'indirizzo e-mail personale e il numero di telefono diretto di un punto di contatto nell'organizzazione.
7. Le ONG interessate il cui scopo e le cui attività sono coerenti con l'oggetto e lo scopo del Trattato che non sono in stato consultivo con il Consiglio economico e sociale in conformità con le disposizioni della risoluzione del Consiglio 1996/31 devono fornire informazioni aggiuntive sullo scopo, sui programmi e sulle attività dell'organizzazione e sulla loro coerenza con l'oggetto e lo scopo del Trattato.
8. Le ONG che hanno richiesto l'accreditamento come sopra indicato saranno informate dalla segreteria via e-mail entro il 4 gennaio 2025 dell'esito della loro richiesta. Le ONG con stato consultivo saranno accreditate alla riunione. L'accreditamento di tutte le altre ONG sarà deciso dalla riunione tramite il suo processo decisionale intersessionale. Si tenga presente che le persone che richiedono l'accreditamento, così come coloro che intendono partecipare a eventi collaterali, devono avere almeno 18 anni. Per domande relative all'accreditamento, contattare la segreteria (tpnw@un.org). Registrazione e rilascio dei pass per l'accesso
9. Le registrazioni incomplete e quelle ricevute dopo la scadenza non saranno
elaborate.
10. La registrazione online sarà disponibile dal 4 gennaio al 24 febbraio 2025 per
i rappresentanti delle ONG il cui accreditamento è stato approvato.
11. I partecipanti senza un pass valido per l'accesso alla sede centrale delle Nazioni Unite devono compilare il modulo di registrazione sul sistema Indico online all'indirizzo
https://indico.un.org/event/1013655/registrations
e seguire la procedura ivi descritta.
Una volta che un partecipante è registrato nel sistema, il profilo rimarrà valido e dovrà essere aggiornato solo se necessario. Le registrazioni online devono includere: (a) la lettera di richiesta di accreditamento, incluso il nome del partecipante; e (b) l'indirizzo e-mail del partecipante. Se i documenti richiesti non sono allegati, il sistema rifiuterà la domanda.
12. Una volta che le loro registrazioni sono state approvate in Indico, i rappresentanti delle ONG riceveranno un'e-mail di conferma. I pass validi per la durata della Riunione degli Stati Parte saranno disponibili per il ritiro in un orario e in un luogo che saranno annunciati a tempo debito.
13. I rappresentanti delle ONG dovranno avere con sé il passaporto e una copia stampata dell'e-mail di conferma per ritirare un pass. Per domande relative alla
registrazione e all'emissione dei pass, contattare la segreteria
(tpnw@un.org).
IV. Scambio di opinioni generale
14. I rappresentanti delle ONG interessati a rilasciare una dichiarazione durante lo scambio di opinioni generale sono invitati a contattare il punto di contatto della ONG, Annette Willi, che coordinerà l'elenco degli oratori delle ONG. I dettagli di contatto della Sig.ra Willi sono forniti nella sezione X.
15. I rappresentanti delle ONG sono pregati di inviare le versioni elettroniche delle loro dichiarazioni in formato PDF a estatements@un.org e a tpnw@un.org entro e non oltre due ore dalla consegna. Il nome della ONG e il titolo della riunione devono essere indicati nell'oggetto dell'e-mail e nell'intestazione della dichiarazione.
Le dichiarazioni saranno caricate sul Journal digitale delle Nazioni Unite e sul
sito web della riunione dopo la consegna.
V. Strutture
16. Per facilitare la partecipazione delle ONG alla riunione, una sala conferenze
sarà messa a disposizione di tutte le ONG accreditate per le loro riunioni,
briefing ed eventi collaterali e per la distribuzione dei documenti ufficiali della conferenza ai loro rappresentanti. Il punto di contatto della ONG, Annette Willi, sarà responsabile dell'assegnazione del tempo e della disponibilità della sala per i briefing e le riunioni delle ONG. I dettagli di contatto della Sig. ra Willi sono forniti nella sezione X.
17. Le ONG sono le uniche responsabili della consegna, dello stoccaggio, della distribuzione e della rimozione dei loro materiali (inclusi i documenti), nonché di tutti i costi correlati. La segreteria non riceve né immagazzina alcun materiale per conto delle ONG. Si consiglia alle ONG di assicurarsi che scatole o altri contenitori possano essere facilmente aperti per l'ispezione di sicurezza, se richiesto. La segreteria autorizzerà la rimozione dei materiali giudicati inappropriati.
VI. Documentazione
18. Non saranno disponibili copie cartacee dei documenti durante la Riunione degli Stati Parti. Tutti i documenti e le dichiarazioni saranno disponibili sul sito web della Riunione.
19. Le ONG possono inviare materiale per iscritto, che verrà distribuito nella sua lingua originale. Le ONG sono gentilmente invitate a limitare tali invii a cinque pagine a spaziatura singola (2.675 parole) e a utilizzare il modello per i documenti di lavoro delle ONG disponibile presso il punto di contatto delle ONG. Gli invii devono essere inviati via e-mail a tpnw-msp@icanw.org.
20. Alle ONG può essere consentito di esporre documenti e altro materiale informativo su un tavolo designato. Una copia di ciascun documento deve essere fornita alla segreteria della Riunione tramite il punto di contatto della ONG, prima dell'esposizione al pubblico.
VII. Eventi collaterali e mostre
21. C'è uno spazio limitato disponibile per gli eventi collaterali durante la Riunione degli Stati Parti. Gli eventi collaterali che possono essere ospitati nella sala assegnata alle ONG saranno coordinati anche dal punto di contatto della ONG.
22. Ogni richiesta di eventi collaterali deve specificare l'elenco di tutte le attrezzature e i servizi tecnici necessari. La fornitura di determinate attrezzature e servizi tecnici comporterà costi a carico della ONG richiedente. Le ONG devono garantire che i relatori, i presentatori, gli oratori o qualsiasi altro invitato ai loro eventi collaterali abbiano validi pass di accesso o altrimenti registrarli come membri delle proprie delegazioni alla Riunione degli Stati Parte. Le informazioni devono essere trasmesse alla segreteria dal punto di contatto della ONG entro il 13 gennaio 2025.
23. Lo spazio disponibile per le mostre è limitato. Tutte le mostre presso le strutture delle Nazioni Unite richiedono la sponsorizzazione da parte di uno Stato membro disposto ad assumersi la responsabilità del loro collocamento e contenuto nonché la presentazione dei costi associati. Si prega di inviare le richieste di sponsorizzazione direttamente al punto di contatto nella missione permanente pertinente. Gli Stati membri devono contattare il segretariato (tpnw@un.org) il prima possibile e non oltre il 13 gennaio 2025.
VIII. Adottare misure contro le molestie, comprese le molestie sessuali
24. Le organizzazioni del sistema delle Nazioni Unite si impegnano a consentire
eventi a cui tutti possano partecipare in un ambiente inclusivo, rispettoso e sicuro. Tutte le conferenze e gli eventi che si svolgono nei locali del sistema delle Nazioni Unite sono guidati dai più elevati standard etici e professionali e tutti i
partecipanti sono tenuti a comportarsi con integrità e rispetto nei confronti di tutti i partecipanti che partecipano o sono coinvolti in qualsiasi evento del sistema delle Nazioni Unite. A tal fine, il Codice di condotta per prevenire le molestie, comprese le molestie sessuali, agli eventi del sistema delle Nazioni Unite si applicherà a tutte le persone coinvolte nella riunione degli Stati parti. Il testo del Codice di condotta e ulteriori informazioni al riguardo sono disponibili online (www.un.org/en/content/codeofconduct).
25. Se ritieni di essere stato vittima o testimone di molestie, tra cui molestie sessuali, presso la sede delle Nazioni Unite durante la riunione degli Stati
Parti, ti invitiamo a contattare il Segretariato delle Nazioni Unite. La linea di assistenza e l'indirizzo e-mail "Speak up" (+1 917 367 8910 e speakup@un.org) sono disponibili per fornire supporto riservato su cosa fare e dove andare per chiedere aiuto.
IX. Lettere di invito e visti
26. Le Nazioni Unite non sono in grado di fornire lettere di invito o lettere
ai consolati che richiedano che i rappresentanti delle ONG ricevano visti per recarsi negli Stati Uniti d'America al fine di partecipare alla riunione degli Stati
Parti. È piena responsabilità dei rappresentanti delle ONG prendere accordi per visti, viaggi e costi correlati. È consigliabile che i rappresentanti delle ONG prendano accordi per visti e viaggi il prima possibile.
X. Punto di contatto
27. Il segretariato è stato informato che il punto di contatto designato per le ONG in relazione alla partecipazione delle ONG alla Riunione degli Stati Parte è il seguente:
Annette Willi - Coordinatrice della società civile
Campagna internazionale per l'abolizione delle armi nucleari
E-mail: tpnw-msp@icanw.org
Telefono: +41 22 788 20 63
Checklist per i rappresentanti delle organizzazioni non governative Scadenza
Richiesta di ospitare eventi collaterali o mostre - 13 gennaio 2025
Richieste di accreditamento inviate al segretariato - 20 dicembre 2024
Notifica tramite e-mail dal segretariato ai rappresentanti
per informarli dello stato della loro richiesta - 4 gennaio 2025
Richiesta di registrazione aggiuntiva dei rappresentanti - 24 febbraio 2025
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Oggetto: partecipazione al 3MSP del Trattato di proibizione delle armi nucleari
c.a. Gentile coordinatrice della società civile - Annette WILLI
Siamo i Disarmisti esigenti, tra i membri ICAN in Italia.
Stiamo organizzando la delegazione che parteciperà all’incontro ICAN dell’1 e 2 marzo 2025 e al 3MSP dal 3 al 7 marzo.
Attualmente la delegazione di persone da accreditare è così composta:
Alfonso Navarra – coordinatore alfiononuke@gmail.com cell. +39 340 073 68 71
Greta Triassi – punto di contatto - gretatriassi@gmail.com cell. + 39 327 786 89 43
Ennio Cabiddu – collettore pass ecci2@tiscali.it cell. + 39 366 653 53 84
Paola Paesano - Costituente Terra paola.paesano@cultura.gov.it cell. + 39 348 763 59 66
Giovanna Cifoletti – femminista contro la guerra cifolet@gmail.com cell. + 39 351 970 10 01
Teresa Lapis – WILPF Italia lapisteresa@gmail.com cell. +39
Antonella Nappi – femminista contro la guerra antonella.nappi@unimi.it tel. +39 (02) 58105815
Pensiamo di ampliare questa delegazione e quindi ci prenotiamo per i nomi da aggiungere entro la scadenza del 24 febbraio 2025.
Siamo interessati a fare interventi orali nel corso del meeting e stiamo preparando un aggiornamento del working paper già presentato al 2MSP.
Stiamo anche valutando un side event sulla possibile sinergia tra proibizione delle armi nucleari e non primo uso delle stesse quale percorso di affiancamento verso un mondo disarmato.
Per concretizzare la nostra disponibilità a partecipare e il nostro impegno invitiamo a telefonare al punto di contatto Greta Triassi, che riceverà anche un accredito stampa dalla testata Frigidaire.
Cordiali saluti,
Alfonso Navarra – coordinatore dei disarmisti esigenti – www.disarmistiesigenti.org
Email alfiononuke@gmail.com – cell. +39 340 073 68 71
Subject: Participation in the 3MSP of the Treaty on the Prohibition of Nuclear Weapons
To the kind attention of Civil Society Coordinator - Annette WILLI
We are the Demanding Disarmists, among the ICAN members in Italy.
We are organizing the delegation that will participate in the ICAN meeting on March 1 and 2, 2025 and in the 3MSP from March 3 to 7.
Currently the delegation of people to be accredited is composed as follows:
Alfonso Navarra – coordinator (head of delegation) alfiononuke@gmail.com cell. +39 340 073 68 71
Greta Triassi – contact point - gretatriassi@gmail.com cell. +39 327 786 89 43
Ennio Cabiddu – pass collector ecci2@tiscali.it cell. +39 366 653 53 84
Paola Paesano - Costituente Terra paolapaesano3@gmail.com cell. +39 348 763 59 66
Giovanna Cifoletti – anti-war feminist cifolet@gmail.com cell. +39 351 970 10 01
Teresa Lapis – WILPF Italia lapisteresa@gmail.com cell. +39 335 603 46 51
Antonella Nappi – anti-war feminist antonella.nappi@unimi.it tel. +39(02)58105815
We are thinking of expanding this delegation and therefore we are registering for the names to be added by the deadline of February 24, 2025.
We are interested in making oral interventions during the meeting and are preparing an update of the working paper already presented at the 2MSP.
We are also evaluating a collateral event on the possible synergy between the prohibition of nuclear weapons and their non-first use as a path of support towards a disarmed world.
To make our willingness to participate and our commitment concrete, we invite you to call the contact point Greta Triassi, who will also receive press accreditation from the Frigidaire newspaper.
Kind regards,
Alfonso Navarra – coordinator of the Demanding disarmists
Email alfiononuke@gmail.com – cell. +39 340 073 68 71 – www.disarmistiesigenti.org
Il 26 settembre è la giornata ONU contro le armi nucleari. Dalle ore sedici alle ore diciotto in LOC (lega obiettori di coscienza), via Mario Pichi, 1 - Milano, i Disarmisti esigenti, membri ICAN, propongono filmati sulla vicenda del colonnello sovietico Stanislav Petrov, che il 26 settembre 1983 salvò il mondo da una guerra nucleare per errore.
Per contatti e info: Alfonso Navarra cell. 340-0736871. LOC telefono fisso: 02-58101226
1 - comunicato sulla iniziativa del 26 settembre "PETROV DAY" alla LOC di via Pichi - Milano
2 - commento di Alfonso Navarra sulla corsa al riarmo nucleare che va fermata, come propone la rete ICAN, anche tagliando e boicottando i finanziamenti per la "deterrenza"
3- articolo di Luigi Mosca, comparso anche su PRESSENZA, sul passaggio dalla proibizione alla eliminazione effettiva delle armi nucleari
4 - articolo di Mario Agostinelli sulla giornata ONU per l'eliminazione delle armi nucleari
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1 - comunicato sulla iniziativa del 26 settembre "PETROV DAY" alla LOC di via Pichi - Milano
Oggi, rispetto al periodo della guerra fredda, in cui avvenne l'episodio, questo rischio tende ad aggravarsi sia per il caos geopolitico (si pensi alle guerre sul territorio ucraino e in Medio Oriente), sia per i progressi tecnologici male indirizzati (miniaturizzazione delle armi, velocità ipersonica, intelligenza artificiale).
Le spese in armamenti nucleari vanno crescendo ed i 9 Stati dotati hanno superato nel 2023 la cifra di 90 miliardi di dollari per i loro arsenali.
Citiamo la petizione ( Ricordiamo Petrov No rischio nucleare - Petizioni.com) con la quale abbiamo proposto e proponiamo alle attiviste e agli attivisti pacifisti italiani di darsi da fare perché siano intitolate vie o piazze all'obiettore russo (obiettore dell'intelligenza!) per sensibilizzare sul crescente rischio nucleare.
La campagna ICAN (Campagna Internazionale per l'Abolizione delle Armi Nucleari), premio Nobel per la pace 2017, ha appena indetto, dal 16 al 22 settembre, una settimana di azione globale per dire basta alla spesa nucleare.
Sul sito ufficiale dell'organizzazione (ICAN - Campagna Internazionale per l'Abolizione delle Armi Nucleari (icanw.org) ) abbiamo la notizia che 73 Stati hanno già ratificato il Trattato di proibizione delle armi nucleari.
In Italia le forze aderenti ad ICAN lavorano per coinvolgere gli Enti Locali nell'ICAN PLEGDE (100 città, tra le quali la capitale Roma, grazie in particolare a WILPF Italia), cui attualmente aderiscono circa 30 parlamentari, nella modalità per essi predisposta.
Un altro terreno di opposizione disarmista che si è aperto, con possibili implicazioni antinucleari, riguarda la decisione di installare in Germania nel 2026 missili a raggio intermedio (da 500 a 5.500 km), che è anche frutto della disdetta del Trattato INF (Forze nucleari intermedie), dichiarata, nel 2019, dall'allora presidente USA Donald Trump.
A Berlino, il 3 ottobre 2024, è prevista una grande mobilitazione nazionale del movimento pacifista tedesco. Su questo punto dei cosiddetti EUROMISSILI l'esperienza "storica" del Cruisewatching a Comiso e in Europa, sviluppatasi dal 1984 al 1987, dà l'indicazione di non mollare mai, fino al possibile, riconosciuto, successo (allora costituito dalla firma del Trattato da parte di Gorbaciov e Reagan).
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2- commento di Alfonso Navarra sulla corsa al riarmo nucleare che va fermata: basta, come propone ICAN, con il finanziare le armi "atomiche"!
Nel conflitto per interposta Ucraina tra la NATO e la Russia, sta crescendo il rischio di un confronto armato aperto tra grandi potenze nucleari. Le rinnovate, spesso esplicite, minacce di Putin di impiegare testate "tattiche" se, da una parte, mostrano che, nel quadro del diritto internazionale, non ci stiamo dirigendo verso la fine del conflitto, dall’altra aumentano il rischio di errori di calcolo. (Anche se molti analisti confidano in un relativo stallo sulle linee del fronte e in una svolta rappresentata da un nuovo presidente degli USA, che sarà eletto il prossimo novembre).
Non vanno sottovalutate le dichiarazioni di Putin del 25 settembre 2024 riportate da un dispaccio ANSA. Si annuncia una revisione della dottrina nucleare. Un attacco contro la Russia condotto con razzi, droni, aerei, armi aeree e spaziali, e quanto altro, da un Paese che non dispone di bombe atomiche ma "con la partecipazione o l'appoggio di uno Stato nucleare" potrà essere considerato "una aggressione congiunta contro la Federazione russa". Questo atteggiamento del Cremlino, si badi bene, viene scritto nero su bianco, "perché - dice Putin - siamo obbligati a tenere conto di nuove fonti di minacce". Ecco quindi che si parla della possibile risposta nucleare, magari una esplosione dimostrativa in mare, a un'azione ucraina appoggiata da Stati Uniti e Paesi nucleari europei.
La retorica della deterrenza, a differenza che durante la Guerra Fredda, comincia a farsi minaccia concreta di impiego, sfortunatamente un giorno sì e l'altro pure; e non possiamo ignorare la pericolosità della nuova situazione del confronto internazionale, che potrebbe portarci ad avventure senza ritorno.
Nonostante i trattati sulle armi nucleari, si stima che nel mondo oggi ci siano 12-13.000 testate "atomiche". E due Stati con armi nucleari sono direttamente in guerra (Russia e Israele). Il quinto Rapporto ICAN sulla spesa globale nucleare fa emergere dati che indicano un aumento importante nel 2023 delle spese per l’ammodernamento dell’arsenale nucleare (insieme a quello dei caccia per il loro trasporto). I 91 (circa) miliardi di dollari stimati equivalgono a oltre 173 mila dollari al minuto.
Il rapporto, dal titolo "Surge: 2023 Global nuclear weapons spending", è scaricabile al seguente link:
https://www.icanw.org/surge_2023_global_nuclear_weapons_spending
La Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari (ICAN – Premio Nobel per la pace 2017), network con più di seicento organizzazioni in 100 Paesi impegnate nella lotta per l’abolizione delle armi nucleari – dal 16 al 22 settembre ha promosso la prima “Settimana di azione globale sulla spesa nucleare”. Noi, disarmisti esigenti, tra i membri italiani di ICAN, sosteniamo questa specifica iniziativa, anche se crediamo manchi in questo momento, da parte della rete internazionale, una capacità strategica più complessiva nell'indirizzare una più articolata gamma di azioni. E' la necessità di un collegamento con la campagna "No first use" che - come è noto - caldeggiamo e che è al centro del working paper che abbiamo presentato al secondo meeting degli Stati parte del TPNW (dovrà essere illustrato al terzo meeting).
L'aumento di spesa, che ha toccato oltre quota 90 miliardi, è un avvertimento che ICAN lancia: significa che, anche se il numero di testate non sta aumentando, i nove Stati dotati di armi nucleari stanno modernizzando i loro arsenali e quindi manifestano la loro disponibilità ad utilizzarli. Le minacce di impiego delle bombe atomiche, che - come si è detto - diventano esplicite, in particolare sull’Ucraina, dimostrano che, purtroppo, l'opzione nucleare in ambito militare si fa facendo concreta e i soldi investiti – nonostante la crisi economica – sono un indicatore abbastanza chiaro in questo senso.
Ecco la necessità di coinvolgere la società civile più ampia nell'impegno sul problema per accrescere la sua pressione sulle istituzioni che fanno orecchie di mercante. Sviluppare la sensibilizzazione e la discussione tra gli attivisti di base serve anche a far emergere quanto il tema delle spese nucleari sia strettamente connesso con quello del coinvolgimento, da boicottare, delle banche che finanziano il settore. E’ bene ricordare che il movimento per il disarmo nucleare è di antica data e che è stata proprio la società civile attraverso la rete ICAN ad avere fatto incardinare, nel 2017, il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW). Il Trattato è in vigore il 22 gennaio 2021, ma va ricordato che l’Italia, insieme praticamente a tutti i Paesi NATO, ha votato contro l’adozione. Ed è quasi scontato osservare che nessuna delle potenze nucleari ha finora aderito. Ma esiste una differenza tra esse su cui lavorare relativamente alle strategie di impiego. Il non primo uso, proclamato finora soltanto dalla Cina, accompagnato con misure concrete, sotto controllo AIEA, di "deallertizzazione delle testate", nell'interesse degli stessi Stati dotati, può ridurre il rischio di guerra nucleare per errore.
91 miliardi costituiscono uno spreco scandaloso di risorse di fronte a oltre 2 miliardi di persone sotto la soglia di povertà nel mondo. E la politica dei governi distoglie lo sguardo da una sofferenza umana, a conti fatti rimediabile, per alimentare invece la prospettiva di una sofferenza ancora peggiore! Le armi "atomiche", in caso di utilizzo in guerra, sarebbero un fattore pregiudicante l’esistenza di gran parte della popolazione mondiale: non devasterebbero solo la zona di guerra dove verrebbero utilizzate. In caso di guerra nucleare allargata tra USA e Russia, la maggior parte dei morti, stimabili in miliardi di persone (se va bene!), non si produrrebbero quando esplodono le bombe bensì dopo, sia per le radiazioni, sia per il cosiddetto “inverno nucleare”: tutti gli studi più recenti lo dimostrano.
E' così difficile capire, da parte dei potenti della Terra, che le risorse che ci sono possono essere spese non per la preparazione della morte, giustificata come "deterrenza" (in realtà genocidio programmato in cui tutti gli umani siamo tenuti ostaggi!), bensì per rafforzare la speranza di vita? Proviamo, facendo un esempio tra i tanti possibili, a fare mente locale sul fatto che quasi 17 mila vaccini contro malattie infantili come il morbillo potrebbero essere somministrati con il valore della spesa di un solo secondo per le armi nucleari! Ecco che emergerebbe con evidenza che si tratta di scegliere come investire le risorse; e di rendersi conto che i programmi sulle armi nucleari sottraggono fondi pubblici ai bisogni vitali (acqua, cibo) e ai servizi che rendono dignitosa la vita umana, dalla salute, all'istruzione, alla salvaguardia dell'ambiente.
A dire il vero, questo ragionamento può valere per la spesa militare in quanto tale, anche se, anche per ragioni di adeguamento alla coscienza generale, che è magari pacifista ma è in ritardo sul cammino della nonviolenza, potrebbe essere operata una distinzione tra armi "offensive" ed armi "difensive", inquadrabili in diversi tipi di "modelli di difesa". La maggior parte dei fondi che pretendono di puntare alla pace preparando la guerra possono essere invece utilizzati per coltivare la pace, per ridurre le disuguaglianze, per riparare i danni che l'umanità sta arrecando agli ecosistemi. La pace con la Natura anzi ha da essere considerata prioritaria, la condizione per una pace autentica e positiva tra gli esseri umani.
Attualmente l’Italia, firmataria dei trattati internazionali di non proliferazione e di controllo degli armamenti, non produce né possiede armi nucleari ma partecipa, insieme a Belgio, Germania, Olanda e Turchia, al programma di “condivisione nucleare” della NATO, esplicitamente finalizzato alla "guerra limitata al teatro europeo". Ne consegue, in virtù anche di trattati segreti con Washington, che testate nucleari si trovano ospitate sul suolo italiano, ma - al di là della favola sulla "doppia chiave" - sotto il totale controllo statunitense. A livello ufficiale non si conferma né si smentisce la presenza di testate nucleari americane nel nostro Paese che si troverebbero nelle basi di Aviano (Pordenone) e Ghedi (Brescia). Per una stima numerica, da un po' di anni, si parla generalmente, su un totale di 200 testate USA in Europa, di una cinquantina di testate in Italia. Vi è poi il problema del via vai nei porti nucleari, dove attraccano navi e sommergibili che, in caso di crisi, potrebbero ospitare natanti "strategici" con a bordo armi nucleari.
Non è il momento - per una serie di condizioni oggettive e soggettive, di porre subito il problema dell'uscita del nostro Paese da una Alleanza Atlantica che, nella sua ispirazione profonda, comunque è contro lo statuto dell'ONU. Però possiamo e dobbiamo fare a meno, dopo il nucleare civile, anche del nucleare militare, come comunità nazionale che, a detta di tutti i sondaggi riportati dai media mainstream, ha una opinione pubblica largamente pacifista. Ce lo impone, oltretutto, il nostro dettato costituzionale (art. 11) e a maggior ragione, per quanto finora argomentato; ed anche la constatazione egoistica che in caso di guerra nucleare, con le nostre basi atomiche da segreto di Pulcinella, saremmo subito bersaglio di un attacco missilistico nemico. La nostra prospettiva di distruzione minacciata e subita si trova drammaticamente di fronte al disinteresse delle istituzioni e di gran parte della politica, con i partiti che vediamo parlare di pace votando invece scelte di guerra.
In questo contesto urge disinnescare il conflitto ucraino e non ha alcun senso gettare benzina sull'incendio in corso con la fornitura di armi all'esercito di Kiev. Ed urge, senza parteggiare per Hamas, Hezbollah e gli ayatollah iraniani che le sponsorizzano, non agevolare Israele in una "autodifesa" che è vendetta con annessi crimini di guerra, rendendosi complici con il tentativo di Netanyahu di incendiare il Medio Oriente per sfuggire ai processi che lo attendono.
In conclusione: la corsa verso il precipizio va arrestata nella consapevolezza che la deterrenza nucleare, in tutti i suoi aspetti, costituisce, al di là delle illusioni immediate, la "massima garanzia di insicurezza": una mobilitazione globale dal basso è quindi indispensabile. È necessario che i cittadini "facciano chiasso" (l'espressione è stata usata da Papa Francesco) e premano sui governi e le organizzazioni internazionali per esigere un dialogo immediato tra le parti coinvolte e nuovi tavoli per il disarmo nucleare. La sicurezza collettiva non può essere costruita sulle minacce nucleari e sulle guerre, ma solo sulla diplomazia che ricerca, più che le paci astrattamente "giuste", le "paci possibili".
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3- articolo di Luigi Mosca del 10-12-2023
Come passare da un divieto giuridico, quello del TPNW, a un'eliminazione effettiva, totale e irreversibile delle armi nucleari (1)
Questo si basa sui progressi emersi nel 2°Esimo Riunione degli Stati parti del TPNW (Trattato sulla proibizione delle armi nucleari – TPNW) (2)
La questione sollevata nel titolo è importante poiché, nonostante alcuni notevoli successi del TPNW, dopo la sua adozione il 17/07/2017 e la sua entrata in vigore il 22/02/2021, nessuno degli Stati dotati di armi nucleari, né i loro alleati, hanno finora aderito a questo trattato.
Ricordiamo innanzitutto, in breve, i principali successi del TPNW fino ad oggi:
Ci sono già 93 Stati firmatari e 70 Stati che lo hanno ratificato.
Inoltre, centinaia di città in tutto il mondo, tra cui New York, Washington DC, Hiroshima, Nagasaki, Philadelphia, Los Angeles, Toronto, Ottawa, Montreal, Vancouver, Oslo, Helsinki, Berlino, Colonia, Berna, Ginevra, Sydney, Melbourne, Milano, Torino, Bologna, Padova, ecc., hanno invitato i loro governi ad aderire al TPNW e in Francia 76 città, tra cui Parigi, Lione, Bordeaux, Grenoble, Montpellier, Tours e Besançon. ha invitato il governo francese ad aderire al TPNW.
D'altra parte, la forte stigmatizzazione delle armi nucleari da parte del TPNW ha portato a più di cento (attualmente 109) agenzie di finanziamento nel mondo (banche, tra cui Deutsche Bank, alcuni dei più importanti fondi pensione, ecc.) da ridurre o addirittura interrompere completamente (circa la metà) il finanziamento delle armi nucleari. (3)
Diamo ora un'occhiata ai principali progressi emersi nel 2°Esimo Riunione degli Stati Parte del TPNW:
I risultati del 1°pronto soccorso Riunione degli Stati parti nel giugno 2022, in particolare il "Piano d'azione di Vienna" (4), forniscono una solida base su cui sono stati compiuti ulteriori progressi durante il periodo intersessionale. In effetti, le riunioni intersessionali hanno fatto progredire l'approccio collaborativo di questo Trattato, grazie all'impegno degli Stati, della società civile e del mondo accademico ad attuare le disposizioni del Trattato. Le discussioni intersessionali hanno affrontato alcuni dei temi più salienti del disarmo nucleare, sia nel contesto del TPNW che altrove. Questi includono la verifica del disarmo nucleare, l'assistenza alle vittime e la riparazione ambientale, l'universalizzazione del TPNW, la sua complementarità con il TNP e altri trattati sul disarmo, nonché gli aspetti legati al genere del disarmo nucleare. Un gruppo di 23 parlamentari provenienti da 14 paesi ha contribuito attivamente a sensibilizzare e sostenere il TPNW a diversi livelli in Europa. Il rapporto (5) del Gruppo consultivo scientifico (istituito un anno fa) sullo stato e lo sviluppo delle armi nucleari, sui rischi associati alla loro esistenza, sulle loro potenziali conseguenze umanitarie e sul disarmo nucleare, è emerso come un documento importante per tutte le parti interessate. In particolare, un argomento che è stato sottoposto a un'analisi molto critica è quello della "deterrenza nucleare".
L'istituzione di questo gruppo scientifico rappresenta quindi un'iniziativa importante di queste riunioni degli Stati parte del TPNW.
Un altro evento molto importante è stato quello di un certo numero di non Stati parti che hanno partecipato a questa riunione in qualità di osservatori. Si tratta di un passo importante verso un dialogo autentico, inclusivo e trasversale sul disarmo nucleare: un vero e proprio "ponte" tra Stati, a volte molto distanti tra loro.
Alcuni di questi stati non aderenti sono membri della NATO (Germania, Belgio e Norvegia): guardano con interesse al TPNW e sono persino pronti a collaborare su alcuni punti del Trattato, tra cui l'assistenza alle vittime e la riparazione ambientale, ma si ritengono impossibilitati ad aderire al TPNW a causa delle "regole" della NATO di cui fanno parte (soprattutto Germania e Belgio che ospitano sul loro suolo bombe nucleari provenienti dagli USA!)
Da qui alla prossima riunione degli Stati parte del TPNW, che si terrà a New York dal 3 al 7 marzo 2025 sotto la presidenza del Kazakistan, i partecipanti a questa 2a riunione si terranno nelEsimo Meeting si impegnano a proseguire e incrementare le proprie attività sullo slancio delle iniziative in corso.
Ecco alcune considerazioni e suggerimenti più personali...
Come abbiamo visto, paesi come Germania, Belgio e Norvegia ritengono che la loro adesione alla NATO costituisca un ostacolo alla loro possibile adesione al TPNW. D’altro canto, l’aggressione della Russia verso l’Ucraina, e indirettamente verso l’”Occidente”, costituisce per questi paesi una delle ragioni principali per rimanere nella NATO.
Ne consegue che l’unico modo per sbloccare questa situazione sarebbe cambiare radicalmente la natura del rapporto tra Occidente e Russia.In breve: passare da una “cultura del nemico” (lose-lose) a una “cultura della cooperazione” (win-win).
Un'utopia fantastica? Diamo un'occhiata alla storia:
A seguito del crollo dell’Unione Sovietica (un grave trauma e una profonda umiliazione per la Russia e soprattutto, successivamente, per il suo Presidente Putin), nel periodo 1992-2003 si è verificato un significativo riavvicinamento tra la Russia e l’Occidente, al punto che una era stato avviato il processo per consentire alla Russia di aderire alla NATO, che ovviamente avrebbe ridefinito i suoi obiettivi.
Un ruolo importante in questo contesto è stato quello di Evgenij Primakov – ministro degli Esteri di Boris Eltsin – che sosteneva una geopolitica multipolare. Ma... una notte (nel 1999) Primakov stava sorvolando l'Oceano Atlantico in direzione di Washington: non appena ricevette il messaggio che la NATO aveva iniziato a bombardare Belgrado, ordinò immediatamente al pilota di fare dietrofront e tornare a Mosca.
Il resto è noto: tra il 2004 e il 2020, la NATO è cresciuta da 16 a 30 paesi membri, dispiegando varie armi in Polonia, Romania e negli Stati baltici, al confine con la Russia.
Inoltre, al vertice NATO del 2008 a Bucarest, gli alleati hanno dichiarato che “la Georgia e l’Ucraina potrebbero aderire alla NATO in futuro”.
Ora tutto ciò è stato evidentemente percepito dalla Russia come un tradimento delle promesse fatte dai leader occidentali (George Bush Sr., Kohl, Mitterrand, la signora Thatcher e Manfred Wörner, segretario generale della NATO) negli anni '90 secondo cui la NATO non avrebbe esteso "neppure un pollice" a est della Germania riunificata, come ha affermato il segretario di stato del presidente George Bush, James Baker.
Potremmo quindi parlare di «esigenza attuale di rinnovare un dialogo interrotto circa vent’anni fa».
Quindi cosa fare? Cercando di realizzare ora, in condizioni molto più difficili, ciò che non è stato fatto negli anni ’90, quando il contesto geopolitico era molto più favorevole,
Vale a dire: aprire negoziati con la Russia sui “problemi di frontiera” basati sullo status delle popolazioni di origine russa nei paesi dell’Est, in particolare in Ucraina, in Moldavia e nei tre paesi baltici, che costituiscono altrettante “bombe a orologeria”, il primo dei quali è già esploso in Ucraina.
Ad esempio, in Estonia e Lettonia circa 1/3 della popolazione è di origine russa e più della metà di loro è priva di qualsiasi nazionalità!!
Tuttavia, riuscire a stabilire relazioni pacifiche e costruttive tra la Russia e il resto dell’Europa avrebbe un effetto positivo anche sul processo di disarmo nucleare, sebbene, ovviamente, non sufficiente per un disarmo efficace e generale.
Per fare questo, tutti e 9 i paesi dotati di armi nucleari devono (anche con i loro alleati) “arrivare gradualmente a un posto allo stesso tavolo delle trattative”, avendo preso coscienza che il possesso di armi nucleari costituisce un rischio inaccettabile innanzitutto per loro stessi.
Se da un lato spetta a questi Stati prendere questa iniziativa, spetta anche a noi, società civile, aiutarli a raggiungere tale consapevolezza.
Quale degli stati nucleari potrebbe essere l'iniziatore di un tale processo? Si pensi alla Cina che, nonostante il suo regime totalitario, ha adottato un atteggiamento relativamente aperto nei confronti del processo che ha portato all'adozione del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari ed è l'unico Stato nucleare ad aver completamente escluso dalla sua dottrina qualsiasi forma di attacco nucleare "per primo".
Come primo passo, la Cina potrebbe proporre la creazione di un Gruppo di lavoro, composto da esperti dei 9 Paesi nucleari (un WG9) con la missione specifica di formulare una "tabella di marcia" realistica per un disarmo multilaterale coordinato, che servirebbe poi come base per i negoziati tra i 9 Stati nucleari e i loro alleati.
Allora l'adesione universale al TPNW, il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, non dovrebbe più incontrare ostacoli significativi.
Per concludere, possiamo ricordare qui ciò che sosteneva Mikhail Gorbaciov: "Se uno Stato vuole essere sicuro, deve prima contribuire a garantire la sicurezza di tutti gli altri Stati": tuttavia, la "deterrenza nucleare" fa esattamente il contrario!
Note
(1) Cfr. anche il documento di lavoro "Una strategia per passare dal divieto giuridico a un'eliminazione effettiva, totale e irreversibile delle armi nucleari"
(2) Si vedano gli articoli di Sandro Ciani ("Mondo senza guerre e senza violenza") a seguito di questo Incontro sull'Agenzia di Stampa Internazionale "Pressenza", così come la Dichiarazione Finale di questo 2° incontroEsimo Riunione degli Stati Parte del TPNW:
(3) Il «Piano d'azione di Vienna» alla 1ª riunione degli Stati parti del TPNW
(4) Visualizza il rapporto "Allontanarsi dalla distruzione di massa" (luglio 2023)
Relazione del gruppo consultivo scientifico sulle sue attività annuali
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Mario Agostinelli sulla giornata ONU per l'eliminazione delle armi nucleari
Ci troviamo di fronte al più grande problema che l’umanità abbia mai affrontato: l’erosione e il possibile collasso dei nostri sistemi di supporto alla vita. Nella fase attuale, il pericolo nucleare, il cambiamento climatico e la distribuzione ineguale di ricchezza e reddito, offrirebbero progetti per una partnership tra i potenti del mondo, che tutto il resto dell’umanità non potrebbe che condividere. Ma l’opinione pubblica viene distratta dall’obbiettivo centrale in questa fase: il diritto della pace da cui prendono vigore tutti gli altri diritti.
Perfino l’atomica non assume più categoricamente quel significato di deterrenza che aveva allontanato l’immagine della catastrofe per tutta la guerra fredda e dopo gli eventi terribili di Hiroshima e Nagasaki. Al contrario, il segno della fase in corso è purtroppo quello del conflitto armato e senza sbocco: chi è contro la guerra – cui la crisi climatica fa da contorno - viene giudicato come un antagonista, a prescindere da come sappia inquadrare, comunicare e rendere credibili i propri appelli.
Viene così sfuocata insistentemente l’immagine della catastrofe che – una volta precisata - dovremmo cercare con più forza di evitare, in vista della definitiva perdita del nostro pianeta.
Per non lasciare spazio alla credibilità (etica e politica) dell'idea ancora predominante dello scontro armato, come fatto naturale e inevitabile che, pur di giungere alla vittoria, ricorre al genocidio, alle distruzioni più immani, alla legittimazione di armi sempre più potenti come gli ordigni nucleari, occorre farne comprendere l'assoluta inutilità, data la non riparabilità delle distruzioni che esso può creare, soprattutto nell'ambito della vita.
Di fronte alla guerra, la pratica predominante è quella di credere di poter stare da una parte o dall'altra. A mio avviso, dobbiamo sempre prendere posizione “contro la guerra” ed essere assolutamente intransigenti quando viene portato sulla scena il ricorso al nucleare.
Il 26 SETTEMBRE di ogni anno costituisce la giornata internazionale per l’eliminazione totale delle armi nucleari. Il 2024 deve fornire l’occasione perché questa ricorrenza – istituita nel 2013 dall’ONU – faccia accrescere la consapevolezza sui costi sociali, economici e di sicurezza che gli arsenali nucleari comportano e sui concreti benefici che deriverebbero dal loro completo smantellamento.
Il disarmo nucleare è un obiettivo cruciale delle Nazioni Unite, già al centro della prima Risoluzione dell’Assemblea Generale nel 1946. La sua discussione è stata poi ampliata nel corso delle conferenze che si sono tenute sin dal 1975 e che hanno portato gli Stati membri a siglare il Trattato di non proliferazione nucleare. Già nel 1978 si è tenuta la prima Sessione Speciale sul disarmo dell’Assemblea Generale.
Più della metà della popolazione mondiale vive in Paesi dotati di armamenti nucleari o che fanno parte di alleanze nucleari. La comunità internazionale è quasi unanime nel condividere l’obiettivo di un mondo privo di armi atomiche; tuttavia, come si è evidenziato durante i lavori del Summit sulla Sicurezza Nucleare svoltasi lo scorso aprile a Washington, permangono dissensi in merito a modalità e tempistiche per raggiungere questo traguardo.
ICAN, International campaign to abolish nuclear weapons, (v. https://www.icanw.org/ ), ha lanciato una settimana di mobilitazioni contro la spesa per le armi nucleari dal 16 al 22 Settembre: una spesa che nel 2023 è salita a 91,4 miliardi di dollari. ICAN -insignita del Premio Nobel per la pace nel 2017-, è una coalizione di più di seicento organizzazioni in cento Paesi, impegnata nella lotta per l’abolizione delle armi nucleari e nella promozione per la firma del Trattato per la loro proibizione (Tpnw), approvato dalle Nazioni Unite il 7 luglio 2017 e attualmente ratificato da settanta nazioni, tra cui non c’è l’Italia.
La settimana di mobilitazione sarà l’occasione per organizzare momenti di confronto e webinar in collaborazione con Ican stessa, pubblicare materiale di approfondimento e rilanciare i dati della campagna internazionale, focalizzandosi sul nostro Paese. Per l’occasione, il presidente dell’ONU Antonio Guterres, profondamente turbato dagli eventi ucraini e in Medio Oriente, ha mandato un forte messaggio, che va perseguito in iniziative le più efficaci possibili e introiettato nelle coscienze a livello di massa: “Il dono più grande che potremmo fare alle prossime generazioni sarebbe quello di eliminare le armi nucleari. Il 26 Settembre, impegniamoci a creare un nuovo mutuo accordo al fine di disinnescare definitivamente la minaccia atomica e raggiungere il nostro obiettivo comune di pace”.
Entra Zoom Riunione: No ai nuovi euromissili: affiancare il movimento tedesco e superare la sindrome di Asterix
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Il subentro in ICAN di MELISSA PARKE a Beatrice Fihn nella carica di direttrice esecutiva della Campagna non ha, al momento, cambiato la sua impostazione tattica di fondo. Si continua a proporre il Trattato di proibizione - TPNW del 2017 (entrato in vigore il 2021) come soluzione immediata a tutti i problemi tattici del disarmo. Ad opinione dello scrivente e dei Disarmisti esigenti, questo significa nei fatti la rinuncia ad avere una qualsiasi tattica efficace nel contesto reale: non corrisponde alla realtà l'idea che, nel gioco internazionale della potenza, le armi nucleari abbiano un ruolo residuale e anacronistico e che alleanze militari come la NATO possano con relativa facilità rinunciare ad esse. Stiamo vivendo invece un periodo di riarmo nucleare generale, sospinto da crescenti conflitti di potenza (in Ucraina, in Medio Oriente, nei Mari Cinesi...) e per di più "condito" da una nuova, martellante e preoccupantissima retorica sulla impiegabilità delle armi nucleari nei campi di battaglia. Il contesto in cui ci muoviamo non è, purtroppo, di disarmo ma di crescente corsa agli armamenti, anche nucleari. Proprio per questo bisogna puntare a creare contraddizioni tra le potenze nucleari, tentare di coinvolgere in qualche modo la più disponibile, cioè - per cominciare - la Cina (sperando sia presto seguita da altre) - stante alla dichiarazione ufficiale di "non primo uso in qualsiasi circostanza", giostrare sulla "complementarietà" tra Trattato di proibizione e Trattato di Non proliferazione - TNP per rendere più flessibile il primo. Lo scopo? appunto favorire progressi nel TNP che rendano più difficile la "guerra nucleare per errore" (una ipotesi per niente fantastica e risibile) e predisporre condizioni di convergenza nel TPNW di Stati aderenti al TNP "satelliti" di potenze nucleari primarie. Si pensi a tutti i Paesi della NATO (arrivata a 32 Stati membri). E' quanto abbiamo proposto, come Disarmisti esigenti & partners, nel working paper presentato al Secondo meeting degli Stati parte del TPNW, sul quale possiamo leggere quanto segue:
"Per questo obiettivo del disarmo nucleare effettivo, in sostanza proponiamo che tutti i 9 paesi che possiedono armi nucleari (insieme ai loro alleati) si siedano allo stesso tavolo delle trattative, con l'ONU nel ruolo di mediatrice riconosciuta, avendo compreso che il possesso di armi nucleari costituisce un rischio inaccettabile, in primo luogo per loro stessi. Il pericolo concreto di una possibile "guerra nucleare per errore" andrebbe messo in cima alle ragionevoli preoccupazioni di chiunque abbia a cuore la sopravvivenza della specie umana sulla Terra. Se da un lato spetta a questi Stati dotati di armi nucleari prendere questa iniziativa, spetta anche a noi, società civile, aiutarli a raggiungere tale consapevolezza anche mediante una "esigente" pressione dal basso. Negli ultimi tempi questo rischio è ancora aumentato principalmente a causa di due fattori: 1. lo sviluppo delle "mini-nuke", cioè armi nucleari di potenza intermedia tra quella della bomba di Hiroshima e quella delle armi convenzionali. Queste "mini-armi nucleari" saranno più facili da usare sui campi di battaglia e quindi romperebbero il "tabù" dell'uso delle armi nucleari, con le conseguenze che possiamo facilmente immaginare. 2. il possibile utilizzo degli algoritmi di IA ("Intelligenza Artificiale") nella rilevazione di attacchi nucleari e, cosa ancora peggiore, nel processo decisionale per un'eventuale ritorsione. Di conseguenza dobbiamo concentrarci principalmente su questi due fattori di rischio per convincere gli Stati dotati di armi nucleari a decidere un disarmo nucleare globale. Quindi, l'adesione universale al TPNW, il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, non dovrebbe più incontrare gli ostacoli argomentativi che finora vengono solitamente frapposti. (...) Proponiamo di lavorare per armonizzare e integrare la Campagna ICAN con la Campagna No First Use (NFU) perché riteniamo importante schiudere ammorbidimenti e contraddizioni nel fronte nuclearista, già non del tutto monolitico. Sarebbe apprezzabile che l'adozione ufficiale di dottrine sulla deterrenza che escludano un primo colpo nucleare in qualsiasi circostanza sia accompagnato da misure, sotto controllo IAEA, che rendano più difficile la guerra nucleare per errore, come la "deallertizzazione" delle testate e la separazione delle stesse dai vettori. Il TPNW già, all'articolo 4, prevede un periodo di conversione e una certa flessibilità nelle forme di adesione da parte degli Stati dotati di armi nucleari e degli Stati che ospitano armi nucleari controllate da un altro Stato. Entro la prossima conferenza di revisione, fissata nel 2027, possiamo stabilire una categoria riconosciuta formalmente di Stati "associati" e/o "fiancheggiatori" (o altro termine similare) del Trattato. Sarebbero Stati non aderenti a pieno titolo ma orientati positivamente verso il percorso della proibizione giuridica, valutato quale strumento utile e opportuno, compatibile con le istanze di sicurezza globale, per giungere a un mondo senza armi nucleari".
Per il testo del working paper (anche in inglese) si vada al link: https://www.petizioni24.com/ican-nfu
La dovremo presentare ufficialmente, questa proposta contenuta nel working paper, quale organizzazione accreditata membro ICAN in Italia, al Terzo meeting, previsto - sotto la presidenza del Kazakistan - nel 2025 a New York, la settimana che inizia il 3 marzo.
Queste considerazioni spiegano perché riteniamo che, se occorre ricorrere, in Italia, ad uno strumento di LEGGE DI INIZIATIVA POPOLARE (LIP), preferiamo che sia meglio non prendere subito di petto la ratifica del nostro Paese al Trattato di proibizione delle armi nucleari.
Al momento l'impegno degli attivisti di ICAN, in Italia e nel mondo, guardando soprattutto ad Occidente, è quello di accerchiare con le città gli Stati per ottenere nuove adesioni al TPNW, aumentando quantitativamente in modo lineare gli Stati ratificanti e puntando in particolare a "sfondare" in qualcuno dei Paesi NATO.
A nostro parere, questa linea è tatticamente inefficace perché basata su due presupposti del tutto opinabili: 1) le armi nucleari sono già militarmente obsolete; 2) per i Paesi NATO non è difficile dissociarsi dal nucleare, che non è citato nel Patto del 1949.
Non si è capita, lo ripetiamo, la fase, che - trainata dalle grandi guerre in corso - non solo è di riarmo nucleare generale ma anche di sciagurata introduzione di una nuova retorica sulla impiegabilità delle stesse sui campi di battaglia.
Il problema non è l'aumento quantitativo delle ratifiche, da perseguire con progressione lineare, che ora come ora non sposta una virgola nei rapporti di forza internazionali rispetto all'alternativa riarmo-disarmo.
Il problema è quello di tentare in tutti i modi di provocare una crepa - da allargare - nel fronte nucleare.
Ed è su questo punto che dovremo esercitare la nostra fantasia propositiva ed eventualmente, a nostro parere, avanzare in Italia una LIP studiata in modo acconcio.
La LIP, in sostanza, non dovrebbe riguardare una immediata, impossibile ratifica del TPNW da parte dell'Italia, che equivarrebbe nei fatti alla richiesta di una uscita dalla NATO, non matura negli attuali rapporti di forza politici e culturali.
Dovrebbe invece riguardare eventualmente l'indirizzo di un dialogo associativo dell'Italia rispetto al Trattato facendo riferimento all'articolo 4 del TPNW con al centro il non uso, in qualsiasi circostanza, delle armi nucleari.
Questa proposta potrebbe essere forse capita in modo più chiaro e diretto dalla più ampia opinione pubblica, che dalla TV e dai social un giorno sì e l'altro pure si vede squadernate sotto il naso la minaccia dell'uso delle armi nucleari e tende, giustamente, a rimuovere, per paura, il problema.
E' difficile arrivare a pensare che le élites governanti siano tanto stupide da autodistruggersi, ma per sì e per no può risultare utile prospettare l'interruzione del gioco alla roulette russa nucleare in cui purtroppo siamo tutti sempre più esplicitamente trascinati ...
Il primo settembre nell'incontro online che abbiamo organizzato affronteremo il problema in una discussione libera e aperta, esaminando questa ed altre possibili proposte.
(Milano, 25 agosto 2024)
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Tornano gli "euromissili", dopo la disdetta, nel 2019, da parte della presidenza Trump, del Trattato che nel 1987 li aveva eliminati: questo il dato fondamentale di cui prendere coscienza nel suo significato e nelle sue implicazioni. E nell'obbligo di risposta cui ci chiama. Sullo sfondo delle guerre in Ucraina e in Medio Oriente (e di tutti i conflitti armati purtroppo dimenticati), il rischio di escalation anche nucleare si fa molto concreto, distogliendo dalla collaborazione "terrestre", indispensabile per affrontare i veri problemi della crisi ecologica e sociale; e dello stesso disarmo
I disarmisti esigenti hanno individuato tre pilastri su cui costruire la risposta: 1) il respiro non locale, ma ampio e generale, non limitato al versante NATO, pur non perdendo l'ancoraggio alle politiche del disarmo unilaterale, garantito anche dal ricorso a tecniche radicali (azioni dirette, disobbedienza civile) della nonviolenza di base; 2) il riconoscimento del ruolo di battistrada al movimento tedesco, da cui si attendono gli input iniziali per la mobilitazione; 3) la capacità di creare alleanze politiche strette con i soggetti di cui ci si può fidare perché mantengono, con la speranza utopica del futuro, una coerenza non scontata tra pensieri, parole ed opere. Su questo aspetto, per avviare una pressione ed un controllo, i Disarmisti esigenti, "novelli Diogene", sono stati gli unici in Europa a mobilitarsi fisicamente, davanti al Palazzo del Parlamento europeo a Strasburgo, le date della sessione inaugurale della Decima Legislatura, dal 16 al 19 luglio. Ricordiamo che il 18 luglio ha rieletto a capo della Commissione UE Ursula von der Leyen, allargando la sua maggioranza ai Verdi, mentre il 17 luglio una risoluzione "militarista", senza nessun riferimento a tentativi diplomatici e politici per portare la pace, ha ribadito "il fermo impegno dell'Ue a fornire sostegno politico, finanziario, economico, umanitario, militare e diplomatico per tutto il tempo necessario a garantire la vittoria dell'Ucraina".
Per quanto riguarda il primo punto, cioè il puntare al disarmo generale, sono importanti due aspetti: 1-a) le analisi che documentano come il riarmo nucleare intermedio sia oggi praticato anche dalla Russia. Putin nega, ma è ad esempio smentito dalle denunce della dissidente bielorussa, rifugiata in Lituania, Olga Karatch (considerata peraltro da Vilnius una sua "spia" e quindi sul punto di essere cacciata dal Paese). In ogni caso la stipula di auspicabili nuovi accordi INF (Forze nucleari intermedie), includenti possibilmente la Cina, potrà ristabilire dati più plausibili; 1-b) l'esperienza del Cruisewatching che, negli anni Ottanta del secolo scorso, contribuì, durante l'ultima fase del movimento europeo, a sostenere il processo che portò, nel 1987, al già citato accordo INF tra Reagan e Gorbaciov. Il movimento italiano, più abituato ai grandi cortei, ebbe in esso un ruolo secondario, ma non mancò, attraverso il Campo internazionale per la pace di Comiso, di marcare una sua presenza, anche se numericamente molto ridotta.
Per quanto riguarda la situazione del movimento tedesco, dobbiamo registrare al momento uno stato che, sull'argomento, possiamo definire letargico. Un editoriale, a firma Heribert Prantl, apparso il 21 agosto 2024 su Il MANIFESTO quotidiano, dal titolo "Dove è finito il movimento pacifista?", esprime l'imbarazzo di un attivista (giornalista) colpito dalla distrazione e dal silenzio del movimento. Sulla stessa edizione cartacea del 21 agosto un altro articolo ricorda che, secondo l'ultimo sondaggio Civey, un tedesco su due è convinto che gli euromissili porteranno all'escalation del conflitto con Mosca. Insomma, nemmeno in Nord Europa c'è entusiasmo popolare per il nuovo riarmo, specialmente nucleare, anche se la sponda per questo sentimento dissenziente, la cui intensità però è tutta da misurare, è comunque, al momento, raccolta da forze come gli scissionisti della Linke che fanno capo alla Sarah Wagenknecht e soprattutto al partito di estrema destra AFD. Lo possiamo attribuire, questo stato dormiente del movimento, a tre fattori: 1) la posizione dei Verdi e della Sinistra radicale di fiancheggiamento di quella che questi soggetti politici, con influenza sugli attivisti sociali, considerano la "resistenza partigiana ucraina"; 2) la "sindrome di Asterix" che affligge parti consistenti dei movimenti di base: vale a dire l'idea che le lotte vanno gestite, nella dimensione locale, ma con valore simbolico universale, per creare "zone liberate" dalla "oppressione dell'Impero"; 3) la sottovalutazione del rischio nucleare dentro il clima culturale in cui non si vogliono affrontare, per paura del baratro su cui si danza, "problemi troppo grossi" (ma tutto sommato ritenuti contenibili ai livelli di guardia) nella illusione che "le élites non saranno tanto stupide da autodistruggersi".
In questa pagina web ci occupiamo di tutta la problematica sopra delineata, cominciando con un articolo sulla "sindrome di Asterix", propedeutico all'incontro on line, organizzato dai Disarmisti esigenti, del 1 settembre 2024, proseguendo con le analisi sul riarmo nucleare intermedio, riportando i commenti e gli articoli pubblicati da "Il MANIFESTO"
(si vada al link https://disarmistiobiettori.webnode.it/l/rastaeuromissili26/);
e infine proponendo la nostra presa di posizione del 16 agosto 2024, seguente i nostri diari sul presidio a Strasburgo di luglio.
Per il 1 settembre 2024, dalle ore 17:30 alle ore 20:00, come anticipato, abbiamo organizzato una discussione online su piattaforma Zoom.
Entra Zoom Riunione: No ai nuovi euromissili: affiancare il movimento tedesco e superare la sindrome di Asterix
https://us06web.zoom.us/j/89502937624?pwd=9kVlwLToKoh76TbegiP4KmFnXFn7h3.1
E' utile, per essa, come materiale preparatorio, visionare la conferenza organizzata dalla WILPF Italia "ABOLIRE IL NUCLEARE" il 12 luglio alla Città dell'Utopia di Roma. La caratteristica di questo incontro con i giovani del Servizio Civile Internazionale è stata la spiegazione della strategia e delle installazioni nucleari "toccate con mano", a partire dall'esperienza storica della loro contestazione (il Cruisewatching), costata botte e carcere, da parte del movimento di base, che ha creato una conoscenza sociale concreta di validità che giudichiamo paragonabile, se non superiore, rispetto a quella tecnica o accademica.
Questo il link a cui cliccare per vedere la conferenza del 12 luglio registrata:
https://www.youtube.com/watch?v=olLdIyaOYww
Segnaliamo altre iniziative in cantiere: una tre giorni che si sta organizzando a Comiso il 29-30-31 agosto 2024. Dovremmo avere presto maggiori info.
E la proposta, avanzata da Alessando Capuzzo, animatore della denuclearizzazione del Porto di Trieste, di focalizzare sull'esperienza di Comiso, portatrice di insegnamenti per le nuove lotte attuali, la tappa siciliana della Terza Marcia Mondiale per la pace con una iniziativa a Trappeto, presso il Centro Danilo Dolci.
Un editoriale, a firma Heribert Prantl, comparso sulla prima pagina del quotidiano "Il MANIFESTO" (edizione cartacea del 21 agosto 2024), ripreso dalla stampa germanica, denuncia il disinteresse del movimento tedesco rispetto alla notizia che nuovi euromissili NATO, a testata convenzionale, saranno installati nel 2026 in Germania.
Noi pensiamo che questo, in parte sorprendente, silenzio (si spera solo momentaneo) sia dovuto a tre ordini di motivi, mentre Plantl prende in considerazione solo il terzo. Li elenchiamo: 1) la posizione dei Verdi e della Sinistra radicale di fiancheggiamento di quella che questi soggetti politici, con influenza sugli attivisti sociali, considerano la "resistenza partigiana ucraina"; 2) la "sindrome di Asterix" che affligge parti consistenti dei movimenti di base: vale a dire l'idea che le lotte vanno gestite, nella dimensione locale, ma con valore simbolico universale, per creare "zone liberate" dalla "oppressione dell'Impero"; 3) la sottovalutazione del rischio nucleare nel clima culturale in cui non si vogliono affrontare, per paura del baratro su cui si sta danzando, "problemi troppo grossi" (ma giudicati tutto sommato contenibili entro i livelli di guardia) nella illusione che "le élites non saranno tanto stupide da autodistruggersi".
Per quanto riguarda il primo fattore, riteniamo significativo che Prantl non ne faccia cenno: questo è un indizio della influenza del secondo fattore, che abbiamo definito "sindrome di Asterix". Si cancella dal quadro analitico la dimensione politico-istituzionale, la cui rilevanza viene sottovalutata se non negata, e ciò rende monca e distorta la visione della realtà. Sulla stessa edizione cartacea (21 agosto) del giornale citato un altro articolo ricorda che, secondo l'ultimo sondaggio Civey, un tedesco su due è convinto che gli euromissili porteranno all'escalation del conflitto con Mosca. Insomma, anche in Nord Europa non c'è entusiasmo popolare per il nuovo riarmo, specialmente nucleare, anche se la sponda per questo sentimento, la cui intensità è tutta da misurare, è comunque, al momento, raccolta da forze come gli scissionisti della Linke che fanno capo alla Sarah Wagenknecht e soprattutto al partito di estrema destra AFD. Le considerazioni di Prantl sulla paura dominante nella opinione pubblica tedesca vanno allora ricalibrate alla luce di questo dato ignorato, cioè che sono le forze "estremiste" di destra e di sinistra le uniche a farsi oggi carico di preoccupazioni e sentimenti presenti nell'elettorato, addirittura in misura maggioritaria.
La paura tra gli stessi attivisti che il disarmo nucleare sia "una montagna troppo grande da scalare" indubbiamente si fa sentire, ma diventa efficace perché è alimentata dalla consapevolezza che inerpicarsi significa fare i conti con la "minaccia russa da fronteggiare" e quindi si tocca un "tema divisivo": non solo i Verdi ma l'intera sinistra politica, nelle componenti moderate ed in quelle radicali (ad eccezione della citata Wagenknecht), ha accettato la retorica dell'Occidente contro le autocrazie, ponendo il "popolo ucrain0 resistente" come campione della "lotta per il mondo della libertà e del diritto". D'altro canto c'è anche la "sindrome di Asterix" che porta a sostenere che non c'è nessuna montagna da scalare. La lotta, secondo questa visione, non deve fare altro che contrastare direttamente sul territorio i punti di impatto delle scelte militariste costruendo, con la resistenza di base, zone liberate dalla oppressione imperiale: in Francia le chiamano ZAD, "Zone à défendre", luoghi che rappresentano spazi alternativi al modello economico e sociale dominante della potenza e del profitto.
Ed ecco che, esposti questi dati, adesso possiamo riuscire a mettere meglio a fuoco la "sindrome di Asterix": il personaggio dei fumetti (e dei cartoni animati) creato dai francesi René Goscinny e Albert Uderzo, che vive in un villaggio gallico ergentesi a isola sopravvissuta alla conquista romana di Giulio Cesare. (Nella fantasia degli Autori, il motivo per cui il villaggio resiste al Grande Impero è perché i suoi guerrieri sono supportati, nella battaglia contro i Romani, dalla pozione magica preparata dal saggio druido Panoramix). Quello che conta, come metafora politica trasposta dal fumetto, è però l'idea di soggetti deboli che, uniti e organizzati sul territorio, armati della loro decisione e della loro forza solidale, sanno prevalere a livello locale sulla potente macchina repressiva dell'Impero creando contropoteri autogestiti. Le ZAD si costruiscono a livello locale, ma possono e devono "fare Rete"; anzi il cambiamento sociale rivoluzionario può essere concepito come loro proliferazione "rizomatica", sostituendo (come arrivò a teorizzare Alberto Magnaghi) la "coscienza di classe" con la "coscienza di luogo".
Questo paradigma, per lo più inconscio, sul potere (macchina repressiva centralizzata) e sul contropotere (spazi sociali localizzati in espansione "rizomatica"), in Italia si è affermato negli anni Novanta ed addirittura, in un certo senso, è arrivato al governo per il tramite del Movimento Cinque Stelle, fondato da Beppe Grillo ed oggi, a quanto pare, in via di metamorfosi come "partito di Conte".
Senza addentrarsi troppo in fumisterie filosofiche e sociologiche, quella che occorre bene inquadrare è una impostazione delle lotte che vada oltre la classica formula ecopacifista del "pensare globalmente, agire localmente". La nuova formula che andrebbe sperimentata, in quanto all'altezza dei problemi del presente, possiamo così sintetizzarla: "pensare globalmente, darsi obiettivi il più possibile generali, articolarli localmente, in modo che contribuiscono a un cambiamento dei rapporti di forza e a risultati oltre la dimensione locale". "Agire globalmente, puntare a cambiamenti generali coordinati localmente": è questo il motto che proponiamo di adottare, applicando la visione di un "nuovo internazionalismo della terrestrità" (o della solidarietà planetaria all'insegna di "Prima l'umanità, prima la vita universale").
Le "reti" non devono cioè essere sommatorie di resistenze locali, che giustificano sé stesse come alternativa globale (di fatto simbolica) al sistema; devono essere tentativi di percorsi di cambiamento generale di aspetti significativi del sistema. Per esemplificare: non ha senso mettere insieme i comitati locali dove esistono le basi NATO, ciascuno contestante la sua singola struttura (finiscono per raccontarsi, nei loro noiosi incontri, episodi particolari), se non si ha un obiettivo intermedio generale di indebolimento del potere militare transnazionale verso il superamento della NATO. Quindi, in questa logica, ha un senso fare una Rete che si propone di rendere pubblici gli accordi segreti che giustificano e regolano le basi USA in Italia, ha meno senso organizzarsi contro la struttura militare X nel luogo Y, magari ripetendo come un mantra che tale struttura non la si vuole qui ma nemmeno là. L'esperienza storica dimostra che, con questo tipo di taglio, in genere si va a perdere, perché la realtà locale in genere non ha la forza per prevalere sul potere di ricatto degli Stati centrali; e fa venir fuori che, anche se si vince (a volte può persino succedere!), forse i danni politici e culturali di energie male impegnate diventano peggiori di quando si perde.
E' notevole come gli attivisti di base mostrino resistenze a comprenderlo e insistano su un localismo indebitamente caricato di significati palingenetici. Le crisi contemporanee che subiamo ormai sono talmente gravi e universali, nel villaggio globale che è diventato il mondo, pur squassato dai conflitti di potenza, che solo un'azione generale guidata da un pensiero globale e olistico "della complessità" può avere un impatto adeguato e realistico. Non possiamo pensare di trovare una soluzione alle sfide globali proposte da una civilizzazione malata se al posto di unificarci – non uniformarci! – ci dividiamo e azzanniamo per questo o quel confine; e se al posto di costruire ponti costruiamo muri per difendere fortezze del privilegio. Dobbiamo sostituire, nella concretezza e nella quotidianità, la speranza antica della "futura umanità unita" al posto della paura folle di confrontarsi con chi è diverso, di mettere in discussione se stessi e la propria vita, di dare opportunità ai popoli che abbiamo sfruttato e forse stiamo ancora iniquamente sfruttando...
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Il quotidiano "Il MANIFESTO" si occupa dei nuovi euromissili.
Qui di seguito riportiamo l'editoriale di Heribert Prantl: "Dove è finito il movimento pacifista?", pubblicato il 21 agosto 2024
Ad questo link andiamo a raccogliere gli articoli che il Manifesto e altri quotidiani pubblicano sull'argomento.
Quaranta anni dopo. C'è silenzio, un silenzio di tomba. Missili da crociera Tomahawk, missili SM-6 e missili ipersonici vengono dispiegati in Germania, il paese rimane in silenzio, l'Europa tace. Nessuna protesta, nessuna manifestazione
C'è silenzio, un silenzio di tomba. Missili da crociera Tomahawk, missili SM-6 e missili ipersonici vengono dispiegati in Germania, il paese rimane in silenzio, l'Europa tace. Nessuna protesta, nessuna manifestazione.
La Germania è l'unico Paese in Europa a cui questi sistemi d'arma statunitensi sono destinati. Sono puntati contro la Russia.
Perché c'è tanto silenzio? Perché è estate, perché ci sono le vacanze? Perché la dichiarazione di Stati Uniti e Germania sul dispiegamento è incredibilmente concisa e asciutta? È lunga solo nove righe. Il silenzio ha forse a che fare con il fatto che sembra esserci ancora tempo? Dopotutto, il dispiegamento non inizierà prima del 2026. Oppure perché si è convinti che questi missili «porteranno solo pace»?
«In futuro, dal suolo tedesco uscirà solo la pace»: questa è stata la promessa fatta dai due Stati tedeschi nel 1990 con il Trattato "Due più Quattro". La Ddr e la Repubblica federale erano i due; i quattro erano Francia, Unione sovietica, Gran Bretagna e Stati uniti. Questo trattato ha aperto la strada alla riunificazione tedesca. La pace viene dunque da questi nuovi missili, che potrebbero essere dotati di armi nucleari? Oppure questa promessa ha assunto un significato diverso dopo la guerra in Ucraina, perché la deterrenza è ora più importante del disarmo? I tempi sono diventati così guerreschi che non ha più senso parlare di disarmo? La parola pace ha perso il suo fascino?
Dietro questi punti interrogativi c'è il silenzio.
***
Il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato che reagirà in modo «speculare». Quando a un'azione minacciosa si reagisce con una minaccia maggiore, e gli avversari hanno contro-reazioni che si alimentano reciprocamente, questa si chiama escalation. L'escalation significherà che i missili a lungo raggio, che in teoria possono essere dotati di armi nucleari, lo saranno anche in pratica. Bertold Brecht aveva messo in guardia da questa corsa al riarmo decenni fa. «La grande Cartagine», scriveva nel 1951, «ha combattuto tre guerre. Era ancora potente dopo la prima, ancora abitabile dopo la seconda. Dopo la terza non fu più possibile trovarla». In una terza guerra mondiale, l'Europa sarebbe come Cartagine, o peggio. I cavalieri dell'apocalisse sono ora armati di armi nucleari.
Il Cancelliere tedesco Olaf Scholz ha definito la decisione di installare i nuovi missili statunitensi in Germania una «decisione molto buona». Deve dire questo perché nel suo giuramento ha promesso di evitare danni al popolo tedesco? Quanto è grande il pericolo che la Germania diventi un campo di battaglia? Era questa la paura che ha segnato le proteste contro il riarmo negli anni Ottanta, quando i missili Pershing II vennero installati nella Repubblica federale.
La guerra nucleare, si diceva allora, durante le grandi manifestazioni, diventava «più precisa e più controllabile» con i missili Pershing; la soglia di inibizione al loro uso si sarebbe quindi abbassata. I Tomahawk che vengono ora impiegati meritano davvero la parola «preciso». E, a differenza dei Pershing, possono raggiungere Mosca. Questo aumenta o diminuisce il rischio che Mosca cerchi di eliminare questi missili in modo preventivo?
In Germania c'è un tale silenzio che si sente ancora l'eco delle vecchie proteste, quelle di allora, quando in tutta Europa c'era un movimento per la pace. Era quaranta, quarantacinque anni fa. Allora milioni di persone scesero in piazza con lo slogan «No alla morte nucleare» e protestarono contro la «doppia decisione» della Nato di installare i missili e avviare trattative con Mosca. In Germania, questo era il tema centrale delle proteste, con la manifestazione pacifista all'Hofgarten di Bonn dell'ottobre 1981, seguita dai numerosi blocchi contro i trasporti dei missili a Mutlangen. Tra chi ha sbarrato le strade ai missili c'erano scrittori come Günther Grass e Heinrich Böll, uomini e donne di chiesa, artisti e docenti universitari, e poi grandi masse di persone senza nome.
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In quel periodo, al tempo dei movimenti per la pace, il disarmo arrivò anche nel sistema giudiziario tedesco: nel 1995, la Corte costituzionale federale stabilì che i blocchi effettuati dai sit-in non costituivano violenza. Le sentenze contro chi aveva bloccato i missili dovettero quindi essere annullate. Era molto tempo fa. Ma nel 2010 il Bundestag ha deciso a larga maggioranza che il governo Merkel avrebbe dovuto fare una campagna «vigorosa» per il ritiro di tutte le armi nucleari statunitensi dalla Germania. Anche questo era molto tempo fa. I missili Tomahawk di oggi sono meno pericolosi perché più precisi e veloci dei Pershing del passato? Oppure la situazione mondiale è così pericolosa che dobbiamo accettare di vivere con la paura che – se il peggio dovesse accadere – in Germania potrebbe non restare in piedi nemmeno una pietra?
Oggi la paura paralizza. All'epoca alimentava le proteste, ma oggi ne assorbe l'energia. Molte persone si spengono completamente quando si parla di guerra, armamenti e armi, perché hanno la sensazione di trovarsi di fronte a una montagna che non riescono a vedere perché diventa sempre più alta. Questo si chiama mancanza di speranza. E alcuni evitano di lottare per il disarmo perché non vogliono essere visti come amici di Putin.
Il ministro della difesa Boris Pistorius sostiene che c'è un «gap di capacità» per giustificare il rafforzamento militare. Ma anche il movimento per la pace soffre di un «gap di capacità». Ha perso la capacità di protestare in nome della speranza.
In Europa dobbiamo imparare di nuovo che cos'è la pace. Non c'è sicurezza con una spesa militare ancora più alta, né con un numero ancora maggiore di carri armati, né con un numero ancora maggiore di testate nucleari. La sicurezza non raddoppia se si raddoppiano le spese militari e le armi. Non si dimezza se si dimezzano le spese e le armi. Aumenterà se i due avversari imparano a guardarsi a vicenda. È così che possiamo imparare di nuovo come fare la pace.
*Heribert Prantl è editorialista del quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung. Il 3 e 4 settembre prossimi terrà alla sala concerti di Bolzano tre conferenze sulla stampa, la guerra e la pace.
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Articolo del 16 agosto 2024 di Alfonso Navarra - coordinatore dei Disarmisti esigenti (www.disarmistiesigenti.org)
TORNANO GLI EUROMISSILI: AFFIANCHIAMO LA RISPOSTA DEL MOVIMENTO TEDESCO
Tornano gli "euromissili", dopo la disdetta, nel 2019, da parte della presidenza Trump, del Trattato che nel 1987 li aveva eliminati: questo il dato fondamentale di cui prendere coscienza nel suo significato e nelle sue implicazioni. E nell'obbligo di risposta cui ci chiama. Sullo sfondo delle guerre in Ucraina e in Medio Oriente (e di tutti i conflitti armati purtroppo dimenticati), il rischio di escalation anche nucleare si fa molto concreto, distogliendo dalla collaborazione "terrestre" indispensabile per affrontare i veri problemi dello stesso disarmo; e della crisi ecologica e sociale.
Quando si parla di "euromissili", sia dei "vecchi" di Cosimo, sia dei "nuovi" che la NATO, all'ultimo vertice di Washington del luglio 2024, ha ufficializzato di installare, per cominciare, in Germania, a partire dal 2026, ci si riferisce a sistemi d'arma, basati in Europa, di gittata intermedia, che, sia i "vecchi" che i "nuovi" Cruise, ed anche altre tipologie, non hanno propulsione nucleare. Per i "nuovi", annunciati nel 2026 in Germania, si esclude, al momento, la testata nucleare, ma l'esperienza insegna che c'è poco da fidarsi della rassicurazione da parte dei potenti.
I termini che occorre preliminarmente chiarire, per evitare la confusione che sta circolando in alcuni articoli, sono quelli di "gittata" e "testata".
Per "gittata" si intende la capacità di percorrenza di un missile o di un sistema d'arma. I missili con testata nucleare possono essere a corto o medio o a lungo raggio. Quelli a corto raggio sono in genere definiti tattici, quelli a medio raggio sono "di teatro" (gli euromissili degli anni ottanta lo erano), quelli a lungo raggio sono strategici e attualmente balistici intercontinentali.
Per "gittata" in modo improprio si può anche intendere il tipo di propulsore, diciamo - per esemplificare grossolanamente - il motore. Attualmente sono in sperimentazione missili che hanno un motore nucleare. Una nave o un sommergibile possono essere a propulsione nucleare ma non essere armati nuclearmente, cioè non avere a bordo sistemi di lancio e relativi missili con testate nucleari.
Il Trattato INF (Intermediate Nuclear Forces) fu firmato l'8 dicembre 1987 a Washington tra USA e URSS e, come si è detto, portò all'eliminazione e distruzione di tutti i Cruise, Pershing-II e SS-20 nucleari, con gittata tra 500 e 5.500 Km (2.692 in tutto) avviando il cammino verso la fine della "Guerra fredda". I missili balistici intercontinentali hanno più di 5.500 km di gittata e, a differenza di quelli da crociera ("Cruise" in inglese), spinti da un motore per tutto il volo, seguono una traiettoria in base alle leggi della balistica: raggiungono dopo una breve spinta iniziale un'altitudine elevata e quindi ricadono sulla Terra...
La lotta agli euromissili a suo tempo, vale a dire negli anni Ottanta del secolo scorso, ha avuto vari aspetti e varie fasi, fino a conseguire una vittoria parziale. Il citato trattato INF che pose loro fine - riguardava, come si è accennato, missili NATO ma anche missili schierati nell'area del Patto di Varsavia. Noi ne parliamo oggi, dopo decenni, con cognizione di causa, non per scienza infusa, ma perché abbiamo vissuto sulla nostra pelle, con carcere e con botte, da protagonisti, per merito, per scelta, ma anche per caso (come in tutte le vicende umane!), la lotta portata a suo tempo per opporsi alla loro installazione e al loro funzionamento. Ne parliamo come esempio della competenza sociale che nasce dall'impegno di base, da distinguere e valorizzare rispetto alle competenze professionali e accademiche.
La caratteristica dell'IPC (International Peace Camp) di Comiso, organizzante dall'estate 1982 attivisti stabilitisi in permanenza nella cittadina siciliana, che differiva dal CUDIP filosovietico, era quella di agire in un network internazionale che si batteva per lo smantellamento dei missili e il disarmo sia ad Ovest che ad Est, come poi i trattati internazionali - lo abbiamo ricordato - vennero a certificare. Ovviamente da antimilitaristi nonviolenti noi eravamo convinti che atti di disarmo unilaterale avrebbero favorito il disarmo generale. E il capo dell'URSS Gorbaciov attuò proprio questa strategia per innescare il più grande disarmo della storia. Gli euromissili in occidente erano i Tomahawk Cruise, dispiegati prima a Comiso, poi anche in altre località europee, tra cui Greenham Common in Gran Bretagna, e i Pershing-II di Mutlangen in Germania.
La lotta in una prima fase fu caratterizzata in Italia da grandi manifestazioni di massa sia a Roma (il 24 ottobre 1981!) che in Sicilia (nell'aprile del 1982). Poi vi fu la fase dei blocchi nonviolenti di massa a Comiso (l'IMAC del 1983). I tentativi di non collaborazione attiva a livello locale e le iniziative contro gli espropri da cui derivò la campagna del metro quadro di pace: acquisto della Verde Vigna e di altri 3 terreni attaccati al "Magliocco" (così si chiamava la base di Comiso, ex aeroporto militare fascista) che fu riattivato e ospitò i 112 Cruise nucleari assegnati all'Italia.
Infine vi è stata la fase finale, il network internazionale per il Cruisewatching che aveva di fatto come punto di riferimento centrale il campo femminista di Greenham Common, a circa 100 km da Londra.
Spieghiamo più in dettaglio il Cruisewatching, questa pratica di disobbedienza civile di massa volta a vanificare il principale vantaggio tecnico del sistema d'arma nucleare Cruise Tomahawk: il potere essere lanciato quasi rasoterra da punti non individuati e quindi, sfuggendo ad avvistamenti satellitari e radar, impiegabile in strategie di "first use nucleare".
Mentre in Italia il movimento mollò la presa (tranne pochi "pazzi" irriducibili a Comiso e in Sicilia, tra i quali lo scrivente), nel resto d'Europa si continuò con l'azione diretta e la disobbedienza civile, dando di fatto una mano alla strategia pacifista di Gorbaciov, che - come si è accennato - era anche basata su misure unilaterali di disarmo da parte sovietica. Che poi l'Urss successivamente sia crollata e abbia interrotto vari percorsi di democratizzazione e ristrutturazione sociale, questo è un altro paio di maniche...
Gli euromissili della Guerra Fredda - in Italia 112 Cruise allora sicuramente con testata nucleare, montati sui camion TEL (trasportatori elevatori lanciatori) - furono effettivamente schierati e la base militare che li ospitò (il Magliocco di Comiso) fu effettivamente costruita, per lo più da manodopera locale ragusana. Ma noi permanenti non ci arrendemmo e lavorammo dall'inizio del 1984 in poi a ostacolare le esercitazioni mensili dei convogli con i TEL, partenti da quella base, che si addestravano alla guerra nucleare limitata in Europa: la Sicilia faceva da "pagliaio" per l'ago dei missili che dovevano nascondersi, lo si è anticipato, in punti di disseminazione segreti. Noi riuscivamo a individuare alcuni di questi punti inseguendo, con opportuni accorgimenti (ma bastavano le bici!), i convogli dei missili per strada. Avevamo acquistato, con la campagna del metro quadro di pace, la terra accanto alla porta principale del Magliocco (la "Verde Vigna"), quindi sentivamo quando i missili uscivano di notte, i militari non potevano imbrogliarci!
(Sul Cruisewatching in Europa e in Italia ho recentemente - 12 luglio 2024 - tenuto un incontro organizzato dalla Wilpf Italia a Roma presso la Città dell'utopia. L'iniziativa è stata registrata ed è anche visionabile su Radio Nuova Resistenza. Al momento non trovo il link ma a richiesta posso inviare via mail la registrazione completa: scrivete ad alfiononuke@gmail.com).
La lotta contro i nuovi euromissili, che non sono solo NATO, dovrà mantenere questa proiezione politico-organizzativa Est-Ovest verso il disarmo generale. Ed anche il principio del disarmo unilaterale come propulsore di accordi pacifici e di pace, con relativa messa in campo di disobbedienze civili e azioni dirette a livello locale. Nei nuovi euromissili ad Ovest il territorio di partenza è la Germania ed è dai movimenti tedeschi che dobbiamo aspettare degli input per la solidarietà concreta. Così come pacifisti tedeschi e europei (e da tutto il mondo) scesero a Comiso, allo stesso modo molti di noi dovranno recarsi ad affiancare le lotte in Germania.
Ad Est - denuncia ad esempio Olga Karatch- ci sono già euromissili russi con testata nucleare installati in Bielorussia. Anche con questa lotta dobbiamo essere collegati possibilmente con un aggancio alla campagna Object war che riguarda il diritto al non reclutamento negli eserciti e l'obiezione alle guerre che stanno montando sia sul territorio ucraino (di fatto una guerra NATO Russia) sia in Medio Oriente...
Riepilogando, per quanto riguarda la prima risposta di movimento in Italia da dare alla decisione USA e NATO (quindi UE) di reinstallare gli euromissili a partire dalla Germania (edulcorata con la inattendibile rassicurazione che nel 2026 saranno privi di testate nucleari), ecco ora sotto esposte, in modo più schematico, le condizioni che, per un movimento di opposizione intelligente, cioè nonviolento, riteniamo garantiscano correttezza di impostazione e serietà di risultati del percorso.
1) Lo si è già detto e lo si ribadisce: così come Comiso fece da battistrada nella mobilitazione europea dal 1981 al 1987 , oggi questo ruolo spetta al movimento tedesco, che è quello che deve reagire al primo impatto diretto della decisione e mettere in campo la forza di resistenza più intensa e massiccia.
2) I VIP televisivi e le personalità famose è meglio che si accodino agli appelli lanciati dagli attivisti dei movimenti, in questo caso si tratta di aspettare input dalla Germania, perché - per citare uno tra i tanti motivi - non saranno sicuramente questi personaggi a sdraiarsi davanti alle ruspe che porteranno avanti i lavori di costruzione delle strutture militari. Un eventuale loro ruolo sta nell'appoggiare i movimenti di lotta, non nel lanciare mobilitazioni cui poi non parteciperanno in prima persona. E si sta parlando della resistenza nonviolenta seria, quella basata sulla continuità dell'azione diretta e della disobbedienza civile, non delle passeggiate una tantum che lasciano il tempo che trovano. Anche su questo punto Comiso docet.
3) Questa mobilitazione comunque è meglio sia inquinata il meno possibile dall'intervento strumentale delle forze e dai soggetti che parlano di pace all'opinione pubblica e poi al dunque avallano con il voto o le pilatesche astensioni le decisioni istituzionali di guerra. Non possiamo infatti ignorare ciò che legittima e muove la macchina amministrativa pubblica, cioè gli apparati che organizzano in direzione attuativa ben precisa centinaia di migliaia di pubblici funzionari.
E' fondamentale, sulla base dei fatti, allora sapere in una lotta di chi ci si può fidare pienamente e di chi no. Lo abbiamo già scritto in un nostro comunicato datato del luglio scorso:
"Attualmente rispetto a questa possibile escalation nucleare annunciata la sensazione è che manchi persino la consapevolezza della gravità della scelta della NATO di fatto in guerra con la Russia. Un movimento pacifista che non abbia i terminali capaci di captare i nuovi segnali di guerra è un movimento che arretra nella sua funzione primaria: quella di individuare con prontezza il pericolo e di elevare nell'opinione pubblica la percezione del rischio. È necessario, allora, recuperare prontezza e capacità di comunicazione, nel segno della forza della verità.
Noi Disarmisti esigenti per l'intanto non aspettiamo le scadenze rituali che ci chiudono nel ghetto dei comportamenti ovvi e prevedibili, per quanto a volte massivi e falsamente rassicuranti. Ecco perché abbiamo chiamato, "novelli Diogene", a presidiare, a Strasburgo, l'insediamento del nuovo Parlamento europeo (Decima legislatura), quello che il 18 luglio ha votato Ursula Von der Leyen presidente della Commissione UE sulla base di un discorso programmatico in cui la guerra è costituente. Puntiamo gli occhi su Strasburgo anche per rilevare un minimo di coerenza tra il voto chiesto contro la guerra e il comportamento degli eletti."...
La nostra voce potrà farsi sentire con forza e all'unisono con un movimento internazionale, partito dalla Germania, dando concretezza e da subito affidabilità per una lotta di popoli europei contro un riarmo che richiama la dimensione nucleare, al di là delle rassicurazioni fuorvianti, che, oggi più di ieri, se imboccato, (si pensi solo alle innovazioni tecnologiche: velocità ipersoniche, miniaturizzazione, uso dell'intelligenza artificiale), può sfuggire ad ogni controllo e sfociare in un terribile e irrimediabile Olocausto.
Ricordo di Alfonso Navarra - segretario della Lega per il Disarmo unilaterale
Silvano Tartarini ci ha lasciato ieri, il 9 luglio 2024. Mi ha telefonato per darmi la notizia il suo figliolo Tommaso.
Nonviolento nel profondo, pur con i suoi trascorsi nella Lotta Continua "rivoluzionaria", toscano di nascita, di cuore e di ambito vitale (lavorava come artigiano a Pietrasanta), si è sempre battuto per il disarmo unilaterale a fianco di Carlo Cassola.
Ha fatto parte, insieme al sottoscritto, fin dall'inizio degli anni '80, della segreteria della Lega per il disarmo unilaterale, fondata dal grande scrittore toscano.
La guerra del Golfo gli fece maturare l'idea dei volontari di pace in Medio Oriente.
Con la vedova di Carlo Cassola, Pola, e con Alberto L'Abate, il promotore della prima Università della Pace in Italia, riuscì, con grande coraggio, ad aprire una "Casa per la pace" a Baghdad, su un'isoletta dell'Eufrate, nel periodo più critico della crisi dopo l'invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein.
Ad un certo punto si rischiava davvero di vedersi cadere bombe sulla testa!
(Segnalo un libretto che ricorda l’iniziativa: dal titolo: "Volontari di pace in Medio Oriente", edizioni La Meridiana. Molfetta. Bari).
Poi, sempre con Alberto L'Abate ed altri compagni e compagne di viaggio (Maria Carla Biavati, Angelo Gandolfi), fondò i Berretti Bianchi, che nascono da un'idea maturata all'interno della Campagna Nazionale di Obiezione di Coscienza alle Spese Militari e per la Difesa Popolare Nonviolenta.
Il focus dell'esperimento era predisporre strumenti per prevenire ed inibire i conflitti armati con azioni di interposizione e diplomazia popolare: i corpi civili di pace e le ambasciate di pace.
Una sua passione era la scrittura e si dedicava alla poesia. Non ho competenze di critico letterario quindi non mi pronuncio sulla qualità dei suoi versi.
Spero che, in questo senso, le sue frequentazioni strette con Carlo Cassola e con Manlio Cancogni, possano averlo influenzato positivamente!
Una delle sue ultime opere è stato il tentativo di dimostrare la coerenza tra il Cassola scrittore e il Cassola profeta inascoltato dell'antimilitarismo.
(Segnalo il libro: "Cassola, la letteratura dell'infinito e il suo sbocco antimilitarista").
Silvano era una persona onesta ed appassionata e mi sento onorato di aver avuto l'occasione di camminare e discutere anche animatamente con lui.
Discussioni che ti portavano alla crescita personale anche quando veniva fuori il dissenso su come declinare aspetti della comune strategia nonviolenta.
Ciao Silvano, il mio è un ricordo commosso e grato per la nuova strada che hai tentato di aprire e per la quale hai pagato di persona, da pacifista scomodo ma coerente.
L'11 luglio alle 17, 30 presso la Piramide vicino all’Ospedale Versilia il saluto pubblico e fino alle 19 la possibilità di portargli l’ultimo saluto.
obiezione alla guerra e al servizio militare impegno per la difesa nonviolenta - Petizioni.com
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TESTO DELLA DICHIARAZIONE DI IMPEGNO CHE SOTTOSCRIVIAMO, APPOGGIAMO, DIFFONDIAMO
PER L'OBIEZIONE ALLA GUERRA
PER L'OBIEZIONE (ANCHE PREVENTIVA) AL SERVIZIO MILITARE CHE LA PREPARA
PER ATTUARE E COSTRUIRE LA DIFESA NONVIOLENTA
PER IMPLEMENTARE L'ALBO PUBBLICO DEGLI OBIETTORI
"Signor Presidente Mattarella, le scrivo la presente per dichiararmi obiettore di tutte le guerre e della preparazione delle guerre mediante il servizio militare. L'ingabbiamento delle nostre forze armate nelle attuali strategie NATO non consente di attuare il "ripudio della guerra" stabilito nell'articolo 11 della nostra Costituzione. Tanto più che condivido pienamente l'opinione dell'antimilitarismo nonviolento, ribadita autorevolmente anche da Papa Francesco: "Oggi non esistono guerre giuste". L'aria che tira è quella di un ripristino di forme di mini-naja. In relazione a questa eventualità comunico da subito che, qualora dovessi ricevere la chiamata a presentarmi presso un ufficio militare preposto all'arruolamento, la mia risposta sarà un bel "Signornò!" antimilitarista. Non mi presenterò alla visita militare che dovrà verificare la mia idoneità. Mi avvarrò del diritto universale umano di chiedere, per obbedienza alla coscienza, di adempiere agli obblighi di leva prestando, in sostituzione del servizio militare, un servizio civile orientato alla difesa nonviolenta; e quindi rispondente come il servizio armato al dovere costituzionale di difesa della Patria. Ritengo doveroso da parte dello Stato organizzare, applicando normative già in vigore conquistate dalla lotta nonviolenta, la mia formazione ed il mio inquadramento dentro un Corpo civile di pace, possibilmente europeo, per attuare l'impegno istituzionale dell'ONU alla sicurezza comune dell'Umanità. Solidarizzo, attivando i mezzi concreti di cui dispongo, con gli obiettori di coscienza, renitenti alla leva, disertori, russi, bielorussi, ucraini, israeliani e palestinesi, e con chiunque, giovane o meno giovane, rifiuti di partecipare alle guerre che si stanno combattendo in questo momento. Tenendo presente che presso l'Ufficio Nazionale Servizio Civile esiste per legge un elenco degli obiettori italiani alla Guerra per motivi di coscienza, chiedo che Ella rammenti al Ministro Crosetto che deve aggiornare tale elenco con il mio nome e che deve rendere consultabile tale elenco generale, essendo l'obiezione alla guerra un atto pubblico".
Dopo aver sottoscritto il testo su cui sopra compilando il form che si trova su questa pagina web di petizioni.com: scrivere a (aggiungendo eventualmente considerazioni e motivazioni personali): protocollo.centrale@pec.quirinale.it – presidente(at)pec.governo.it – segreteria.ministro(at)difesa.it – sgd(at)postacert.difesa.it
Promotori:
Disarmisti Esigenti (progetto della Lega per il disarmo unilaterale)
Alfonso Navarra WhatsApp 340-0736871 email coordinamentodisarmisti(at)gmail.com
Lega per il disarmo unilaterale
Ennio Cabiddu
Lega obiettori di coscienza
Massimo Aliprandini
RETE IPRI CCP
Maria Carla Biavati
Associazione Nazionale Per la Scuola della Repubblica ODV
Cosimo Forleo
Reti di Pace
Emanuela Baliva
RADIO NUOVA RESISTENZA
Marco Zinno
ODISSEA
Angelo Gaccione
WILPF ITALIA
Patrizia Sterpetti
FIRME INDIVIDUALI
Tonino Drago - Moni Ovadia - Enrico Peyretti - Luigi Mosca - Daniele Barbi - Filippo Bianchetti -Giuseppe Bruzzone - Beppe Corioni - Sandra Cangemi - Alessandro Capuzzo - Tiziano Cardosi - Giuseppe Curcio - Francesco Lo Cascio - Antonella Nappi - Elio Pagani - Marco Palombo - Claudio Pozzi - Guido Viale - Enrico Gagliano - Marinella Correggia - Francesco Zanotelli
Michele Santoro, contattato per telefono alle ore 11:00 dell'8 maggio 2024, firma. Va segnalato il seguente passo del programma della lista PACE TERRA DIGNITA', che si presenta alle elezioni europee dell'8 e 9 giugno 2024: "L’Europa dovrà promuovere la cultura della pace nelle scuole e nelle università, sostenere il diritto alle obiezioni di coscienza e al rifiuto di combattere in tutto il mondo, creare un corpo civile di pace europeo".
Maurizio Acerbo, via WhatsApp, alle ore 14:30 dell'8 maggio 2024
Nella Ginatempo, Laura Marchetti, Antonio Mazzeo, Giovanni Russo Spena il 10 maggio 2024, all'incontro dell'Osservatorio contro la militarizzazione della scuola e dell'Università.
Al link qui di seguito argomentiamo - con due articoli - l'iniziativa della dichiarazione di impegno pubblico per l'obiezione alla guerra e per la difesa nonviolenta
https://disarmistiobiettori.webnode.it/obiezione-alle-guerre-e-alla-mininaja/
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L'iniziativa "OBIEZIONE ALLA GUERRA", al di là del rischio più o meno incombente che l'Italia segua presto la Germania nel mettere su una specie di mini-naja alla svedese, è in ogni caso collegata: 1) all'autodefinirsi antimilitarista rispetto ad un servizio militare obbligatorio che può essere sempre ripristinato; 2) alla scelta di lavorare per l'organizzazione strutturata e permanente della difesa nonviolenta; 3) a sostenere il diritto umano all'obiezione di coscienza nel mondo, ed in particolare la Campagna "Object War" che organizza gli obiettori ucraini, russi e bielorussi; 3) alla pubblicazione dell'ALBO DEGLI OBIETTORI come prescritto dalla legge italiana che ha istituito l'Ufficio nazionale per il servizio civile.
L'incontro online di mercoledì 3 aprile 2024 - (4 aprile - 75esimo anniversario della N.A.T.O.) ore 18:00 - 20:00 - ne ha delineato impostazione e contenuti.
Si chiede in particolare l'adesione all'appello, sopra riportato, da pubblicizzare, "Signor presidente, le scrivo la presente", etc.
L'attacco è evidentemente ricavato dalla canzone: "Il disertore", di Boris Vian.
link: https://us06web.zoom.us/j/87250293962?pwd=wRIflrlrBA6X7GWsmvoUgbFjmENxOb.1
(DOPO IL TESTO DELL'APPELLO TROVATE ARTICOLI DI DOCUMENTAZIONE E INTERVENTI DI RIFLESSIONE)
La Campagna, con un occhio focalizzato anche sull'obiezione preventiva alla mini-naja - con ogni probabilità - in arrivo (per decisione governativa che si sta coltivando, nonostante le ambigue e fuorvianti smentite di Crosetto), è però sostanzialmente di carattere più generale e profondo.
E' obiezione alle guerre e al servizio militare che prepara e combatte le guerre, ed ha un bisogno vitale di coinvolgere attivamente gli studenti, la parte più aggregata del mondo giovanile, nella riflessione che precede la scelta: "Se la Patria - attraverso il governo in carica - mi chiamerà per verificare, con visite e test appositi, la mia reclutabilità nell'esercito cosa risponderò?"
È difficile, con l'aria che tira - ribadiamo - avere incertezze sulla tempestività dell'iniziativa. Il vento della militarizzazione, della corsa al riarmo, della intensificazione delle guerre e dello scoppio di nuove guerre si sta levando fortissimo e non c'è dubbio che nel prossimo periodo avremo da fronteggiare una vera e propria bufera. Fa parte di questo vento la decisione del governo tedesco, con il ministro Pistorius, di voler prendere a modello la mini-naja svedese, ed è quindi quasi certo che il governo italiano, prima o poi, seguirà a ruota.
Quando Crosetto smentisce con le sue parole si riferisce alla leva militare obbligatoria generale ("proprio non se ne parla!") non alla mini-naja che è cosa diversa. E' da tenere sempre presente che è tipico della retorica imbrogliona del potere negare un contesto più generale mentre si sta predisponendo un aspetto specifico che va a concretizzarlo... Per ergere un primo riparo alla retorica del "nemico alle porte cui bisogna sbarrare la strada" è utile tutto il lavoro di esame critico che porta a ridimensionare la presunta minaccia, ma anche la diffusione di conoscenze sulle possibilità di eventuale difesa che la disobbedienza popolare organizzata può offrire.
Per realizzare l'unità pacifista delle forze, cioè la cooperazione e la collaborazione sul concreto, il cuore della campagna che proponiamo è la dichiarazione di impegno a Mattarella delle giovani e dei giovani: "Sono un obiettore alle guerre! Non mi arruolo nell'esercito! Sono pronto a servire la Patria con la difesa alternativa, sperimentando i corpi civili di pace!"
Tutte le nostre argomentazioni che portano alla dichiarazione non escludono affatto cento altri possibili approcci alla scelta di voler essere inseriti nell'albo degli obiettori, da manifestare con impegno pubblico.
Per l'adesione alla nostra iniziativa, che è radicata in una esperienza pluridecennale, ogni soggetto collettivo interpellato si concentri sulla dichiarazione che sopra abbiamo riportato.
Per i contributi alle motivazioni e per la modalità migliore per fare conoscere la Difesa Popolare Nonviolenta (anche nelle scuole: senza che, però, questo appaia un reclutamento all'"esercito alternativo") invece rifacciamoci al vecchio motto: "Che cento scuole rivaleggino". Nostro sforzo sarà di mettere in rapporto e collegare tutti i "cento fiori dell'obiezione".
Troviamo infine due articoli sulla pagina: https://disarmistiobiettori.webnode.it/obiezione-alle-guerre-e-alla-mininaja/
Articolo numero 1
"Per una campagna di impegno pubblico: obiezione al servizio militare e alle guerre per costruire una difesa alternativa"
Alfonso Navarra – coordinatore dei Disarmisti esigenti - del Coordinamento politico Campagna OSM-DPN (Lega obiettori di coscienza, sede in via Pichi,1 - Milano)
(dopo aver consultato Tonino Drago, già presidente del Comitato DCNANV)
Milano – 25 marzo 2024 (ultima proposta, versione 3)
Articolo numero 2
Come secondo testo, un articolo di Alfonso Navarra che può completare molte nozioni utilizzate è l'anticipazione allegata che uscirà su QUADERNI DELLA DECRESCITA il primo maggio 2024.
Titolo: "La nonviolenza è la forza delle relazioni autentiche".
Il link alla rivista online diretta da Paolo Cacciari e Marco Deriu : https://quadernidelladecrescita.it/
Aldo Capitini, il filosofo italiano della nonviolenza, definisce l’obiezione di coscienza come "l’opposizione a partecipare alla preparazione e all’attuazione della guerra, vista particolarmente come uccisione di esseri umani". Questa definizione mette in luce la sua visione dell’obiezione di coscienza non solo come un atto legale o politico, ma come un’espressione profonda di valori personali e morali che si oppongono alla violenza e alla guerra.
Questa definizione di Capitini la troviamo, ad esempio, nel saggio "Le tecniche della nonviolenza", pubblicato dall'editore Feltrinelli.
Secondo Capitini, l'odc non è necessariamente inerente al servizio militare. Per odc si intende il rifiuto ad obbedire a un comando dell'autorità in forza ad un imperativo della coscienza che può scaturire da una fede religiosa, da una concezione filosofica, da convinzioni politiche, da ragioni morali.
Vi leggiamo: "L'obbiezione di coscienza verso il servizio militare nella storia non solo di secoli, ma di millenni, si fonda su due tipi di ragioni. Il primo tipo è di non riconoscere a nessuno e nemmeno allo Stato il diritto di costringere un uomo ad agire contro la propria coscienza. Il secondo tipo è di porre come superiore al potere dello Stato il rapporto amorevole con tutti gli esseri umani (...). (Se noi esaminiamo i motivi che la giustificano nelle stesse dichiarazioni degli obbiettori , vediamo che in essa non c'è nulla di individualistico - ndr). Certo è che l'obbiettore di coscienza deve e viole mostrare che non è un vile, che il suo motivo è umanitario e non utilitario; che se egli deve mettere in pericolo la propria vita, vuol farlo per un ideale che egli realmente professa. (...) C'è da osservare, infine, che l'orientamento all'obbiezione di coscienza non si arresta alla legge che la riconosce. (...) Nello sviluppo della guerra e nell'accrescersi immenso della sua capacità distruttiva, l'obbiezione di coscienza ha accresciuto il suo carattere collettivo di avvertimento a tutti, di avanscoperta di un pericolo comune, e non ci sono leggi o istituzioni che possono farla contenta se non quelle che per sempre sostituiscano efficacemente il modo bellico di regolare i conflitti che, con le forze atomiche, va ben oltre la soluzione dei conflitti stessi, e diventa disastro generale".
Questo che segue è il testo del comunicato diramato alla stampa:
25 APRILE RESISTIAMO ALLA GUERRA
SÌ all’organizzazione per la non partenza di figlie/i, nipoti, padri e madri per la guerra SÌ alle trattative di pace. La Pace ha un prezzo. Per non avere uccisioni (milioni di morti nei prossimi anni) e distruzioni di intere città e paesi dobbiamo organizzare uno scambio e un accordo sui territori e sui confini fra stati. SÌ al rispetto del ripudio delle guerra (art.11) e ritiro delle truppe italiane dai paesi confinanti della guerra. SÌ allo scioglimento della Nato (organizzazione di esercitazioni aggressive e promotore di guerra nel mondo). SÌ alla promozione della cultura della pace nelle scuole SÌ alla difesa dei diritti umani in alternativa al militare. Creazione di strutture istituzionali. per la difesa popolare nonviolenta. SÌ alla riduzione delle spese militari per la dignità del lavoro e del reddito SÌ al diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare SI alla protezione di disertori e renitenti SI al mantenimento dello stato di diritto e non al codice militare o stato di guerra
NO alla guerra in Europa, all’invio di armi in zone di conflitto; no alla partecipazione italiana al conflitto, no al ripristino della leva militare, no alle missioni militari all’estero NO all’economia di guerra, alla riduzione della spesa sociale per finanziare l’industria delle armi, no al riarmo e alla ricerca bellica nelle nostre scuole e università NO alla propaganda militare nelle scuole, no alle politiche securitarie . Fuori l’italia dalla guerra OBIETTIAMO E DISERTIAMO
Lega Obiettori di Coscienza – v. M. Pichi 1 – 20149 Milano
I fondi raccolti dalla Campagna coordinata dal Movimento Nonvuiolento vengono utilizzati per finanziare i movimenti nonviolenti di Russia, Bielorussia e Ucraina nelle loro attività, per garantire la difesa legale agli obiettori e disertori dei tre paesi, per organizzare le missioni di pace e solidarietà con le vittime della guerra, per ospitare in Italia esponenti nonviolenti coinvolti nel conflitto, per il lavoro di testimonianza e informazione.
In continuità con la Campagna italiana, il Movimento Nonviolento partecipa anche alla #ObjectWarCampaign promossa dalle reti internazionali IFOR, WRI, EBCO-BEOC, Connection e.V., che chiede, alle massime istituzioni dell’Unione Europea e del Consiglio d’Europa, protezione per coloro che nei paesi coinvolti si rifiutano di prendere parte al conflitto in armi.
Dichiarazione di Obiezione di Coscienza
Al Presidente della Repubblica, capo delle Forze Armate
Al Presidente del Consiglio e al Ministro della Difesa
Al Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Italiano
Per fermare la guerra bisogna non farla. Per cessare il fuoco bisogna non sparare.
Sono concretamente solidale con gli obiettori di coscienza, renitenti alla leva, disertori russi, bielorussi e ucraini; chiedo che vengano accolti, riconoscendo loro lo status internazionale di rifugiati.
Chiedo che il Governo italiano garantisca accoglienza, asilo e protezione a quei giovani di Russia, Bielorussia e Ucraina che rifiutano di prendere le armi e fuggono dal loro paese, così come il Parlamento italiano deliberò nel 1992 per gli obiettori e i disertori delle Repubbliche ex-Jugoslavia (Legge 390/1992 articolo 2, comma 2 bis).
Lo Stato Maggiore dell’Esercito Italiano ha emanato una circolare di preallarme per il personale militare che si deve considerare “pronto all’impiego”. Considerando che la leva obbligatoria nel nostro Paese è solo sospesa e che tale sospensione resta a discrezione del potere esecutivo di Governo, dichiaro fin da questo momento la mia obiezione di coscienza. Non sono disponibile in alcun modo a nessuna “chiamata alle armi”. Con la Costituzione italiana ripudio la guerra e voglio ottemperare al dovere di difesa della Patria con le forme di difesa civile e non militare già riconosciute dal nostro ordinamento. Chiedo di essere considerato a tutti gli effetti obiettore di coscienza contro tutte le guerre e la loro preparazione, in qualunque modo si voglia chiamare l’uso di armamenti nelle controversie internazionali.
Sollecito il Parlamento all’approvazione di una Legge per l’istituzione della Difesa civile non armata e nonviolenta.
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Aggiunto poi:
Chiedo che il mio nome sia inserito in un Albo dove siano elencati tutti gli uomini e tutte le donne che, come me, obiettano alla guerra e alla sua preparazione.
(Dichiarazione aperta a tutti. Anche, in particolare, ai cittadini in età di leva dai 18 ai 45 anni e anche ai ragazzi e ragazze che hanno già svolto il servizio civile sostitutivo, nazionale o universale)
Dichiarazione di Obiezione di Coscienza "anticipata" (estratto) - testo completo rinvenibile su:
https://www.votalavita.it/dichiarazione-anticipata-di-obiezione/
PREMESSA
L’Italia è in guerra contro la Russia, attraverso il sostegno al regime ucraino. Tale sostegno si è concretizzato dapprima nella esportazione di armi che colpiscono anche intenzionalmente la popolazione civile, quindi nella stipula di un patto bilaterale di intervento.
L’Italia è in guerra attraverso il sostegno politico e militare a Israele, e si rende corresponsabile del genocidio dei palestinesi a Gaza.
L’Italia è in guerra nel Mar Rosso e nel Mar Cinese Meridionale, ove partecipa alle azioni militari contro lo Yemen e contro la Cina.
La Presidente del Consiglio dell’Italia Giorgia Meloni in data 24 Febbraio 2024 ha sottoscritto un trattato militare con un paese in guerra, l’Ucraina.
Ciò fa seguito ad analoghi trattati stipulati da Francia e Germania, i cui governi mostrano un attivo interesse all’entrata diretta in guerra di tutti i paesi europei e della NATO. (...)
Tutto ciò è in contrasto con l’articolo 11 della nostra Costituzione secondo cui “l’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.”
Tutto ciò è in contrasto con l’articolo 245 del codice penale italiano, volto a punire chi ordisce trame per portare il paese in guerra:
“Chiunque tiene intelligenze con lo straniero per impegnare o per compiere atti diretti a impegnare lo Stato italiano alla dichiarazione o al mantenimento della neutralita’, ovvero alla dichiarazione di guerra, e’ punito con la reclusione da cinque a quindici anni…”
Tutto ciò è in contrasto con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 2016, che nel preambolo afferma:
“I popoli d’Europa, nel creare una unione sempre più stretta tra loro, sono risoluti a condividere un futuro di pace basato su comuni valori.”
Tutto ciò è in contrasto con la carta fondativa della Organizzazione delle Nazioni Unite, secondo cui
“I fini delle Nazioni Unite sono: 1. Mantenere la pace e la sicurezza internazionale…e pervenire con mezzi pacifici…alla sistemazione o alla soluzione delle controversie internazionali…2. Sviluppare relazioni amichevoli tra le nazioni, fondate sul rispetto del principio dell’uguaglianza dei diritti e dell’auto-decisione di popoli….”
Tutto ciò è in contrasto con lo stesso patto fondativo della NATO, nel quale all’art.1
“Le parti si impegnano, come stabilito nello Statuto delle Nazioni Unite, a comporre con mezzi pacifici qualsiasi controversia internazionale in cui potrebbero essere coinvolte, in modo che la pace e la sicurezza internazionali e la giustizia non vengano messe in pericolo, e ad astenersi nei loro rapporti internazionali dal ricorrere alla minaccia o all’uso della forza assolutamente incompatibile con gli scopi delle Nazioni Unite.”
Le azioni di guerra sono state intraprese dall’Italia contro la propria Costituzione, contro il diritto internazionale, contro i propri interessi e contro la propria tradizione culturale, arrivando addirittura ad avallare l’abominio giuridico della “guerra preventiva.”
Le azioni di guerra sono state intraprese dall’Italia contro la propria Costituzione, contro il diritto internazionale, contro i trattati internazionali firmati, contro i propri interessi e contro la propria tradizione culturale, arrivando addirittura ad avallare l’abominio giuridico della “guerra preventiva.”
IMPEGNO
Da tutto ciò consegue l’impegno che dichiaro di assumermi, e che invito ciascun altro ad assumersi sotto diversi rispetti, ed in particolare Come Essere (UMANO -NDR) che risponde delle proprie azioni alla propria coscienza.
a obiettare, disobbedire e boicottare ogni azione di guerra (...).
Mi impegno anche a promuovere attivamente (PRESSO IL PUBBLICO - ndr) l'obiezione, la disobbedienza e il boicottaggio nei confronti della guerra.
Assumendo questo impegno
Faccio appello alle forze armate, che hanno la forza e il dovere di disobbedire, per difendere la propria comunità;
Faccio appello ai giovani, che rifiutino di essere portati in guerra;
Faccio appello alle famiglie, che proteggano i propri componenti;
Faccio appello ai maestri e a tutte le guide spirituali, che ricordino il valore della disobbedienza.
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SEZIONE NOTIZIE STAMPA
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Il progetto Maven e "the Pit": notizie dal New York Times del 30 aprile 2024 (edizione internazionale)
sulla ricerca di tipo militare applicata sul campo (droni guidati dalla intelligenza artificiale) e su come da una base segreta in Europa i militari americani uccidono soldati russi. Il progetto Maven nasce da un contratto originario del Pentagono con Google.
In trenches, in Ukraine, cutting-edge warfare hits limits Nelle trincee, in Ucraina, la guerra all'avanguardia raggiunge i suoi limiti
Articolo in prima pagina di David E. Sanger. Edizione internazionale del New York Times- 30 aprile 2024
Sanger è un reporter della Casa Bianca. Autore di: “New cold wars”, un libro scritto con Mary. K. Brooks.
Qui, riportandolo sotto, rinviamo al sito del NYT per la lettura dell’articolo, che tratta delle dure lezioni che gli strateghi militari USA stanno apprendendo dal laboratorio rappresentato dalla “guerra Ucraina”. Ecco il link: https://inytimes.pressreader.com/the-new-york-times-international-edition
Secondo Sanger, l'esperienza sul campo starebbe insegnando che non basta una superiorità tecnologica per vincere una guerra. I russi hanno imparato come interferire elettronicamente con i sistemi di guida di droni e missili. Ai quartieri generali del Pentagono e della NATO a Bruxelles hanno capito che una eventuale guerra diretta contro le truppe russe non sarebbe essenzialmente una cyber war ma un vecchio scontro di carri armati sul modello della Seconda guerra mondiale. Poi, nell’articolo, vi sono due notizie di interesse attuale. 1) Si parla del progetto Maven, il programma del Pentagono, con l’Intelligenza artificiale, che punta a costruire sistemi di riconoscimento delle immagini per migliorare gli attacchi dei droni in zone di guerra. Sanger ricorda che il progetto Maven è nato in ambito Google con un contratto stipulato con il Pentagono di 9 milioni. Oggi gli elementi del progetto Maven sono stati rilevati da una sessantina di ditte coordinate da Palantir, una compagnia fondata da Peter Thiel. 2) Si fa cenno a “The Pit” (la Fossa), un posto in una base segreta in Europa, di cui non si parla. E’ il centro in cui si sviluppano le tecnologie per targettare e colpire le forze russe. Le tecnologie in uso sono una evoluzione del Progetto Maven. “The Pit” è tenuta segreta perché il parlarne trascinerebbe la questione di quanto le forze USA sono quotidianamente occupate in modo diretto a cercare e uccidere le truppe russe.
Il senso dell’articolo è che ci fa capire meglio perché, anche nella guerra ultra-moderna, senza dimenticare la qualità della tecnologia impiegata, la quantità delle truppe rimane un fattore importante. Extra articolo, elenchiamo noi alcuni motivi per cui la quantità delle truppe è ancora rilevante: Potenza di fuoco nello scontro di attrito: eserciti più numerosi e ben dispiegati permettono di aumentare la pressione che è cruciale per il successo del confronto militare Presenza sul Territorio: Una maggiore quantità di truppe consente di coprire più territorio e di mantenere una presenza fisica che può essere dissuasiva per l’avversario. Operazioni Multifunzionali: Le truppe possono svolgere una varietà di funzioni, dalla difesa al supporto logistico, dall’intelligence alle operazioni speciali. Resilienza e Ridondanza: Avere un numero maggiore di truppe può fornire una maggiore resilienza in caso di perdite e permettere la sostituzione o il supporto in diverse situazioni. Guerra Asimmetrica: In conflitti asimmetrici, dove le forze irregolari possono sfidare eserciti convenzionali, la quantità di truppe può essere un fattore determinante per il controllo del territorio e per la gestione delle popolazioni civili. Qui capiamo la spinta in atto, da parte dei governi europei, a rivalutare la leva obbligatoria che in Europa si sta manifestando con la reintroduzione di forme di mini-naja: la Germania fa da battistrada adottando il modello svedese. Noi proponiamo, in risposta, di rilanciare una campagna di obiezione di coscienza, anticipando le mosse dell’avversario militarista.
The idea triggered a full-scale revolt on the Google campus.
Six years ago, the Silicon Valley giant signed a small, $9 million contract to put the skills of a few of its most innovative developers to the task of building an artificial intelligence tool that would help the military detect potential targets on the battlefield using drone footage.
Engineers and other Google employees argued that the company should have nothing to do with Project Maven, even if it was designed to help the military discern between civilians and militants.
The uproar forced the company to back out, but Project Maven didn’t die — it just moved to other contractors. Now, it has grown into an ambitious experiment being tested on the front lines in Ukraine, forming a key component of the U.S. military’s effort to funnel timely information to the soldiers fighting Russian invaders.
So far the results are mixed: Generals and commanders have a new way to put Russia’s movements and communications into one big, user-friendly picture, employing algorithms to predict where troops are moving and where attacks might happen. But the American experience in Ukraine has underscored how difficult it is to get 21st-century data into 19th-century trenches. Even with Congress having approved tens of billions of dollars in aid to Kyiv, mostly in the form of ammunition and long-range artillery, the question remains whether the new technology will be enough to help turn the tide of the war at a moment when the Russians appear to have regained momentum.
The war in Ukraine has, in the minds of many American officials, been a bonanza for the U.S. military, a testing ground for Project Maven and other rapidly evolving technologies. The American-made drones that were shipped into Ukraine last year were blown out of the sky with ease. And Pentagon officials now understand, in a way they never did before, that America’s system of military satellites has to be built and set up entirely differently, with configurations that look more like Elon Musk’s Starlink constellations of small satellites.
Meanwhile, American, British and Ukrainian officers, along with some of Silicon Valley’s top military contractors, are exploring new ways of finding and exploiting Russian vulnerabilities, even while U.S. officials try to navigate legal restraints about how deeply they can become involved in targeting and killing Russian troops.
“At the end of the day, this became our laboratory,” said Lt. Gen. Christopher T. Donahue, commander of the 18th Airborne Division, who is known as “the last man in Afghanistan” because he ran the evacuation of the airport in Kabul in August 2021, before resuming his work infusing the military with new technology.
And despite the early concerns at Google over participation in Project Maven, some of the industry’s most prominent figures are at work on national security issues, underscoring how the United States is harnessing its competitive advantage in technology to maintain superiority over Russia and China in an era of renewed superpower rivalries.
Tellingly, those figures now include Eric Schmidt, who spent 16 years as Google’s chief executive and is now drawing on lessons from Ukraine to develop a new generation of autonomous drones that could revolutionize warfare.
But if Russia’s brutal assault on Ukraine has been a testing ground for the Pentagon’s drive to embrace advanced technology, it has also been a bracing reminder of the limits of technology to turn the war.
Ukraine’s ability to repel the invasion arguably hinges more on renewed deliveries of basic weapons and ammunition, especially artillery shells.
The first two years of the conflict have also shown that Russia is adapting, much more quickly than anticipated, to the technology that gave Ukraine an initial edge.
In the first year of the war, Russia barely used its electronic warfare capabilities. Today it has made full use of them, confusing the waves of drones the United States has helped provide. Even the fearsome HIMARS missiles that President Biden agonized over giving to Kyiv, which were supposed to make a huge difference on the battlefield, have been misdirected at times as the Russians learned how to interfere with guidance systems.
Not surprisingly, all these discoveries are pouring into a series of “lessons learned” studies, conducted at the Pentagon and NATO headquarters in Brussels, in case NATO troops ever find themselves in direct combat with President Vladimir V. Putin’s forces. Among them is the discovery that when new technology meets the brutality of oldfashioned trench warfare, the results are rarely what Pentagon planners expected.
“For a while we thought this would be a cyberwar,’’ Gen. Mark A. Milley, who retired last year as chairman of the Joint Chiefs of Staff, said last summer. “Then we thought it was looking like an oldfashioned World War II tank war.”
Then, he said, there were days when it seemed as though they were fighting World War I.
“THE PIT”
More than a thousand miles west of Ukraine, deep inside an American base in the heart of Europe, is the intelligence-gathering center that has become the focal point of the effort to bring the allies and the new technology together to target Russian forces.
Visitors are discouraged in “the Pit,” as the center is known. American officials rarely discuss its existence, in part because of security concerns, but mostly because the operation raises questions about how deeply involved the United States is in the day-to-day business of finding and killing Russian troops.
The technology in use there evolved from Project Maven. But a version provided to Ukraine was designed in a way that does not rely on the input of the most sensitive American intelligence or advanced systems.
The goals have come a long way since the outcry at Google six years ago.
“In those early days, it was pretty simple,” said Lt. Gen. Jack Shanahan, who was the first director of the Pentagon’s Joint Artificial Intelligence Center. “It was as basic as you could get. Identifying vehicles, people, buildings, and then trying to work our way to something more sophisticated.”
Google’s exit, he said, may have slowed progress toward what the Pentagon now called “algorithmic warfare.” But “we just kept going.”
By the time the Ukraine war was brewing, Project Maven’s elements were being designed and built by nearly five dozen firms, from Virginia to California.
Yet there was one commercial company that proved most successful in putting it all together on what the Pentagon calls a “single pane of glass”: Palantir, a company co-founded in 2003 by Peter Thiel, the billionaire conservative-libertarian, and Alex Karp, its chief executive.
Palantir focuses on organizing, and visualizing, masses of data. But it has often found itself at the center of a swirling debate about when building a picture of the battlefield could contribute to overly automated decisions to kill.
Early versions of Project Maven, relying on Palantir’s technology, had been deployed by the U.S. government during the Covid-19 pandemic and the Kabul evacuation operation, to coordinate resources and track readiness. “We had this torrent of data but humans couldn’t process it all,” General Shanahan said.
Project Maven quickly became the standout success among the Pentagon’s many efforts to tiptoe into algorithmic warfare, and soon incorporated feeds from nearly two dozen other Defense Department programs and commercial sources into an unprecedented common operating picture for the U.S. military.
But it had never been to war.
A MEETING ON THE POLISH BORDER
Early one morning after the Russian invasion, a top American military official and one of Ukraine’s most senior generals met on the Polish border to talk about a new technology that might help the Ukrainians repel the Russians.
The American had a computer tablet in his car, operating Project Maven through Palantir’s software and connected to a Starlink terminal.
His tablet’s display showed many of the same intelligence feeds that the operators in the Pit were seeing, including the movement of Russian armored units and the chatter among the Russian forces as they fumbled their way to Kyiv.
As the two men talked, it became evident that the Americans knew more about where Ukraine’s own troops were than the Ukrainian general did. The Ukrainian was quite certain his forces had taken a city back from the Russians; the American intelligence suggested otherwise. When the American official suggested he call one of his field commanders, the Ukrainian general discovered that the American was right.
The Ukrainian was impressed — and angry. American forces should be fighting alongside the Ukrainians, he said.
“We can’t do that,” the American responded, explaining that Mr. Biden forbade it. What the United States can provide, he said, is an evolving picture of the battlefield.
Today a similar tension continues to play out inside the Pit, where each day a careful dance is underway. The military has taken seriously Mr. Biden’s mandate that the United States should not directly target Russians. The president has said that Russia must not be allowed to win, but that the United States must also “avoid World War III.”
So, the Americans point the Ukrainians in the right direction but stop short of giving them precise targeting data.
The Ukrainians quickly improved, and they built a sort of shadow Project Maven, using commercial satellite firms like Maxar and Planet Labs and data scraped from Twitter and Telegram channels.
Instagram shots, taken by Russians or nearby Ukrainians, often showed dug-in positions or camouflaged rocket launchers. Drone imagery soon became a crucial source of precise targeting data, as did geolocation data from Russian soldiers who did not have the discipline to turn off their cellphones.
This flow of information helped Ukraine target Russia’s artillery. But the initial hope that the picture of the battlefield would flow to soldiers in the trenches, connected to phones or tablets, has never been realized, field commanders say.
One key to the system was Starlink, the Elon Musk-provided mesh of satellites, which was often the only thing connecting soldiers to headquarters, or to one another. That reinforced what was already becoming blindingly obvious: Starlink’s network of 4,700 satellites proved nearly as good as — and sometimes better than — the United States’ billion-dollar systems, one White House official said.
DREAMS OF DRONE FLEETS
For a while, it seemed as if this technological edge might allow Ukraine to push the Russians out of the country entirely.
In a suburb of Kyiv, Ukrainian high school students spent the summer of 2023 working in a long-neglected factory, soldering together Chinese-supplied components for small drones, which were then mounted onto carbonfiber frames. The contraptions were light and cheap, costing about $350 each.
Soldiers on the front lines would then strap each one to a two- or three-pound (a 0.9- or 1.4-kilogram) explosive charge designed to immobilize an armored vehicle or kill the operators of a Russian artillery brigade. The drones were designed for what amounted to crewless kamikaze missions, intended for onetime use, like disposable razors.
The broken-down factory near Kyiv encapsulated all the complications and contradictions of the Ukraine war. From the start, the Ukrainians understood that to win, or even to stay in the game, they had to reinvent drone warfare. But they could barely keep enough parts coming in to sustain the effort.
The mission of remaking Ukraine’s drone fleet has captivated Mr. Schmidt, the former chief executive of Google.
“Ukraine,” he said in October, between trips to the country, “has become the laboratory in the world on drones.” He described the sudden appearance of several hundred drone start-ups in Ukraine of “every conceivable kind.”
But by the fall of 2023, he began to worry that Ukraine’s innovative edge alone would not be enough. Russia’s population was too big and too willing to sacrifice, oil prices remained high, China was still supplying the Russians with key technologies and parts — while they also sold to the Ukrainians.
So Mr. Schmidt began funding a different vision, one that is now, after the Ukraine experience, gaining adherents in the Pentagon: far more inexpensive, autonomous drones, which would launch in swarms and talk to each other even if they lost their connection to human operators. The idea is a generation of new weapons that would learn to evade Russian air defenses and reconfigure themselves if some drones in the swarm were shot down.
It is far from clear that the United States, accustomed to building exquisite, $10 million drones, can make the shift to disposable models. Or that it is ready to bring on the targeting questions that come with fleets driven by A.I.
“There’s an awful lot of moral issues here,” Mr. Schmidt acknowledged, noting that these systems would create another round of the long-running debates about targeting based on artificial intelligence, even as the Pentagon insists that it will maintain “appropriate levels of human judgment over the use of force.”
He also came to a harsh conclusion: This new version of warfare would likely be awful.
“Ground troops, with drones circling overhead, know they’re constantly under the watchful eyes of unseen pilots a few kilometers away,” Mr. Schmidt wrote last year. “And those pilots know they are potentially in opposing cross hairs watching back . . . . This feeling of exposure and lethal voyeurism is everywhere in Ukraine.”
The American experience in Ukraine has underscored how difficult it is to get 21st-century data into 19th-century trenches.
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Qui di seguito un estratto dell'articolo citato
"L'idea (cui si lavora negli uffici degli Stati maggiori della Difesa - ndr) risponde alla stessa logica della riserva addestrata proposta da Crosetto (...). Non è questione di numeri, con la legge 110/2022 approvata dopo l'attacco russo all'Ucraina è stato bloccato il processo di riduzione degli organici previsto dalla legge Di Paola (244/2012): gli Stati maggiori ne vorrebbero di più ma i 160mila effettivi attuali tra Esercito, Aeronautica e Marina sono garantiti. Vogliono però militari più giovani anziché in servizio permanente dopo i 40 anni. Detto un po' brutalmente, non sanno che farsene di 20mila sottufficiali, spesso in là con gli anni, solo nell'Esercito.
Naturalmente l'evocazione della Legione Straniera (come ce l'hanno in Francia - ndr) fa discutere (...). Negli Stati Uniti, alle prese con la peggiore crisi di reclutamento degli ultimi 25 anni, il governo ha raddoppiato gli sforzi per prendere personale dalle comunità di immigrati. Il punto è proprio quello: il reclutamento delle forze armate si fa sempre più difficile, sempre meno giovani vogliono rischiare la vita per la patria. (In Germania Pistorius esclude il ripristino della leva obbligatoria ma parla del possibile ricorso agli stranieri - ndr). E' la stessa posizione di Crosetto, mentre nei Paesi scandinavi la coscrizione obbligatoria non è mai stata abolita o è stata ripristinata (Svezia) o estesa alle donne (Danimarca), anche in conseguenza della reale o presunta minaccia russa.
Problemi di reclutamento ci sono anche da noi. L'ultimo rapporto Esercito (2023) dà conto di "un rinnovato appeal verso la carriera militare con quasi 69mila domande presentate a fronte di 10mila posti messi a concorso"; periodici sondaggi assicurano che un giovane su tre, o addirittura due su cinque, guardano con attenzione alle forze armate. Però poi gli arruolamenti sono sempre un po' al di qua dei posti disponibili: secondo il rapporto Esercito, nel primo blocco dell'anno scorso sono entrati 2.138 volontari sui 2.200 previsti (sono 6.500 l'anno), in altri casi è andata peggio. Molti non si presentano, altri vengono scartati ai test, altri ancora preferiscono puntare subito alle forze di polizia che offrono stipendi iniziali leggermente più alti dei 1.100 euro di un Vfi (Volontario in ferma iniziale), una vita meno difficile, qualche rischio in meno e soprattutto maggiori garanzie di stabilità.
Da un anno c'è un nuovo sistema di reclutamento, ma solo una parte dei volontari in ferma annuale o triennale viene stabilizzata, altri sono destinati alle forze di polizia e altri ancora avranno solo qualche aiuto per il reinserimento. (...)
Pesa, ovviamente, il declino demografico: pochi figli, pochi giovani per servire la patria. Infatti anche da noi si parla di arruolare stranieri dal 2005 (anno della sospensione della Leva - ndr): dagli archivi del Senato esce una proposta di fine 2001 (...). (Forse siamo arrivati alla Legione Straniera di cui parlava nel 2006 il ministro Antonio Martino - ndr). C'è la destra al governo, ma potrebbe essere un caso".
Qui di seguito un estratto dell'articolo citato
"L’Italia ribadisce il no al ritorno della “naja”, il servizio militare obbligatorio. In controtendenza, nonostante i venti di guerra che spirano sempre più forti dalla Russia, i timori della Nato per un nuovo attacco di Putin dopo l’attentato al Crocus di Mosca, e le accelerazioni europee verso la leva obbligatoria.
È lo stesso Guido Crosetto a chiudere di nuovo all’ipotesi: "Non si è mai parlato di leva obbligatoria. Viviamo tempi difficili in cui, semmai, c'è bisogno di tanti professionisti formati, non di cittadini che fanno un anno di leva", dichiara il ministro della Difesa a a margine della celebrazione dei 101 anni dell'Aeronautica Militare, a Guidonia, presso Roma. Più riservisti dunque, come già annunciato dallo stesso Crosetto in gennaio scorso.
La posizione è condivisa dal presidente della commissione Difesa della Camera, Nino Minardo. "Ha ragione il Capo di stato maggiore della Difesa quando dice che le nostre forze armate sono assolutamente sottodimensionate. Tuttavia sono convinto che la risposta non sia la reintroduzione della leva militare ma la costruzione di una consistente riserva militare", dichiara il leghista, in dissonanza con il suo leader Matteo Salvini, da sempre sponsor del ritorno della leva.
Minardo fa riferimento all’audizione in Parlamento dell’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone. "Siamo assolutamente sottodimensionati: 150mila è improponibile, 160mila che è quello che attualmente ci è stato approvato è ancora poco e con 170mila siamo al limite della sopravvivenza".
“Lo scenario rischia di complicarsi ancora di più”, afferma il Capo di Stato maggiore. Il riaffacciarsi del terrorismo internazionale si somma alle tendenze già in atto. E soprattutto alla corsa al riarmo di Putin.
In Russia, solo qualche giorno fa il ministro della Difesa Sergej Shojgu ha magnificato i piani per la crescita dell’armata russa. L’intelligence occidentale teme che Mosca userà la strage del Crocus per colpire Kiev. E forse per saggiare la capacità di risposta della stessa Alleanza atlantica.
Intanto il resto d’Europa si organizza. La Germania si prepara a reintrodurre la leva obbligatoria. O meglio: semi-obbligatoria, ispirata al modello svedese. La Danimarca, dove per gli uomini già esiste, la vuole estendere alle donne, con l’aumento dei mesi da 4 a 11 per entrambi i sessi. “Non ci riarmiamo perché vogliamo la guerra, ma perché vogliamo evitarla”, ha spiegato la premier socialdemocratica danese Mette Frederiksen, aggiungendo di puntare alla “piena uguaglianza di genere".
L’evoluzione degli scenari internazionali sta portando in Europa ad una rinnovata percezione del rischio di un possibile conflitto convenzionale prolungato, di tipo simmetrico tra pari, ossia tra entità statuali tradizionali, con caratteristiche, ampiezza e pericolosità ben diverse dalle “operazioni di pace” cui le opinioni pubbliche occidentali sono state abituate da oltre vent’anni.
La guerra in corso in Ucraina, tra le molte lezioni fornite, ha evidenziato in modo drammatico la perdurante importanza della dimensione quantitativa nelle operazioni militari, un fattore numerico che solo in parte può essere rimpiazzato dalla superiorità tecnologica, vera o presunta che sia.
Tali considerazioni stanno dando vita nel continente ad un ampio dibattito sulla rinnovata attualità della coscrizione obbligatoria (abbandonata o sospesa quasi ovunque dopo la fine della Guerra Fredda), quale unico strumento in grado di garantire alle forze armate, ed in particolare agli eserciti, una consistenza numerica adeguata alle nuove minacce, assicurando l’esistenza di un’ampia riserva di mobilitazione addestrata.
Accanto a tali motivazioni esterne legate alla crisi internazionale il dibattito viene alimentato in molti Paesi anche da cause endogene, in genere legate al “calo delle vocazioni”, ossia alla crescente difficoltà incontrata da molte forze armate professionali nel reperire un numero sufficiente di volontari da arruolare, con conseguente cronica sottoalimentazione delle unità attive e gravi carenze in diversi ruoli chiave.
In alcune nazioni europee la riduzione degli organici così generata sta divenendo grave, complici non solo le tensioni con la Russia ed il rischio di un confronto militare diretto con Mosca ma anche problematiche sociologiche, economiche e politiche più complesse.
Nella generalità dei casi le ipotesi allo studio sul ripristino della leva che animano il dibattito non sembrano però riguardare un semplice ritorno al servizio generalizzato del passato, quello che era destinato a dare vita ad eserciti di massa composti quasi esclusivamente da coscritti, ma proporrebbero forme innovative e selettive di coscrizione obbligatoria, destinate ad integrare ed affiancare le attuali forze professionali con una componente di supporto e di riserva, da mobilitare in caso di necessità.
In buona sostanza quello di cui si avverte l’esigenza in molti Paesi, compresa l’Italia, appare essere un servizio in grado di fornire alle Forze Armate il personale da adibire a mansioni di seconda linea da attivare in caso di crisi o di grave emergenza nazionale, compiti, se vogliamo, analoghi a quelli affidati negli eserciti anglosassoni alle componenti di riserva volontaria professionale, come la National Guard statunitense, il Territorial Army britannico o le analoghe formazioni canadesi ed australiane.
Presso molti osservatori cresce pertanto l’interesse per i modelli di coscrizione obbligatoria rimasti in essere, in forme ed articolazioni differenti, anche nel dopo guerra fredda, con particolare rifermento al “modello scandinavo”, un sistema che si è dimostrato in grado di dare vita a strumenti militari flessibili, capaci di evolversi in tempi brevi per fronteggiare condizioni geo-politiche mutevoli.
Dei quattro Paesi scandinavi tre, Svezia, Norvegia e Danimarca, possiedono forze armate composte in larga parte da professionisti e volontari a lunga ferma ed hanno adottato soluzioni sulla leva per certi versi simili. Risultano pertanto di particolare interesse, presentando caratteristiche che potrebbero essere trasmesse ed adottate, con le dovute specificità, in altre nazioni.
La Finlandia esula invece dalla nostra ricerca per la forma peculiare del proprio modello di difesa, basato su un sistema di coscrizione generale che dà vita, in sostanza, ad un esercito di milizia. Tutti i cittadini di sesso maschile ed età superiore ai 18 anni sono infatti chiamati a prestare, se fisicamente abili, un servizio militare obbligatorio di durata variabile di 165, 255 o 347 giorni, cui si aggiungono, negli anni successivi, diversi brevi richiami destinati a verificare l’efficacia delle procedure di mobilitazione e ad aggiornare le nozioni apprese in precedenza.
La lunghezza della ferma iniziale dipende dall’incarico assegnato e dall’idoneità del soggetto a svolgere incarichi di comando e di essere avviato alla formazione specifica per ufficiali o sottufficiali. Ogni anno sono circa 27.000 i coscritti finlandesi arruolati, corrispondenti all’80% di ogni classe maschile di leva, una percentuale tra le più alte al mondo. Come avveniva negli eserciti di massa della guerra fredda a questi numeri corrisponde una paga per il coscritto sostanzialmente simbolica, di pochi Euro al giorno.
Un servizio limitato e selettivo
Interessanti ed innovative le scelte operate dalle altre tre nazioni della regione, che meritano pertanto di essere brevemente illustrate ai fini di una adeguata analisi comparativa. Esse risultano tra l’altro più rispondenti alle necessità di Paesi che, come il nostro, già possiedono uno strumento militare professionale e che affiderebbero ad un’eventuale rinnovata componente di leva solo compiti integrativi e di supporto.
Il carattere distintivo che accumuna i tre modelli di reclutamento è rappresentato dalla selettività. Solo una piccola percentuale dei soggetti costituenti ogni singola classe di leva viene effettivamente arruolata, con preferenza accordata a quanti richiedono volontariamente di prestare servizio.
Questo “obbligo volontario”, un ossimoro nel quale si fondono la generalità potenziale della coscrizione e la sua volontaria adesione, costituisce l’elemento più caratterizzante del sistema in vigore in quei Paesi.
La durata della ferma è generalmente breve, dai quattro ai nove mesi, 12 per la Norvegia, ed è remunerata adeguatamente, raggiungendo, soprattutto in Svezia e Danimarca, livelli di rilievo, a volte in linea con le retribuzioni civili (nel caso danese ad esempio un coscritto percepisce circa 1.500 euro mensili).
Un altro carattere fortemente innovativo presente in questi Paesi è rappresentato dal mutato rapporto tra il singolo e l’istituzione militare, che supera i vecchi stereotipi sulla leva. Il coscritto viene percepito e valutato come un cittadino con pieni diritti, parte di un team inclusivo in cui ciascuno è tenuto a fare la propria parte, pur nella diversità di ruolo, funzione, genere e capacità fisica o professionale. Anche il soldato di leva rappresenta una risorsa importante per la forza armata ed il periodo che trascorre sotto le armi deve costituire un pieno investimento funzionale, tanto per il soggetto che per il reparto nel quale è inserito.
La Norvegia
In Norvegia l’obbligo del servizio militare, mai sospeso, è stato esteso nel 2015 anche alle donne, primo caso in Europa e nella NATO, norma che consente che circa un terzo dei coscritti arruolati sia oggi di sesso femminile.
Il processo di reclutamento è diviso in Norvegia in due fasi. La prima prevede che tutti i cittadini ricevano, al raggiungimento dei 18 anni, un questionario da restituire compilato in cui fornire tutta una serie di dati relativi al proprio stato di salute fisica e mentale, all’eventuale presenza di precedenti penali ed al desiderio o meno di prestare servizio nelle forze armate in qualità di coscritto.
In alcune nazioni europee la riduzione degli organici così generata sta divenendo grave, complici non solo le tensioni con la Russia ed il rischio di un confronto militare diretto con Mosca ma anche problematiche sociologiche, economiche e politiche più complesse.
Nella generalità dei casi le ipotesi allo studio sul ripristino della leva che animano il dibattito non sembrano però riguardare un semplice ritorno al servizio generalizzato del passato, quello che era destinato a dare vita ad eserciti di massa composti quasi esclusivamente da coscritti, ma proporrebbero forme innovative e selettive di coscrizione obbligatoria, destinate ad integrare ed affiancare le attuali forze professionali con una componente di supporto e di riserva, da mobilitare in caso di necessità.
In buona sostanza quello di cui si avverte l’esigenza in molti Paesi, compresa l’Italia, appare essere un servizio in grado di fornire alle Forze Armate il personale da adibire a mansioni di seconda linea da attivare in caso di crisi o di grave emergenza nazionale, compiti, se vogliamo, analoghi a quelli affidati negli eserciti anglosassoni alle componenti di riserva volontaria professionale, come la National Guard statunitense, il Territorial Army britannico o le analoghe formazioni canadesi ed australiane.
Presso molti osservatori cresce pertanto l’interesse per i modelli di coscrizione obbligatoria rimasti in essere, in forme ed articolazioni differenti, anche nel dopo guerra fredda, con particolare rifermento al “modello scandinavo”, un sistema che si è dimostrato in grado di dare vita a strumenti militari flessibili, capaci di evolversi in tempi brevi per fronteggiare condizioni geo-politiche mutevoli.
Dei quattro Paesi scandinavi tre, Svezia, Norvegia e Danimarca, possiedono forze armate composte in larga parte da professionisti e volontari a lunga ferma ed hanno adottato soluzioni sulla leva per certi versi simili. Risultano pertanto di particolare interesse, presentando caratteristiche che potrebbero essere trasmesse ed adottate, con le dovute specificità, in altre nazioni.
La Finlandia esula invece dalla nostra ricerca per la forma peculiare del proprio modello di difesa, basato su un sistema di coscrizione generale che dà vita, in sostanza, ad un esercito di milizia. Tutti i cittadini di sesso maschile ed età superiore ai 18 anni sono infatti chiamati a prestare, se fisicamente abili, un servizio militare obbligatorio di durata variabile di 165, 255 o 347 giorni, cui si aggiungono, negli anni successivi, diversi brevi richiami destinati a verificare l’efficacia delle procedure di mobilitazione e ad aggiornare le nozioni apprese in precedenza.
La lunghezza della ferma iniziale dipende dall’incarico assegnato e dall’idoneità del soggetto a svolgere incarichi di comando e di essere avviato alla formazione specifica per ufficiali o sottufficiali. Ogni anno sono circa 27.000 i coscritti finlandesi arruolati, corrispondenti all’80% di ogni classe maschile di leva, una percentuale tra le più alte al mondo. Come avveniva negli eserciti di massa della guerra fredda a questi numeri corrisponde una paga per il coscritto sostanzialmente simbolica, di pochi Euro al giorno.
La Svezia
Stoccolma aveva abolito il servizio militare obbligatorio nel 2010 ma solo 7 anni dopo lo ha ripristinato a partire dal 2018, per i giovano nati dopo il 1999, in una forma selettiva fortemente inspirata al modello norvegese.
Anche in Svezia, infatti, tutti i cittadini di entrambi i sessi sono tenuti, al compimento dei 18 anni, a completare un formulario on line, rispondendo a quesiti relativi al proprio stato di salute fisica e mentale, al livello di educazione scolastica raggiunto, ai propri interessi e caratteri della personalità. Infine debbono esprimere una valutazione personale sul servizio militare e sull’ipotesi della chiamata alle armi.
Sulla base delle risposte fornite l’amministrazione militare convoca, a fronte di una coorte annuale di quasi 100.000 giovani, circa 13.000 possibili candidati, prescelti per la loro motivazione e potenziale interesse al mondo militare. Da questi verranno tratti i circa 4.000 che saranno effettivamente arruolati (circa il 4% del contingente, per oltre quattro quinti maschi).
A tutti viene offerta la possibilità di aderire volontariamente e di servire in uno specifico ruolo, se fisicamente idonei. Tutto il processo mira a ridurre al minimo il numero dei giovani costretti a svolgere il servizio militare contro il proprio volere, obiettivo oggi sostanzialmente raggiunto ma che potrebbe allontanarsi nel prossimo futuro se, come pare, sotto la spinta della crisi internazionale il numero degli arruolati dovesse salire gradualmente fino a 10.000.
La durata della ferma varia tra 9 e 12 mesi, sulla base dello specifico incarico prescelto o assegnato, con la possibilità di ulteriori brevi richiami di aggiornamento, fino all’età di 47 anni.
La Danimarca
La legislazione danese prevede un servizio militare obbligatorio di durata compresa tra 4 e 12 mesi, dal quale sono escluse al momento le donne, che possono però arruolarsi su base volontaria anche se recenti prese di posizione di esponenti del governo fanno pensare ad una prossima parificazione di genere anche in questo settore.
Attualmente tutti i cittadini maschi debbono presenziare, al raggiungimento dei 18 anni, al “Giorno della Difesa”, nel quale viene loro illustrato il sistema militare del Paese e le possibilità di impiego, anche stabile, che esso offre.
Tutti sono quindi sottoposti ad una visita medica che li dividerà in tre categorie: fisicamente abili al servizio, parzialmente abili o inabili. Per questi ultimi il processo si conclude senza ulteriori obblighi di leva, mentre gli appartenenti alle prime due categorie partecipano a quella che è sostanzialmente una lotteria, e si vedono assegnato un numero.
Su un totale annuale di circa 36.000 giovani fisicamente abili o parzialmente abili, i primi 8.000 estratti sono potenzialmente soggetti alla coscrizione, mentre gli altri, in tempo di pace, non verranno richiamati.
Gli elementi risultati parzialmente abili possono comunque scegliere di non essere arruolati, anche se inseriti tra i primi 8.000, mentre i soggetti abili sono tenuti obbligatoriamente a prestare il servizio militare, generalmente di soli 4 mesi, se il numero di volontari risultasse insufficiente a coprire le necessità delle forze armate.
Infatti, nonostante il carattere formalmente obbligatorio del servizio di leva, la quasi totalità dei coscritti danesi ha scelto volontariamente di essere arruolato, indipendentemente dal numero ricevuto nel “Giorno della Difesa”.
Nel 2022 tutti i 4.616 cittadini che hanno completato il servizio di leva lo avevano scelto volontariamente, con una quota femminile di circa il 27 per cento. La situazione potrebbe però cambiare radicalmente se il personale da arruolare ogni anno dovesse aumentare in modo consistente. Nel Paese è infatti in corso un dibattito tra le forze politiche che potrebbe portare nei prossimi anni il numero dei coscritti a 15.000.
Terminato l’addestramento di base e congedati, i militari di leva sono assegnati per cinque anni ad una specifica unità della riserva, cui dovranno presentarsi in caso di mobilitazione.
Il dibattito in Italia
Nel nostro Paese il dibattito sulla rinnovata attualità della leva ritorna periodicamente, di solito con affermazioni estemporanee, propagandistiche o demagogiche, prive di un concreto progetto innovatore. Ne è stato un esempio la cosiddetta “mini naia” attuata nel 2010 e poi sostanzialmente abbandonata, un breve servizio volontario privo di ogni significato addestrativo ed operativo: non è di questo che ha bisogno il Paese. Parimenti le Forze Armate non dovrebbero farsi carico del ruolo di educatore sociale, né garantire ai giovani quanto famiglie ed istituzioni scolastiche non hanno saputo trasmettere. Non è questo il suo ruolo.
Quello di cui si avverte semmai la necessità è una riserva addestrata destinata ad integrare in casi di emergenza l’esercito professionale, supportandolo in compiti di seconda linea. L’obiettivo potrebbe essere raggiunto introducendo un servizio di leva limitato e selettivo, fortemente innovatore rispetto ai modelli del passato e di breve durata, orientato alla sola formazione militare di base e che privilegi gli aspetti tattici dell’addestramento rispetto a quelli formali.
Nel caso specifico i compiti che potrebbero essere assegnati a tali forze includerebbero:
Tra i modelli scandinavi illustrati quello che meglio potrebbe adattarsi a tali necessità è quello danese, basato su piccoli numeri di soggetti sostanzialmente volontari, adattato alle peculiarità della società italiana. A vent’anni dalla sospensione della leva non esistono infatti più le strutture incaricate della prima ricezione del personale e delle valutazioni mediche e psico-attitudinali.
Sarebbe pertanto opportuno stabilire a priori i soggetti potenzialmente sottoposti all’obbligo mediante un’estrazione a sorte casuale, pubblica e verificabile. Successivamente solamente costoro affronterebbero la vera selezione nelle strutture attualmente in essere, eventualmente solo leggermente potenziate.
Per costituire una riserva di circa 20.000 uomini e donne mobilitabili all’emergenza potrebbe essere sufficiente arruolare ogni anno non più di 4.000 coscritti, da iscrivere nei ruoli della riserva per 5 anni. A costoro andrebbe garantito, a compensazione dell’obbligo cui il Paese li ha sottoposti, un trattamento economico analogo a quello riservato ai Volontari in Ferma Iniziale triennale. Tale retribuzione, unita alla breve durata del servizio, dovrebbe garantire un’alta percentuale di “coscritti volontari”, sia uomini che donne.
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si vada al link: http://www.disarmistiesigenti.org/2024/02/17/diarifineguerra2024/
Come (e quando) potrebbe finire il conflitto fra Ucraina e Russiada Il Punto del Corriere della Sera - 27 agosto 2024 |
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Considerazioni sul possibile ed auspicato scenario di cessazione dei combattimenti nell'Est Europa e avvio dei negoziati a partire dallo "stallo" (sconfitta?) della controffensiva lanciata dall'esercito di Kiev. Ma la "guerra mondiale a pezzetti", con il 7 ottobre 2023 di Hamas e la risposta israeliana su Gaza, e con gli attacchi Houthi nel Mar Rosso, accende un incendio in Medio Oriente che può determinare un ulteriore motore di generalizzazione verso un conflitto globale. La "tendenza alla guerra", come conflitti, riarmo e militarizzazione, si rafforza, anche se il movimento disarmista coerente non deve cedere al fatalismo che dà per scontata la deriva verso la terza guerra mondiale. Riprendiamo il lavoro iniziato nel 2023. (Nota bene. La prima puntata del 2024 sarebbe la sedicesima, se calcolata nel lavoro complessivo).
PARTE 1 - STRANO MA VERO: PUTIN VORREBBE TRATTARE? FORSE, MA ALLE SUE CONDIZIONI
Di Alfonso Navarra – Disarmisti esigenti
La roccaforte ucraina di Avdiivka è appena caduta, l’esercito russo avanza su tutta la linea, ma Vladimir Putin dichiara: “Siamo pronti al dialogo”, aggiungendo che “se non fosse stato per l’Occidente, i combattimenti sarebbero cessati un anno e mezzo fa”. Ancora più strano è che questa voglia di negoziato si manifesti dopo la morte del più noto oppositore del regime putiniano, le cui circostanze non chiare sembrano aver riacceso la voglia di USA e alleati di puntargli il dito contro, confermando il sostegno militare ai nemici di Kiev.
Il presidente USA ha telefonato personalmente a Zelensky: “Trovo assurda l’idea che ora stiano finendo le munizioni e che noi ce ne andiamo. Sono fiducioso che la Camera degli Stati Uniti darà disco verde ai 60 miliardi che sono già passati per il voto del Senato.
A giugno dovrebbero essere consegnati all’Ucraina i primi caccia F16 americani, il cui arrivo avrebbe dovuto avvenire già nel primo trimestre del 2024.
Gli obiettivi della mossa dialogante di Putin: passare all’incasso su neutralità dell’Ucraina e uscita di scena della NATO
A cosa allude Putin quando evoca il negoziato scaricando la responsabilità del suo ritardo? Bisogna tornare al 31 marzo 2022. La neutralità di Kiev era in ballo nei colloqui di allora e bisogna tenere presente che è questo il principale obiettivo politico di Putin. Almeno secondo l’interpretazione di Gian Micalessin su il Giornale del 19 febbraio 2024.
“(Lo zar russo in nome di questo obiettivo) potrebbe rinunciare ad alcuni dei territori conquistati e già annessi alla Federazione russa con i referendum, mai internazionalmente riconosciuti, del settembre 2022. Ma cosa significa neutralità? Nella visione del Cremlino è lo status mantenuto dalla Finlandia fino alla recente adesione alla NATO. Kiev per ottenere la pace dovrebbe rinunciare sia all’adesione all’Alleanza Atlantica – inserita come obiettivo nella Costituzione fin dal febbraio 2019 – sia ad armi e aiuti occidentali “
Si chiede Micalessin se pensare a una capitolazione di Kiev può essere realistico. “La risposta oggi è no. Una vittoria di Donald Trump alle presidenziali di novembre potrebbe però ribaltare gli scenari. Il fallimento della controffensiva della scorsa estate, la sostituzione del popolarissimo capo di stato maggiore e la disfatta di Avdiivka stanno mettendo a dura prova la popolarità di Zelensky. Lo zar però è convinto che un negoziato possa regalargli la vittoria anche con Joe Biden alla Casa Bianca. Nella sua visione il vero asso nella manica è il logoramento dell’esercito di Kiev.”.
L’intervista di Putin a Pavel Zarubin: “Per noi la guerra in Ucraina è esistenziale”
La nuova disponibilità di Putin a dialogare con il governo di Kiev va sempre inserita nel ragionamento più complessivo sulla guerra in Ucraina: su questo fronte non sono previsti cedimenti ed il messaggio deve arrivare semza equivoci al mondo ma anche alla sua opinione pubblica. È questo il senso dell’intervista, di cui riferisce l’ANSA, rilasciata dal leader russo al giornalista della Compagnia televisiva e radiofonica panrussa Pavel Zarubin. "La situazione sull'Ucraina è una questione di vita o di morte per la Russia, mentre all'Occidente non importa poi così tanto, si tratta solo di migliorare la posizione tattica".
Commentando la recente intervista che ha avuto con l'ex anchorman Tucker Carlson, Putin ha poi aggiunto che "gli americani faranno fatica a comprendere i riferimenti storici contenuti" in essa. "Ho fornito loro solo la teoria più popolare che riguarda l'origine normanna, e penso che per l'ascoltatore e lo spettatore occidentale non sia stato facile. Soprattutto per gli americani", ha detto il presidente.
Se non lo si fosse capito, bisogna quindi stamparsi nel cervello che l’autocrate al Cremlino si sta giocando il tutto e per tutto e non è disposto a cedere, se non su aspetti secondari. La vita di migliaia di soldati russi al fronte è sul piatto della scommessa. La conquista di Avdiivka dimostra che l’esercito russo ha ancora la capacità di avanzare in territorio nemico, anche pagando un prezzo molto alto. Putin ha fatto intendere di poter sfruttare quella che appare la più importante arma strategica nelle sue mani: il tempo. Stati Uniti e UE non sembrano in grado di fornire a Kiev le armi e le munizioni necessarie a riprendere la controffensiva. E i fondi bloccati al Congresso USA ne sono la dimostrazione più lampante. In queste condizioni l’offerta di dialogo da parte di Putin ha questo significato: dovete accettare le mie condizioni, vi conviene!
Ora le difese ucraine rischiano di arretrare di altri 20 kilometri
Sempre su il Giornale Fausto Biloslavo ci racconta la situazione del fronte.
“La roccaforte più avanzata degli ucraini nel Donbass (Avdiivka – ndr) dopo dieci anni è stata occupata dai russi. E sarebbero riusciti a spingersi anche più avanti, per 8 chilometri, verso i bordi della tenaglia che rischiava di chiudere le truppe di Kiev in una mortale sacca. Di Avdiivka, 32mila anime prima dell'invasione, restano solo macerie e poche centinaia di civili che non hanno voluto farsi evacuare con gli autobus gialli. (…) Da quattro mesi le truppe dello Zar attaccavano ad ondate «avanzando sui loro morti e con un vantaggio nei colpi di artiglieria di 10 a 1» ha dichiarato il generale Oleksandr Tarnavskyi, comandante del fronte sud ucraino. Nel carnaio i russi avrebbero perso 47mila uomini per offrire a Vladimir Putin, una vittoria alla vigilia delle elezioni già scritte che lo confermeranno al Cremlino. La brigata 110 si è sacrificata fino all'ultimo nella difesa della città, ma al crollo del forte Zenit, sul fianco sud, non c'è stato più nulla da fare se non evitare di finire stritolati nella sacca. Molti ucraini sono stati fatti prigionieri. Fra gli uomini che hanno dato il sangue per Avdiivka serpeggia la rabbia per un ordine che avrebbe dovuto arrivare due settimane prima rendendo la ritirata ordinata e con meno perdite. I racconti della ultime ore sono di un «si salvi chi può». (...) Avdiivka, a soli sei chilometri da Donetsk, era strategica perché gli ucraini riuscivano a colpire la «capitale» dei filorussi nel Donbass. La nuova linea di difesa rischia, per poter reggere, di doversi spostare fino a venti chilometri indietro. Per ora gli ucraini resistono a metà strada, ma i russi stanno attaccando da dicembre su sette direttrici. A cominciare da Est sull'asse Kupyansk-Svatove-Kreminna. E sugli oltre 900 chilometri della linea del fronte gli ucraini, che devono razionare le munizioni, riescono a tirare 2mila cannonate al giorno rispetto alle 10mila dei russi”.
PARTE 2 - INTANTO L’EUROPA SI INDIRIZZA VERSO L’ECONOMIA DI GUERRA
La difesa comune UE: nel passaggio a una “economia di guerra”, un Recovery delle armi che vale 100 miliardi,
Il Piano di investimenti militari per la nuova Commissione UE, che segnerà il passaggio della priorità dal Green Deal alla Difesa comune, sarà finanziato con gli eurobond e sarà sostenuta da una centrale unica di acquisti.
È da segnalare che la Von der Leyen, durante la Conferenza sulla sicurezza di Monaco, abbia confidato che, se nella prossima legislatura che emergerà dal voto di giugno dovesse tornare a presiedere la Commissione, vorrebbe avere un Commissario alla Difesa, che attualmente non c’è.
Su il Messaggero del 19 febbraio 2024 l’articolo a firma di Gabriele Rosana, titolo: “Un recovery delle armi che vale 100 miliardi”, ci dà le seguenti notizie:
“La direzione generale della Commissione (una sorta di dipartimento ministeriale) che si occupa di difesa esiste da tre anni, ma finora la responsabilità politica è stata demandata al titolare dell’Industria, il francese Thierry Breton. Che, a inizio gennaio, aveva fatto di conto, indicando che l’UE dovrebbe stanziare almeno 100 miliardi per i sussidi alle aziende delle armi. Tra una settimana, il 27 febbraio, (…) l’EDIP sarà chiamato a mobilitare gli investimenti comuni. A cominciare proprio da un Recovery Plan in miniatura (per EDIP Breton aveva ipotizzato 3 miliardi) facendo leva (,,,) sugli eurobond per la difesa che nelle capitali trovano da tempo più di uno sponsor (ad esempio Macron)”.
In sostanza, il focus di lavoro per la difesa UE rimane economico: al di là degli annunci, avventurarsi in un piano che vada troppo avanti nella creazione di un esercito comune rischierebbe di andare contro i Trattati che assegnano la responsabilità della politica militare ai singoli Paesi e il coordinamento all’Alto rappresentante, oggi Borrell. Ma far emergere la dimensione industriale della difesa sarebbe un primo passo da non sottovalutare.
Gli Stati europei acquistano il 70% degli equipaggiamenti militari dagli Stati Uniti, che producono senza sosta e fanno la parte del leone nelle classifiche internazionali dell’industria bellica. Nella sua strategia per incentivare la base industriale UE, Bruxelles tenta ora di potenziare, rendendoli strutturali, suoi propri strumenti di investimento: EDIRPA e ASAP. Anche la BEI sarà chiamata a svolgere un ruolo di primo piano nell’erogazione di incentivi alle imprese: i ministri delle finanze ne parleranno al prossimo ECOFIN informale nella città belga di Gand.
Per andare più in dettaglio, l’analisi del Piano la troviamo sul sito EURACTIV a cura di Aurélie Pugnet. La tesi è la seguente: “Con il suo atteso programma per l’industria della difesa, la Commissione europea intende utilizzare il bilancio del blocco per ristrutturare la base industriale della difesa, mostrando la volontà di aumentare la produzione sostenibile in tutto il continente e di diventare più indipendente da altri fornitori come gli Stati Uniti”.
La premessa è la prossima presentazione della Strategia dell’Industria Europea della Difesa (EDIS) e del suo programma di accompagnamento (EDIP) nelle settimane in arrivo.
“Negli ultimi anni l’Unione europea ha istituito una serie di strumenti e fondi, dal finanziamento della ricerca al quasi raddoppio della produzione di munizioni in tutto il blocco grazie alla mappatura delle capacità e dell’organizzazione.
Tuttavia, questi programmi innovativi hanno affrontato le preoccupazioni urgenti derivanti dalla guerra in Ucraina e non hanno tenuto conto della necessità per la base tecnologica e industriale della difesa europea di aumentare la capacità di produzione in modo sostenibile e di essere preparata per il lungo periodo.
I funzionari dell’UE e della NATO hanno avvertito che la guerra in Ucraina sta diventando una guerra di magazzini, dove la capacità produttiva sarà fondamentale.
La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha mostrato il suo interesse per la proposta in un’intervista al Financial Times, dopo mesi di esitazione a dare il via libera alla strategia – la presidente aveva evitato di annunciarla nel suo discorso sullo stato dell’Unione a settembre, menzionandola solo nelle risposte alle domande dei parlamentari.
La sua presa di posizione su questo tema delicato è ora a favore di un ruolo più incisivo dell’UE nel sostenere finanziariamente l’industria della difesa nel passaggio da un’economia di pace a un’economia di guerra, consolidando al contempo il mercato unico della difesa.
Mentre l’industria della difesa europea sta ancora lottando per proporre modi per produrre rapidamente attrezzature che rispondano alle esigenze dei Paesi dell’UE e dell’Ucraina, gli Stati Uniti hanno industrie che lavorano 24 ore su 24, con opzioni facili da acquistare sul mercato.
Dall’inizio della guerra in Ucraina, due anni fa, circa il 70% degli acquisti europei sono stati effettuati negli Stati Uniti.
Ma le aziende europee si sono opposte all’investimento massiccio in nuove linee di produzione, poiché i governi richiedevano tempo per firmare i contratti, ostacolando la costituzione di scorte e la consegna rapida di attrezzature all’Ucraina”.
Secondo Pugnet di Euractiv, l’Europa starebbe finalmente voltando pagina, lanciando una vera e propria politica per l’industria della difesa, per risolvere il problema della adeguata disponibilità produttiva in termini di tempo e di volume, diventata una ineludibile questione di competitività e di sicurezza.
Alcuni degli elementi che la Commissione intende presentare sono già noti, come ad esempio un quadro normativo che consenta ordini con priorità e un’esenzione dall’IVA per i consorzi di Stati membri che effettuano acquisti congiunti in Europa.
Si prevede inoltre che la Commissione crei un’intera gamma di strumenti.
Thierry Breton, commissario UE responsabile della politica industriale, il mese scorso ha affermato che la Commissione potrebbe svolgere un ruolo nel derisking degli investimenti delle aziende nella produzione e nel ramp-up per rendere più rapidi i processi di produzione e di approvvigionamento..
Nel tentativo di evitare un’altra deindustrializzazione dell’Europa come quella avvenuta dopo la Guerra Fredda, altri strumenti chiave evidenziati dalle fonti industriali coinvolte nella consultazione con la Commissione includono modi per mantenere le fabbriche “sempre calde” e un meccanismo di vendita militare europeo basato sul modello militare estero degli Stati Uniti e sui sistemi di proprietà congiunta.
Anche l’industria ucraina potrebbe essere strettamente legata al progetto europeo, come suggerito dalla Von der Leyen in autunno, mentre i programmi di difesa dell’UE sono solitamente riservati ai Paesi dell’Unione e alla Norvegia.
La cooperazione tra il blocco e l’industria ucraina è stata presentata come un aspetto importante dell’impegno per la sicurezza del Paese devastato dalla guerra, secondo una nota interna del servizio diplomatico dell’UE visionata da Euractiv.
Il mese scorso, Breton ha dichiarato che l’UE ha bisogno di 100 miliardi di euro per la difesa e di 3 miliardi di euro per l’EDIP, ma il bilancio del blocco non dispone di tali risorse.
È quindi probabile che ciò aumenti la pressione sulla Banca europea per gli investimenti (BEI), il braccio creditizio del blocco, affinché diventi molto più attiva nel finanziamento di progetti di difesa, sfruttando il suo rating di investimento AAA per ottenere tassi preferenziali sui mercati finanziari, che finora ha rifiutato.
I ministri delle Finanze dell’UE che si riuniranno a Gand, in Belgio, la prossima settimana discuteranno la modifica della politica di prestito della BEI, dopo che a dicembre i leader dell’UE hanno chiesto alla banca di essere maggiormente coinvolta nel settore della difesa.
(Si vada al link: https://euractiv.it/section/mondo/news/il-nuovo-programma-di-difesa-dellue-mira-a-rinnovare-la-strategia-industriale-del-blocco/)
Francia e Germania al top della produzione militare in Europa
Michele Di Branco su Il Messaggero del 19 febbraio 2024 ci dà i numeri sulla spesa militare e gli investimenti militari dell’Europa: 350 sono i miliardi investiti complessivamente dai 27 Paesi membri della UE per rinforzare o ammodernare i propri armamenti. Scusate se è poco!
L’inizio di una difesa comune anche nucleare?
“L’inizio di una difesa comune”. È il titolo di un commento di Michele Valensise che troviamo su “la Repubblica del 19 gennaio 2024, che definisce “storica” l’intesa bilaterale tra Germania e Ucraina (10 anni di forniture militari e aiuti economici), analoga a quella già sottoscritta con la Francia, come con l’UK a gennaio.
È importante che, da parte di Valensise, venga collocato in questo contesto antirusso e di affiancamento dell’Ucraina la discussione tra Parigi e Berlino su una deterrenza nucleare europea, nel momento in cui sorgono dubbi sull’”ombrello americano”.
“Nel cambiamento epocale — indipendentemente dalle bordate di Trump, che allarmano più che altrove — Berlino potrebbe essere pronta a ragionare su una partecipazione operativa e finanziaria alla deterrenza francese (290 testate, a fronte delle 100 Usa in Europa).Con un paradosso della storia, proprio dalla Francia, che settanta anni fa affondò la Comunità europea di difesa, oggi potrebbe svilupparsi così un embrione di difesa comune (e il Regno Unito?) dal capitolo nucleare, il più complesso e speriamo tutti il più teorico.
Intanto, il passo essenziale resta quello di un’integrazione di programmi e approvvigionamenti europei, per tutelarsi su una scena in cui gli Stati Uniti saranno comunque meno presenti e la Russia rischia di essere più minacciosa. Sarebbe un passo più importante del Commissario Ue alla Difesa, prospettato da Ursula von der Leyen, soggetto ai limiti del metodo intergovernativo in mancanza di una politica di difesa comune”.
PARTE 3 –IL PATTO ROMA – KIEV. L’ITALIA GARANTE DELLA SICUREZZA UCRAINA COME FRANCIA, GERMANIA, REGNO UNITO
Francesco Bechis, su Il Messaggero del 19 febbraio 2024, rivela un retroscena nell’articolo dal titolo: “Italia con Kiev per 10 anni”.
“Un Patto prima di tutto politico. E solo poi operativo. L’Italia resterà a fianco dell’Ucraina per 10 anni. Pronta a fornirle aito “entro 24 ore” se in futuro Putin dovesse aggredirla un’altra volta, accecato da nuove smanie imperiali. È questo il regalo che Giorgia Meloni è pronta a consegnare nelle mani del presidente Ucraino Zelensky. Di persona, a Kiev, con una visita imminente, e tenuta top secret per ragioni di sicurezza: forse già nei prossimi giorni.
All’accordo bilaterale sulla sicurezza lavorano da mesi le rispettive diplomazie. E’ un testo molto simile a quello firmato nelle scorse settimane con Zelensky da tre leader del G7: Scholz, Sunak e Macron. Ora tocca alla Meloni e forse il regalo avverrà il 24 febbraio, quando la leader del governo presiederà in videoconferenza una riunione del G7.
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di Carlo Bonini (coordinamento editoriale), di Lucio Caracciolo. Mappe di Laura Canali. Coordinamento multimediale Laura Pertici.
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Il 2024, l’anno delle grandi elezioni in tutto il mondo, è iniziato con il voto che a Taiwan ha fatto eleggere presidente il candidato inviso a Pechino, nonostante le pressioni minacciose del Partito Comunista Cinese.
In Ucraina, la “contro-offensiva” dell’esercito di Kiev sembra tutt’altro che riuscita, e comincia ad affiorare il dubbio che il supporto militare americano ed occidentale possano addirittura venire meno.
La fede nella vittoria finale di Zelensky comincia a vacillare (si prospettano persino scenari di collasso militare dell’Ucraina) ed in ogni caso è chiaro ormai a tutti che essa sarà comunque ottenuta ad un prezzo inaccettabile.
Quel che resterà dell’Ucraina e degli ucraini, vittoriosi militarmente o meno, probabilmente – come si è accennato -addirittura sconfitti, dovrà affrontare un enorme progetto di ricostruzione su un mare di macerie. Un dispaccio dell’AGI del 16 febbraio 2024 riferisce di un rapporto della Banca Mondiale, ripresa come pubblicazione dal governo ucraino, dalla Commissione UE e dall’ONU: stante i danni subiti, la ricostruzione dell’Ucraina verrebbe a costare 500 miliardi di dollari in dieci anni. (Ma siamo a conoscenza di altre stime più pessimistiche, sui 1.000 miliardi di danni, al momento).
Chi dovrebbe pagare la ricostruzione? Il rapporto suggerisce la confisca dei beni russi congelati in Occidente. (La notizia al link: https://www.agi.it/estero/news/2024-02-16/quanto-costa-ricostruire-ucraina-25312769/)
Nelle stesse ore in cui l’oppositore di Putin si spegneva nella prigione siberiana, la bandiera russa ha sventolato sulla città ucraina di Avddijvka.
Proprio quando in Occidente cominciavano a manifestarsi i sintomi di quella “stanchezza” confessata da Giorgia Meloni ai comici russi che la burlavano nella qualità di “ambasciatori del Katonga” (secondo la brillante citazione totoista di Marco Travaglio), Hamas (finanziato da Qatar e Iran, quest’ultimo in ottimi rapporti con il Cremlino) ha creato una utile distrazione dal fronte europeo con l’incursione del 7 ottobre e la guerra scatenata a Gaza; e Trump ha dichiarato che, quando sarà presidente, la Russia potrà fare quello che vuole ai Paesi europei della NATO, se risultano morosi rispetto allo standard del 2% del PIL, quindi non versano la loro quota per “difendersi”.
La morte di Navalny rinfocola l’inimicizia contro il regime russo
La morte dell’oppositore Navalny nella prigione in Siberia dove era stato rinchiuso (16 febbraio 2034) desta indignazione in tutto il mondo e mette Putin sotto accusa. Parlare di compromessi con la Russia diventa, al momento, più difficile. L’occasione può essere colta dai governi occidentali, che spingono Zelensky a “fare l’eroe”, per superare la “stanchezza” che li affligge per un conflitto sull’Ucraina ormai alla vigilia del secondo anniversario (l’invasione russa è del 22 febbraio 2022).
Il Corriere della sera del 17 febbraio 2024, con l’articolo di Giuseppe Sarcina, fa tirare queste somme al presidente USA Joe Biden: “Non sono sorpreso ma sono furioso. Non ci sono dubbi che Putin e i delinquenti di cui si circonda siano i responsabili della morte di Navalny”. Il coraggio dell'oppositore russo sarebbe oggetto della ammirazione presidenziale: “Un uomo che poteva fuggire all’estero, ma che ha voluto tornare in Russia”. Biden, secondo Sarcina, sostiene che “l’ennesima prova della brutalità di Putin deve spingere il Congresso americano ad approvare al più presto il pacchetto di aiuti da 60 miliardi di dollari destinati a Kiev”. Con un messaggio indirizzato a Mosca (che guarda alle dichiarazioni di Trump – ndr): “Non si facciano illusioni, difenderemo ogni centimetro del territorio NATO”.
A Monaco è in corso la Conferenza sulla sicurezza, cominciata il 16 febbraio nella città tedesca.
La vicepresidente USA Kamala Harris, secondo Sarcina, avrebbe così avvertito gli europei: “Qui non è in gioco solo la libertà dell’Ucraina. Se non viene fermato, Putin attaccherà l’intera Europa”.
Il segretario generale dell’Onu António Guterres chiede, attraverso un portavoce, “l’apertura di un’inchiesta piena, credibile e trasparente”.
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky non ha dubbi: «Navalny è stato ucciso e Putin dovrà rispondere dei suoi crimini».
Lo stato d’animo è condiviso dai vertici della UE. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen osserva: «Putin teme il dissenso del suo stesso popolo. Quello che è accaduto oggi è un triste promemoria: ecco che cos’è il regime di Putin. Uniamoci nella lotta per salvaguardare la libertà e la sicurezza di tutti coloro che osano opporsi all'autocrazia».
(Si vada al link: https://www.pressreader.com/italy/corriere-della-sera/20240217/281603835387325).
Lo scenario di “fine guerra” in Ucraina sembra allontanarsi. Ma il tempo che passa espone ad una crisi di coerenza nel sostegno a Kiev, negli USA evidentissima, dovendo fare i conti con le elezioni presidenziali di novembre: l’opinione pubblica a stelle e strisce ha tutt’altro per la testa, i problemi economici, l’immigrazione, e Donald Trump sta volando nei consensi.
Con gli aiuti statunitensi bloccati il sostegno militare all’Ucraina rallenta
Il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha ammonito che l’impasse del Congresso USA sulla nuova assistenza all’Ucraina “ha già avuto conseguenze sul campo di battaglia”.
Per settimane i legislatori democratici e repubblicani sono stati impegnati in un'aspra battaglia legislativa su una proposta di legge che avrebbe sbloccato denaro fresco per Kiev, che ha un disperato bisogno di armi avanzate per rifornire le sue scorte esaurite e affrontare l'avanzata delle truppe russe di invasione.
L'ultimo pacchetto approvato dal Senato prevede 60 miliardi di dollari (55,7 miliardi di euro) per il sostegno militare e finanziario all'Ucraina, 14 miliardi di dollari per Israele, 9,2 miliardi di dollari per gli aiuti umanitari, compresi ulteriori aiuti per la Striscia di Gaza, e 8 miliardi di dollari per la regione indo-pacifica.
Ma non è detto che il sostegno bipartisan in Senato sia replicato alla Camera dei Rappresentanti, dove i repubblicani della linea dura, galvanizzati dalla speranza di un ritorno di Trump alla Casa Bianca, hanno giurato di bloccare la misura.
Lo speaker repubblicano Mike Johnson ha dichiarato mercoledì che la Camera non avrebbe avuto "fretta" di portare avanti il pacchetto da 95,2 miliardi di dollari, che non contiene fondi per il controllo delle frontiere e la gestione dell'immigrazione, una priorità irrinunciabile per il suo partito durante i negoziati.
(Per la notizia si vada al link: https://it.euronews.com/my-europe/2024/02/15/lo-stallo-degli-stati-uniti-sugli-aiuti-allucraina-sta-gia-avendo-conseguenze-sul-campo-di ).
L’Unione europea ha dovuto superare il blocco ungherese per varare gli aiuti finanziari e militari, garantendo un flusso di 50 nuovi miliardi di euro. L’istituto tedesco di Kiel, che attraverso l’Ukraine Support Tracker monitora il flusso di aiuti verso l’Ucraina dall’inizio del conflitto, fa un calcolo che, per sostituire completamente gli aiuti militari statunitensi nel 2024, l’Europa dovrebbe raddoppiare il livello e il ritmo di quelli attuali, una missione praticamente impossibile. Il divario tra gli impegni presi complessivamente tra Bruxelles (144 miliardi di euro) e i fondi stanziati arrivati a Kiev (77 miliardi di euro) rimarrebbe comunque molto ampio.
L’ultimo aggiornamento dell’Ukraine Support Tracker pubblicato a metà febbraio mostra che gli impegni e le consegne di aiuti statunitensi sono sostanzialmente in fase di stallo dalla fine del 2023. Gli aiuti europei, d’altro canto, continuano ad aumentare, sia in termini di impegni che in termini di stanziamenti, con il volume degli aiuti finanziari totali stanziati dall’Unione pari a 34 miliardi di euro, simile a quello degli aiuti militari stanziati, di 35,2 miliardi di euro. Nel periodo tra novembre 2023 e il 15 gennaio 2024 gli aiuti militari promessi sono stati di 9,8 miliardi di euro, mentre nello stesso periodo dell’anno scorso, gli impegni ammontavano a 27 miliardi di euro, di cui 21 miliardi provenivano dagli Stati Uniti.
Il sostegno militare per l’Ucraina continua a provenire principalmente da alcuni grandi donatori come i paesi nordici, la Germania o il Regno Unito, mentre molti altri paesi hanno promesso o fatto poco o nulla. Anche nel settore militare, come in quello esclusivamente finanziario, esiste una grande differenza tra gli aiuti promessi e quelli effettivamente stanziati: Berlino rimane il maggiore donatore europeo con un volume totale di 17,7 miliardi di euro dall’inizio della guerra; il Regno Unito ha recentemente annunciato 2,9 miliardi di euro in nuovi aiuti militari, portando i suoi impegni militari totali a 9,1 miliardi di euro. Secondo i dati dell’Istituto di Kiel, di questa somma sono stati effettivamente stanziati 4,8 miliardi di euro. Germania, Gran Bretagna e Francia sono i paesi che hanno già sottoscritto accordi bilaterali con Kiev per un supporto a lungo termine. Tra i maggiori donatori ci sono anche la Danimarca, che ha promesso fino ad ora 8,4 miliardi di euro in aiuti militari, di cui 4,5 miliardi di euro sono stati stanziati specificatamente.
(Questi dati li si trova al link: https://www.rsi.ch/info/mondo/Aiuti-occidentali-a-Kiev-la-dura-sfida-dei-numeri--2072218.html)
Lo scenario di un collasso militare dell’Ucraina
La “fine guerra” da noi auspicata potrebbe essere anche un portato del crollo militare ucraino, che obbligherebbe il governo di Kiev (non più guidato da Zelensky, ma da un sostituto: ad esempio il popolare generale Zaluzhny, da poco dimissionato dal comando dell’esercito) a discutere rapidamente la famosa “soluzione coreana”. Questo “cessate il fuoco” con la cessione di fatto delle aree conquistate è quello che il Cremlino tenta da 24 mesi e che ora appare possibile rendendo possibile il “cantare vittoria”.
L’esperienza storica insegna che la prima sorgente del collasso che porta alla sconfitta spesso nasce dalle divisioni politiche nelle istituzioni, come accadde alla Germania alla fine della Prima Guerra Mondiale – e oggi il consenso di Zelensky sta cominciando a precipitare.
Le prossime mosse russe punteranno a minare la volontà di lotta e resistenza del popolo ucraino; per questo ci si aspetta che la campagna di raid missilistici contro le città diventerà più massiccia e tornerà a bersagliare soprattutto la produzione di energia elettrica , fermando il lavoro delle fabbriche e il riscaldamento nei mesi gelidi.
Gianluca Di Feo su Repubblica del 18 febbraio 2024, titolo dell’articolo: “La caduta di AvdiJvka fiacca Kiev”, parla della ritirata ucraina dalla città del Donbass come di una “fuga disperata”. “(Le testimonianze descrivono) un “si salvi chi può” pagato a carissimo prezzo dai fanti della Brigata 110, che per quattro mesi hanno lottato nella città del Donbass senza ricevere rimpiazzi.
Il primo effetto della caduta di Avdiivka è soprattutto psicologico e può incidere sulla tenuta del morale dell’intero esercito di Kiev. La rimozione del popolarissimo generale Zaluzhny decisa dal presidente Zelensky ha aperto una crepa tra militari e governo, che adesso potrebbe venire allargata dalla disfatta sul campo.
Le scelte del nuovo comandante in capo, il generale Syrsky, sembrano avere confermato la sua fama di ufficiale più attento alle indicazioni politiche che alle condizioni dei reparti. La ritirata — sottolineano analisti ed ex ufficiali ucraini - doveva essere ordinata due settimane fa, quando la situazione è apparsa insostenibile.
Secondo le voci che rimbalzano di caserma in caserma, Zaluzhny già a inizio febbraio giudicava inutile la resistenza: il volume di fuoco dell’artiglieria e dei cacciabombardieri russi stava radendo al suolo tutto, mentre il blocco degli aiuti americani aveva lasciato le batterie ucraine senza munizioni. Zelensky gli avrebbe imposto di proseguire la lotta e poi lo avrebbe sostituito, con l’unico risultato di abbandonare decine se non centinaia di morti e prigionieri tra le rovine di Avdiivka.
Questo sostiene “radio fante” e i racconti drammatici dei superstiti che sui canali Telegram descrivono l’orrore della battaglia rischiano di dare un colpo fortissimo alla determinazione dell’armata ucraina, incrinando la fiducia nei nuovi vertici militari. I reparti in prima linea sono tutti nella stessa situazione: inferiori ai russi per uomini e proiettili, sempre più stanchi. Dagli Usa non arrivano più armi e il governo ha bloccato la mobilitazione chiesta dal generale Zaluzhny e così i vuoti negli organici impediscono ai veterani di tirare il fiato dopo due anni di combattimenti.
(L’articolo completo di Di Feo su La Repubblica è leggibile al link: ).
La stanchezza della guerra sposta l’interesse verso i problemi interni
Mentre il Cremlino, duro, fermo, inaugura la sua economia di guerra, con un piano di produzione bellica mai visto prima e investimenti carichi di zeri, l’Occidente prova a seguire una tendenza analoga, ma deve fare i conti con la “stanchezza” delle opinioni pubbliche, che fa pendere la bilancia verso altri interessi che non la battaglia di principio sul “diritto internazionale” violato.
L’interesse nazionale più in senso stretto diventa l’automatismo con cui i governi procedono, quando i soldi cominciano a mancare e non si conosce la fine della crisi, che in questo caso è una guerra di puro logoramento, alla vecchia maniera.
La verità è banale: per appoggiare una guerra, che sia difensiva o offensiva, servono i dané, e con essi il consenso di chi li controlla. Una cosa che Joe Biden e i democratici, tanto per citare qualcuno, con ogni evidenza, non hanno i numeri per fare, nelle istituzioni e nella cassa a disposizione. Probabilmente, il sostegno a Kiev in qualche modo andrà avanti, ma il Pentagono che scopre “improvvisamente” di aver fatto male i conti sui fondi residui è anche segno che la campagna elettorale è entrata nel vivo. E c’è da scommettere, la parola "Ucraina. da qui al novembre 2024, sarà pronunciata il meno possibile. Tanto più che un’altra guerra ha occupato il proscenio gettando sullo sfondo quella ucraina: la guerra medio-orientale.
L’incendio acceso da Gaza prelude a un nuovo equilibrio medio-orientale?
In Medio Oriente si è, malauguratamente, acceso un incendio bellico ed il suo spegnimento è molto complicato. Ma non è irrealistica la possibilità che dalla tragedia nasca una sorta di nuovo equilibrio.
Gli USA stanno lavorando per imporre quanto prima ad Israele una tregua umanitaria a Gaza come passo per un obiettivo più di fondo. Nel corso della pausa, Israele, sotto la protezione di Washington benedetta dall’ONU, forzando o scaricando Netanyahu, potrebbe congelare gli insediamenti in Cisgiordania e stipulare finalmente l’accordo sui due Stati, in cambio del riconoscimento diplomatico da parte dell’Arabia Saudita. Hamas a quel punto sarebbe azzerata politicamente (nella migliore delle ipotesi la fazione qatarina dovrebbe liberarsi di quella iraniana confluendo in una unità nazionale palestinese) e svuotata militarmente.
Lo sconfitto effettivo in Medio Oriente sarebbe allora l’Iran degli ayatollah, specie se si riattivasse e prevalesse la rivolta, trasformata in strategia rivoluzionaria, “DONNA – VITA – LIBERTA’.
Questa possibile stabilizzazione in Medio Oriente avrebbe effetti ragguardevoli a livello globale. L’idea di un ordine mondiale fondato sulla forza del diritto più che sul diritto della forza riprenderebbe piede e influenzerebbe tutti gli altri, numerosi e sempre più intrecciati, teatri dei conflitti. La spinta ai compromessi si farebbe più forte nel confronto Russia/Ucraina. E il cosiddetto Sud Globale potrebbe porsi in modo più costruttivo nella costruzione di un ordine mondiale alternativo al caos crescente.
Allo stesso Trump, imprenditore del caos e della paura, riuscirebbe più difficile vincere presidenziali negli USA.
Un fattore che potrebbe giocare un ruolo di arresto delle derive belliche e di stabilizzatore di equilibri più avanzati potrebbe essere un movimento disarmista e pacifista più intelligente nei suoi comportamenti e non rassegnato alla vittoria del peggio, magari sotto lo scudo di vecchi slogan massimalistici o la distorsione di logiche campiste.
La svogliatezza e la superficialità intellettuale, sia del pacifismo burocratico sia di quello “falcemartellista”, rischiano di essere un grande regalo alle forze della falsa lotta tra democrazie autoritarie e autocrazie più o meno conclamate.
Se ci sentiamo parte dei “buoni”, delle donne e degli uomini di buona volontà, è più che mai il momento di darci dentro, con l’impegno e lo sforzo di innovazione, all’insegna dei gandhiani “esperimenti con la Verità”.
L’Italia reitera con Meloni per la seconda volta il decreto Draghi sugli aiuti militari all’Ucraina
L’8 febbraio 2024 l’Aula della Camera ha definitivamente convertito in legge, con voti 218 favorevoli e 42 contrari (Avs e M5S), il DL 200/2023 che proroga per tutto il 2024 “l’autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore dell’Ucraina”
Il provvedimento era stato già votato al Senato il 18 gennaio. L’autorizzazione all’invio di aiuti militari era stata già prorogata, fino al 31 dicembre scorso con un analogo provvedimento del gennaio 2023. L’elenco dei mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari ceduti, gratuitamente, viene definito attraverso Dm del ministro della Difesa, adottati di concerto con i ministri degli Esteri e dell’Economia. I ministri della Difesa e degli Esteri riferiscono alle Camere con cadenza trimestrale sull’evoluzione del conflitto.
Fin dall’inizio del suo mandato la premier Giorgia Meloni ha garantito il massimo della continuità rispetto al governo che l’ha preceduta, quello di Mario Draghi, sulla guerra in Ucraina. Piena adesione, dunque, alla linea occidentale e atlantica, di condanna dell’aggressione russa. L’obiettivo conclamato è consentire all’Ucraina di esercitare il diritto alla legittima difesa e di proteggere la sua popolazione.
I mezzi militari di cui si autorizza la cessione sono elencati in un allegato, «elaborato dallo Stato maggiore della difesa», che è però classificato, e quindi non disponibile. Lo Stato maggiore della difesa viene anche autorizzato ad adottare «le procedure più rapide per assicurare la tempestiva consegna dei mezzi, materiali ed equipaggiamenti».
Dalle prime settimane del conflitto in Ucraina (marzo 2022) l’Italia ha fornito mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari a Kiev attraverso una serie di provvedimenti, presi prima dal governo Draghi (il quinto pacchetto ha avuto il via libera dell’esecutivo quando era dimissionario) e poi, a febbraio 2023, da quello di Meloni. Nei primi decreti, tutti secretati, secondo le indiscrezioni emerse sono stati inviati - oltre a contributi economici - dispositivi di protezione come elmetti e giubbotti, munizioni di diverso calibro, sistemi anticarro (Panzerfaust) e antiaereo (Stinger), mortai, lanciarazzi (Milan), mitragliatrici leggere e pesanti (MG 42/59), mezzi Lince, artiglieria trainata (Fh70) e semoventi (Pzh2000). Escludendo questi ultimi tre elementi, la maggior parte delle forniture inviate non erano più utilizzate dall’esercito italiano.
L’ultimo pacchetto (l’ottavo) di invio di materiali ed equipaggiamenti militari all’Ucraina è stato pubblicato sulla G.U. del 29 dicembre 2023 (D.M. 19 dicembre 2023). Invio arrivato sette mesi dopo il cd. “Settimo pacchetto” di aiuti militari pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 31 maggio 2023. Alcune indicazioni relative al settimo pacchetto sono state fornite dall’esecutivo a fine maggio. In quell’occasione l’elenco degli armamenti è stato illustrato dal ministro della Difesa, Guido Crosetto, nel corso di un’audizione al Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica. Come nei pacchetti precedenti, anche in quella circostanza il contenuto del nuovo decreto Ucraina è stato “secretato” e successivamente pubblicato in Gazzetta ufficiale. Quello di fine maggio è stato il secondo provvedimento firmato dal governo Meloni: il primo risaliva a 4 mesi prima. Stando alle indiscrezioni circolate in quei giorni, in quell’occasione sono stati inviati equipaggiamenti per la protezione dal rischio Nbcr: tute, maschere protettive, kit per rendere potabile l’acqua, oltre che le munizioni. Sempre in quei giorni si parlò dell’invio, come già avvenuto in precedenza, di ulteriori veicoli, obici, lanciamissili, mitragliatrici e armi leggere.
(Il Sole 24 Ore dà le notizie al link: https://www.ilsole24ore.com/art/via-libera-definitivo-camera-proroga-decreto-armi-all-ucraina-ecco-aiuti-dell-italia-AFy2pqdC?refresh_ce)
Al solito, a protestare in piazza si sono ritrovati i soli Disarmisti esigenti & partners (WILPF Italia, Per la scuola della Repubblica): “per segnalare all'opinione pubblica la distanza tra il Palazzo e il sentimento maggioritario di contrarietà del popolo italiano al riarmo del nostro Paese e al coinvolgimento nella guerra in Ucraina".
Nel presidio, e con una lettera ai deputati, abbiamo denunciato una violazione della Costituzione commessa con il decreto contestato. Il Parlamento, con questo decreto, viene scavalcato attraverso due modalità: 1) i pacchetti di armi spedite attraverso semplici atti amministrativi, i dpcm; 2) la segretezza dei materiali spediti, portati a conoscenza solo del COPASIR.
Abbiamo indirizzato una lettera ai deputati proponendo loro di bocciare in aula il decreto 200/2023.
“Attraverso questa decisione può avere slancio e possibilità la soluzione politica e non militare della guerra: si potrebbero avviare processi e percorsi di costruzione di condizioni di sicurezza e democrazia per l’Europa intera.
E segnaliamo anche ai deputati che, in caso il decreto passasse, ci sarebbero possibilità di sollevare l'eccezione di incostituzionalità per violazione dei poteri del Parlamento, sia direttamente contro la norma, sia appoggiando un ricorso al TAR del Lazio che la Lega obiettori di coscienza, soggetto associativo statutariamente interessato alla pace, sta predisponendo contro il prossimo dpcm da esso abilitato.
Le istituzioni italiane ed europee possono scegliere la via del disarmo e della pace ed è questo che vi chiediamo, con preoccupazione e determinazione, di fare: oggi, innanzitutto; e con eventuali scelte concrete che possano ribaltare gli errori di oggi”.
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LIMES N. 1/2024 - STIAMO PERDENDO LA GUERRA
Medio Oriente e Ucraina in fiamme
Nella Guerra Grande che si allarga l’Italia non conta ma paga il conto
Editoriale di Lucio Caracciolo: Cronache dal Lago Vittoria
(...) Quest’anno capiremo se il conflitto ucraino verrà sedato o deraglierà. Difficile possa procedere linearmente a lungo. La guerra d’attrito che Russia e Occidente hanno parallelamente imposto all’Ucraina per opposti ma convergenti motivi sta esaurendo le risorse umane e materiali del paese aggredito. Mentre è aperta la caccia ai suoi residui tesori.
Per Putin, umiliato dalla Caporetto del fallito assalto a Kiev, la drastica ma provvisoria riduzione delle ambizioni – scopo dell’operazione resta ristabilire l’Ucraina cuscinetto se non frontiera occidentale dell’impero – impone pazienza. Il Cremlino ha scommesso sulla progressiva distrazione dell’Occidente (fatto), sulla tenuta del complesso militar-industriale russo (altro fatto) e sul patriottismo esaltato nella propaganda che vuole la Santa Russia antemurale dei valori tradizionali contro l’Occidente wokista (funziona ma non troppo). Quanto può reggere questo schema?
Per Biden e per gli apparati che oggi in suo nome cercano di evitare che l’America sbandi e domani si dedicheranno a sabotare l’eventuale ritorno di Trump alla Casa Bianca, si tratta di s!ancare la Russia (fallito, per ora) tenendo in piedi la resistenza ucraina a costo di dissanguarla (fatto) e con essa la facciata dell’unità atlantica (nessuna vernice può simularla).
Gli strateghi di Washington si dividono fra chi vorrebbe negoziare con i russi una lunga tregua sporca, sul modello coreano – possibilmente prima che salti l’originale – e chi è disposto a sacrificare l’ultimo ucraino per tenere la Russia sotto pressione, nella speranza che il regime imploda. Il principio condiviso da quasi tutti è che in ogni caso non si deve fare la guerra alla Russia. Per quello ci sono gli ucraini.
Siamo alla guerra per doppia procura, russa e americana. Putin ordina di martellare gli ucraini perché America intenda il messaggio subliminale che l’intelligence moscovita sussurra: «Ma davvero volete che la Cina confini con la Nato?» . Gli americani cercano a qualsiasi costo (ucraino) di evitare il collasso di Kiev. Fino a rischiare la desertificazione del paese di cui si ergono protettori ma che a guerra finita subappalteranno agli europei perché coprano i costi della ricostruzione. E a mettere nel conto la sostituzione di Zelens’kyj con il generale Zalužnyj, popolare capo delle Forze armate quindi suo potenziale successore, o con chiunque altro sottoscriva la mascherata coreana.
Al festival dei doppi anzi multipli giochi concorrono gli europei, che fingono di aprire a Kiev le porte dell’Ue mentre prendono tempo sugli aiuti finanziari e militari, anche per obiettiva carenza di risorse. A Bruxelles hanno calcolato in 186 miliardi gli aiuti che Kiev riceverebbe in sette anni dalle casse comunitarie in caso di accessione. Salirebbero a 256,8 in caso di allargamento anche a Moldova, Georgia e ai sei Stati dei Balcani occidentali in coda davanti alla cassa dell’Unione Europea.
Per noi italiani ogni giorno che passa aggrava il dilemma: come impedire che l’aggressione russa sia premiata senza che per raggiungere questo scopo si distrugga totalmente l’Ucraina e si destabilizzi l’Europa? Se la guerra d’attrito perdurasse, avremmo a che fare con un enorme buco nero al confine con la cortina d’acciaio antirussa, vigilata dalle avanguardie atlantiche del Nord-Est. Oltre Trieste e le coste adriatiche dovremmo convivere con la frastagliatissima costellazione dei Grandi Balcani, incluso ciò che dell’Ucraina resterà, a cominciare dalla quantità di armi inviate a Kiev e poi disperse, di cui anche gli americani hanno perso traccia.
(…) Il 7 ottobre non deriva dal 24 febbraio, ma fa rima. Conferma che l’introversione americana sollecita le sfide all’Occidente diviso e gli opportunismi di chi profitta del caos per allargarsi. È il caso dell’Iran. La dimensione strategica del pogrom di Hamas dentro lo Stato ebraico infiamma la sfida Iran-Stati Uniti-Israele. La partita si gioca nel Grande Medio Oriente.
Si estende dall’intersezione fra Mar Nero, Caspio e Caucaso, crocevia imperiali russo, turco e persiano, verso est fino a Pakistan e Afghanistan, verso ovest fino al Medioceano orientale esteso al Mar Rosso, all’Arabico e al Golfo Persico, via stretti di Suez, Båb al-Mandab e Hormuz. L’occhio italiano attento ai propri destini vi vedrà minacciati gli interessi A (Medioceano libero e aperto), B (evitare la collisione con Caoslandia) e D (stabilizzazione dell’estero vicino). Confermandosi nell’urgenza di C (Euroquad), nucleo occidental-medioceanico, minimo comune denominatore per farsi valere nella mischia in dilatazione incontrollata.
Il futuro dell’area – discettare di regione significa non coglierne l’entropia –dipende dagli esiti dello scontro fra la coppia Stati Uniti-Israele e l’Iran, che si appoggia a clienti scelti.
Obiettivo americano e israeliano: contenere l’espansione dell’impero persiano e vietargli con ogni mezzo l’accesso alla Bomba.
Sogno iraniano: costringere gli Stati Uniti a ritirarsi sulla linea Egitto-Cipro e isolare Israele. Non distruggerlo: è nemico perfetto, utile a legittimare l’«asse della resistenza», architrave della propria sfera d’influenza fra Afghanistan occidentale e Levante, con clienti arabi sia sciiti che sunniti. Intanto la Turchia s’afferma peso determinante, pronta a gettarlo su questo o quel piatto della bilancia, mentre sauditi e petromonarchi del Golfo si adattano a ogni equilibrismo pur di non finire schiacciati da contendenti di superiore taglia.
La Russia gode della «distrazione» americana, che lascia l’Ucraina in condizioni disperate. La Cina, che a differenza dell’America dalla regione estrae risorse energetiche essenziali e vi sviluppa gli scali delle vie marittime della seta, si ostenta (dis)onesto sensale, allenamento di muscoli diplomatici in vista del possibile futuro egemonico.
In Medio Oriente Washington si trova quindi al classico bivio: accorciare i fronti, ritirandosi intanto da Iraq e Siria dove è facile bersaglio delle milizie pro Iran, a rischio di aggravare la crisi di Israele, facilitare la penetrazione della Russia e l’influenza della Cina. Oppure rientrarvi in stile agguerrito, ammettendo il fallimento del graduale disingaggio travestito con il paradosso della «guida da dietro», postulato dopo i disastri della «guerra al terrore» in Afghanistan e in Iraq. In tal caso la sovraestensione a stelle e strisce si svelerebbe mostruosa: guerra calda contro la Russia, tiepida virante al bollente contro l’Iran, fredda ma decisiva contro la Cina – per tacere della Corea del Nord. Impegni di intensità militare inversamente proporzionale alle vaghe priorità strategiche correnti a Washington. Mentre l’unica frontiera che interessa davvero il pubblico americano è quella del Rio Grande, su cui forse si deciderà la corsa alla Casa Bianca.
Non bastasse, l’asse con Israele è incrinato. In superficie, perché Biden considera Netanyahu nemico personale in casa propria: uno dei capi del Partito repubblicano, oltre che il più disastroso primo ministro nella storia dello Stato ebraico. In profondità, causa la divaricazione fra strategie e tattiche di una coppia in crisi di nervi. Washington s’illudeva di poter gestire il Medio Oriente da remoto, contando sull’intesa fra Israele – parente più che alleato – e Golfo a regia saudita – serpenti non parenti. L’attacco di Hamas a Israele e la reazione di Gerusalemme, sorda ai richiami dell’amministrazione americana – «non ripetete i nostri errori», ovvero niente «guerra al terrorismo» – hanno fatto saltare il banco. Risultato: più caos in Caoslandia. (…)
L’Italia conta molto poco in uno spazio che l’aveva vista influente fino al primoNovecento, poi anche durante la guerra fredda. Sarà il caso di riapprendere qualche lezione dimenticata dei nostri avi levantini, capaci di intrecciare oblique relazioni con i poteri locali, più o meno ottomani. Per esempio: economia e commercio non sono fini in sé ma mezzi necessari per acquistare peso geopolitico, che a sua volta apre nuovi mercati. Obiettivo strategico: contribuire a scongiurare lo scontro di civiltà tra Occidente e Oriente, del quale saremmo tra le prime vittime. (…)
Non sappiamo quanto Hamås, ovvero la sua ala militare, avesse calcolato le conseguenze dell’attacco ai kibbutzim e alle postazioni militari israeliane intorno alla Striscia. Ma la ferocia di quella strage totalmente inatttesa ha prodotto in Israele uno shock tale da farlo ricadere nella trappola di Gaza, da cui si era emancipato nel 2005 pensando di soffocare la questione palestinese sotto eterna naftalina. Irridendo gli avvertimenti americani e di parte dei vertici militari, Netanyahu ha scatenato la punizione collettiva dei gaziani, assimilati a Hamas, bollati «animali umani» dal ministro della Difesa Yoav Gallant 20. Anche un rivelatore dello sconcerto dei dirigenti israeliani, che non immaginavano i terroristi palestinesi tecnicamente capaci di simile operazione. Come spiega a Limes il generale israeliano Giora Eiland, la coalizione di destra e ultradestra al governo ha inferto a Israele un grave danno d’immagine e di credibilità lanciandosi nella durissima rappresaglia dentro Gaza invece di limitarsi al controllo del corridoio Philadelphi e a isolare la Striscia per costringere il nemico alla resa.
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https://www.repubblica.it/esteri/2024/02/18/news/houthi_mar_rosso_usa_iran_conseguenze_italia-422140940/?ref=RHLF-BG-P15-S1-T1
La REPUBBLICA 18 febbraio 2024
di Carlo Bonini (coordinamento editoriale), di Lucio Caracciolo. Mappe di Laura Canali. Coordinamento multimediale Laura Pertici. Produzione Gedi Visual
Sono passati quasi sei milioni di anni da quando per cause naturali il Mar Mediterraneo virò in lago salato, con vaste zone aride e conche asciutte ben sotto il livello degli oceani. Alcuni geologi pronosticano che in un futuro altrettanto lontano un nuovo disseccamento riporti il nostro bacino al sinistro aspetto di allora. Temiamo di non poterne essere testimoni. Siamo invece abbastanza convinti che a fattori geofisici costanti il Mediterraneo rischi di scadere a laguna geopolitica per la carente prospettiva e manutenzione strategica di chi vi si affaccia. Questa meravigliosa placenta non è per sempre.
L’Italia è quasi isola esposta per ottomila chilometri al mare da cui importiamo le materie prime che non abbiamo e con cui esportiamo le merci che sostengono la nostra economia. La Penisola prospera finché il Mediterraneo è libero e aperto, soffoca se scolora in campo di competizione o peggio di battaglia fra potenze avverse. In questo tempo di Guerra Grande diffusa fra Europa, Africa e Asia, continenti tutti afferenti al Mediterraneo, la seconda ipotesi è vicina a compiersi, pur se noi stoicamente ci sforziamo di non vederla. Per una ragione generale e una specifica. La prima: veniamo da tre beate generazioni di pace, sicché l’orizzonte bellico è rimosso dal sentire comune. La seconda: il mare bagna l’Italia ma noi non siamo una nazione marittima. Il vessillo che segnala il rapporto dell’italiano con le onde non è il tricolore ma la bandiera blu che premia la balneazione sostenibile o la rossa issata dai bagnini quando il mare è agitato.
I popoli marittimi navigano il mare e curano di poterlo fare liberamente, se necessario con la forza. Noi ci tuffiamo nelle acque domestiche preoccupati che siano pulite e tranquille. Fra navigatori e spiaggiaioli c’è letteralmente un abisso. Quello che passa fra chi usa le onde e chi le subisce. Fra chi è consapevole che il “bagnasciuga” di mussoliniana memoria ci connette all’Oceano Mondo e chi ferma lo sguardo alla prima boa.
Poi accade che gli Huti, fino a ieri semisconosciuta ma armatissima fazione dell’Arabia meridionale più o meno legata all’Iran, ostacolino a suon di missili la navigazione nel Mar Rosso. Con il pretesto di difendere i palestinesi massacrati da Israele a Gaza, dalla costa occidentale dello Yemen – l’Arabia Felix dei nostri avi - costoro colpiscono selettivamente i navigli che via stretto di Bab al-Mandab puntano verso Suez. Sotto schiaffo, almeno teorico, anche portacontainer e petroliere italiane, con effetti per ora contenuti ma potenzialmente enormi: dal Mar Rosso passano i due terzi delle nostre importazioni e un terzo delle esportazioni, per circa 150 miliardi di euro l’anno.
Allarme mediatico generale. Ci si chiude lo sbocco all’oceano, si torna al periplo dell’Africa via Capo di Buona Speranza: otto giorni di navigazione in più per chi va e viene fra Italia ed Estremo Oriente. Segue riflesso delle cannoniere: britannici e americani promuovono una selezione di occidentali, tra cui noi, pensando di regolare la partita inviando qualche nave a impaurire gli Huti, non impressionati.
Riscopriamo così quel che una volta si imparava dalle carte geografiche appese alle scrostate pareti delle classi elementari: siamo quasi isola nel quasi lago che è il Mediterraneo. Privi di accesso diretto all’Oceano Mondo. Le chiavi del fu mare nostrum sono in mani altrui. Alcune benevole, altre avverse, tutte abituate a trattarci da non soggetto. Capita se non ti occupi di custodire la condizione della tua sicurezza e del tuo benessere, insomma della tua vita: la libertà di trascorrere da e verso quegli immensi nastri trasportatori dell’economia mondiale che sono le rotte oceaniche. Da cui transita il 95% delle merci e il 98% del traffico Internet.
Se poi ristudiassimo con la geografia anche la storia, scopriremmo come già l’antica Roma, conquistato l’Egitto e stabilito uno scalo ad Arsinoe (o Cleopatra), presso l’odierna Suez, vi facesse base per i commerci di spezie e seta con l’India. E per completare il controllo di entrambe le sponde del Mar Rosso nel 25 avanti Cristo Augusto ordinò al prefetto d’Egitto Gaio Elio Gallo di conquistare l’area attorno all’odierna Aden, con esiti molto provvisori. Ma il concetto del Medioceano, cifra dell’estroflessione della Penisola, era fissato ante litteram alle origini dell’impero.
ss
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Roma 7 febbraio 2024 - Signor Presidente della Camera, Lorenzo Fontana
Elette ed eletti alla camera dei deputati
stiamo manifestando stamattina, 7 febbraio, per segnalare all'opinione pubblica la distanza tra il Palazzo e il sentimento maggioritario di contrarietà del popolo italiano al riarmo del nostro Paese e al coinvolgimento nella guerra in Ucraina".
Protestiamo mentre si perfeziona nell’Istituzione da Lei presieduta una scelta che riteniamo un crimine contro la Costituzione italiana: la definitiva conversione in legge, alla vostra Camera dei deputati, dopo il voto del Senato del 24 gennaio 2024, del "decreto ombrello" (n. 200/2023) che consente di inviare aiuti militari al governo ucraino.
Un governo, secondo l’ONU, aggredito, ma immerso completamente in una “resistenza” esercitata nella modalità della guerra ad alta intensità contro la Russia, e difatti il decreto è incentrato sulla deroga alla legge 185/1990 che vieta di fornire armi, appunto, ai Paesi in guerra.
Il Parlamento, con questo decreto, viene scavalcato attraverso due modalità: 1) i pacchetti di armi spedite attraverso semplici atti amministrativi, i dpcm; 2) la segretezza dei materiali spediti, portati a conoscenza solo del COPASIR.
Ci permettiamo di insistere sull'importanza e la gravità del momento: siamo al secondo anniversario della guerra in oggetto, con centinaia di migliaia di morti militari, milioni i profughi in fuga ed un terzo del paese devastato, sul tipo delle scene che vediamo in TV sulla striscia di Gaza. Proseguire significherebbe solo perseguire una “vittoria” che farebbe il deserto del “vincitore”, distruggendo il bene che pretenderebbe di difendere. Senza contare le disastrose conseguenze economiche globali ed i pericoli di guerra nucleare, ma anche solo di incidente nucleare, collegati allo scontro in atto!
Consistenti parti della maggioranza politica cui Lei appartiene ritengono ormai il conflitto armato in corso “una inutile strage”. Quando ciò accade - cioé mentre le nostre istituzioni che, secondo l’art. 11 della Costituzione, dovrebbero ripudiare la guerra, decidono in modo formale di continuare ad alimentare il fuoco di un conflitto armato nella forma bellica più evidente, vi è con evidenza una assoluta necessità, un dovere della protesta.
Contestiamo un decreto che, oltre al principio pacifista, potrebbe essere fonte di distorsione anche del diritto all’informazione, sancito dall’articolo 21, vale a dire un servizio pubblico che i giornalisti, sarebbero costituzionalmente obbligati a provvedere alla cittadinanza italiana.
Il motivo? A differenza di altri Paesi occidentali, USA in testa, in Italia, queste disposizioni del decreto che secretano le informazioni (il governo appunto riferisce solo al COPASIR), non mettono in condizioni la stampa di dare notizie precise e ufficiali, su che tipo di armi forniamo all’Ucraina e su quanto ci vengono a costare per decisione pubblica del governo in carica.
Appare subito non cosa da poco, se si comprende che bisogna stare attenti a cosa si dà, come aiuti militari, anche per evitare il rischio di escalation che è legato, ad esempio, al tipo di armi che si cedono. Ci si è sempre preoccupati, da parte degli USA, quando forniscono supporto militare all’Ucraina, di non superare certi limiti riguardo al potenziale per un’escalation del conflitto con la Russia. Le armi fornite devono rispettare una gittata che consenta solo la difesa, non gli attacchi in territorio russo. Questa è una situazione in continua evoluzione e le dinamiche possono cambiare rapidamente. La stampa USA è molto vigile e concentrata in proposito.
In modo analogo a quello che sta succedendo con il cosiddetto “decreto bavaglio”, dovremmo – tutti quelli interessati ad una informazione corretta e democraticamente utile, in primo luogo, appunto, i professionisti del settore –protestare, e chiedere al Presidente della Repubblica di non firmare il decreto convertito dal voto parlamentare. Perché non dovremmo godere della stessa trasparenza di cui usufruiscono i cittadini americani, che sono informati sino al dettaglio minuzioso dei materiali militari che il loro governo fornisce a quello ucraino?
Articolo 11 e Articolo 21 violati, dunque. Vi è un obbligo di obiezione di coscienza, tanto più che si sta calpestando la volontà maggioritaria del popolo italiano., attestata da tutti i sondaggi.
Bisognerebbe che ogni soggetto declinasse a suo modo la posizione comune: non in mio nome, non in nome del popolo italiano, non in nome della Costituzione!
E si può capire l’amarezza sottostante il gesto che accompagniamo alla presente missiva. Non siamo mossi dalla volontà di vilipendere le istituzioni quando accludiamo in busta 30 euro: con questa iniziativa provocatoria intendiamo sottolineare il nostro sconcerto di cittadine e cittadine che intendono conservare un profondo rispetto per esse.
Ci sembra che manchi agli atti il prezzo che simbolicamente dovreste riscuotere, a suggello dell'offesa commessa, per il tradimento della costituzione nell'articolo 11. Al tempo stesso ringraziamo tutti quei deputati che non si sono prestati alla violazione del diritto anche in ossequio alla volontà attualmente maggioritaria dell'opinione pubblica che incarna il popolo italiano.
Noi vi proponiamo di bocciare in aula con il voto il decreto 200/2023 che reitera la possibilità introdotta dal governo Draghi di inviare armi all’Ucraina.
Attraverso questa decisione può avere slancio e possibilità la soluzione politica e non militare della guerra: si potrebbero avviare processi e percorsi di costruzione di condizioni di sicurezza e democrazia per l’Europa intera.
E segnaliamo anche ai deputati che, in caso il decreto passasse, ci sarebbero possibilità di sollevare la eccezione di incostituzionalità per violazione dei poteri del Parlamento, sia direttamente contro la norma, sia appoggiando un ricorso al TAR del Lazio che la Lega obiettori di coscienza, soggetto associativo statutariamente interessato alla pace, sta predisponendo contro il prossimo dpcm da esso abilitato.
Le istituzioni italiane ed europee possono scegliere la via del disarmo e della pace ed è questo che, con preoccupazione e determinazione, vi chiediamo di fare: oggi, innanzitutto; e con eventuali scelte concrete che possano ribaltare gli errori di oggi.
Un coinvolgimento bellico rischiosissimo, che si aggiunge al confronto diretto che la NATO dice di voler preparare con la Russia (e per il quale esige che spendiamo almeno il 2% del PIL in spese militari) è quello della missione Aspides nel Mar Rosso, di cui l'Italia, per fresca richiesta UE, dovrà fornire l'Ammiraglio che la guiderà.
Il piano, ufficialmente predisposto per garantire la sicurezza delle rotte commerciali transitanti da Suez (40% del nostro export), sarà approvato il 19 febbraio dai Ministri degli Esteri della UE.
La Marina Militare sta imprudentemente addentrandosi in un contesto in cui gli Houthi sciiti, aizzati dal regime iraniano, lanciano missili contro le navi di Israele (e dei suoi alleati) mentre Stati Uniti ed UK rispondono con attacchi aerei in Yemen (e in Siria ed Iraq!).
Anche su questo nuovo fronte aperto dalla corsa verso derive belliche sempre più critiche abbiamo comunque da organizzare risposte determinate e tempestive, da pacifisti coerenti che si oppongono a percorsi militari per la soluzione dei conflitti. Ci sembra il minimo che il Parlamento voti la non adesione ad Aspides prima del 19 febbraio, prendendo atto che il supporto alla missione Prosperity Guardian rende del tutto impossibile la pretesa di una natura difensiva dell’operazione.
Alfonso Navarra, Ennio Cabiddu, Cosimo Forleo – Antonella Nappi
Disarmisti esigenti (www.disarmistiesigenti.org) – cell. 340/0736871
Altri firmatari
Maurizio Acerbo – Giovanni Russo Spena – Partito della Rifondazione Comunista
Patrizia Sterpetti – WILPF Italia
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Facciamo l’ipotesi che il Pd, alla testa di un’opposizione unita (qui già l’ipotesi traballa) segni un punto in quella che evidentemente considera la partita politica più importante del momento, la conquista di uno spazio maggiore nella televisione pubblica. Bene, da queste casematte guadagnate – o più realisticamente difese – quali contenuti intende diffondere il Pd, tanto diversi da quelli che quotidianamente ci propone tele-Meloni?
Prendiamo tre questioni che a noi sembrano le più urgenti, tutte e tre hanno a che fare con le guerre.
Ieri la camera dei deputati ha approvato la proroga per tutto il 2024 delle procedure eccezionali necessarie per continuare ad armare l’Ucraina.
Per un altro anno si mettono tra parentesi le leggi ordinarie che vietano di cedere armi agli stati in guerra e obbligano in ogni caso a informare sempre dettagliatamente e pubblicamente il parlamento sul materiale trasferito all’estero. Otto spedizioni segrete si sono già succedute e tra pochi giorni saranno due anni dall’invasione russa. I gruppi 5 Stelle e Sinistra/Verdi hanno votato contro ma il Pd ha votato a favore (con quattro eccezioni) dunque giudica che si possa continuare così. Quando ormai la possibilità che l’Ucraina armata dall’occidente sconfigga la Russia e la ricacci indietro è esclusa da chiunque: cancellerie estere, governo italiano (più facilmente off the record ma non solo) e persino militari di Kiev. Stati uniti e alleati sanno benissimo e dichiarano ormai apertamente che solo il flusso continuo di armi e denaro dall’estero tiene in piedi la guerra di trincea, capace di moltiplicare le morti ma non di risolvere il conflitto. Eppure invece di usare questo dato di fatto in una trattativa con la Russia per impegnarla in un negoziato che preveda, inevitabilmente, concessioni da entrambe le parti, preferiscono tenere in piedi la finzione di una possibile vittoria. Lo sforzo bellico deve continuare, quello diplomatico neanche iniziare.
Votando ancora una volta a favore delle procedure eccezionali per armare l’Ucraina, il Pd contraddice quello che proprio Schlein aveva detto qualche settimana fa: «Bisogna evitare l’esportazione di armi verso i conflitti». E aveva aggiunto: «In particolare verso Israele, non si può rischiare che le armi vengano utilizzate per commettere crimini di guerra». Immediatamente erano arrivati i distinguo dal suo partito, tanto che la segretaria aveva dovuto giurare «supporto all’Ucraina senza ambiguità». Senza però domandarsi, non ancora, se il modo migliore per supportare gli ucraini sia effettivamente quello di tenerli incastrati in un conflitto che può solo moltiplicare i morti. Quanto all’importante dichiarazione su Gaza, le più forti smentite sono venute dall’interno del Pd, così come le prese in giro sul fatto che in questo momento le forniture di armi italiane a Tel Aviv sono bloccate (proprio nel rispetto di quella legge che per l’Ucraina viene scavalcata). Ma il passaggio più importante era un altro, e cioè la denuncia da parte di Schlein, per quanto prudente, che a Gaza Israele sta compiendo crimini di guerra.
Peccato che i comportamenti del partito non siano all’altezza di quella denuncia, anche quando chiede il cessate il fuoco. Perché la dimensione del massacro in atto è tale («plausibile genocidio» per la corte internazionale dell’Aja) che richiede di mettere la denuncia dell’azione di Israele al primo posto dell’intervento politico – più dell’occupazione della Rai, per capirci. Il governo italiano con la sua inerzia o peggio, per esempio quando si è astenuto sulla tregua nell’assemblea Onu o quando è corso a definanziare l’agenzia che si occupa dell’assistenza ai palestinesi, offre continui argomenti per impugnare con decisione la battaglia per la salvezza della Palestina, anche nelle piazze, ma il Pd non li coglie. Non vedendo, tra l’altro, che il moto di indignazione mondiale verso l’azione di Netanyahu non fa sconti elettorali a una sinistra che non sa distinguersi dalla destra.
Infine cos’ha da dire il Pd su quello che a noi sembra lo scandalo più grave in corso sul territorio nazionale, quello dei Centri di permanenza per il rimpatrio, territori fuori dal controllo e dalle leggi, fabbriche di suicidi appaltate ai privati dove finiscono i più sfortunati tra i migranti che arrivano in Italia fuggendo da guerre e sconvolgimenti climatici? Perché la sua voce che pure in materia potrebbe alzarsi più forte di quella dei 5 Stelle – che su migranti e sicurezza hanno pensanti ambiguità – non si sente o resta flebile? Perché non ne chiede la chiusura immediata – di tutti non solo di ponte Galeria? Perché non chiama in parlamento a riferire ministri e poliziotti? Probabilmente perché ha addosso il peso delle responsabilità di chi ha introdotto la detenzione amministrativa per i migranti, quasi trent’anni fa, o perché l’idea di aprire un Cpr in ogni regione era stata sua in origine: Piantedosi oggi copia Minniti allora.
Il Pd è capace di fare autocritica sulla lottizzazione della Rai, adesso. Provi a farla anche sulle politiche dell’immigrazione. Ed eviti di doverla fare presto sulla guerra.
LA RETROVIA. Il provvedimento licenziato in un’aula di Montecitorio vuota. Fratoianni: «Che disperazione, la guerra è normalizzata»
In un’aula vuota («fa venire la disperazione» dice Nicola Fratoianni, che legge l’assenza dei deputati come «una normalizzazione della guerra»), Montecitorio ha approvato ieri il decreto Ucraina che prevede l’invio anche per il 2024 dell’ennesimo pacchetto di aiuti al Paese invaso quasi due anni fa dalla Russia. Su 260 deputati presenti hanno votato a favore in 218, 48 i contrari e nessun astenuto. Con la maggioranza si sono espressi anche Pd, +Europa, Iv e Azione, mentre tra le opposizioni sono rimaste M5S e Avs a contrastare il provvedimento. Ma il voto ha segnato anche l’ennesima divisione in seno al partito guidato da Elly Schlein: nonostante le indicazioni date nel suo intervento dalla vicepresidente dem della Camera Anna Ascani, quattro deputati -Laura Boldrini, Antonio Scotto, Nico Stumpo e Paolo Ciani – non hanno partecipato al voto. Scelta però non traumatica, visto che era stata abbondantemente annunciata nei giorni scorsi, ma che ha comunque permesso alla deputata di Iv Isabella Del Monte di parlare di un Pd che «barcolla sia alla Camera sull’Ucraina che al Senato sull’abuso d’ufficio. Il rapporto con il M5S lo spaccherà sempre di più».
La premier Giorgia Meloni conferma quindi ancora una volta di voler seguire la strada tracciata da Mario Draghi fin dai primi giorni dell’invasione ordinata da Putin. E questo nonostante i malumori per il sostegno dato a Kiev non manchino anche nella maggioranza, come dimostra l’ordine del giorno presentato e poi ritirato dalla Lega il 24 gennaio scorso, quando a votare il decreto è stato il Senato, e in cui di fatto si chiedeva lo stop dell’invio delle armi all’Ucraina.
Con il voto di ieri è stato dato il via libera – come spiega il decreto – alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari Sarà adesso un decreto del ministero della Difesa a stabile quali e quanti mezzi verranno assegnati, anche se l’elenco «elaborato dalla Stato maggiore della Difesa» resterà come sempre secretato. Contributi economici a parte, per quanto riguarda il passato l’Italia, stando a quanto trapelato, ha inviato elmetti, giubbotti, sistemi anticarro e antiaereo, mitragliatrici, munizioni, mezzi blindati Lince e artiglieri. Più di recente, invece, sono stati forniti equipaggiamenti per la protezione del rischio Nbcr come tute, maschere protettive e kit per rendere potabile l’acqua.
Intervenendo in aula a nome del Pd, Ascani aveva sottolineato l’assenza di iniziativa diplomatica da parte del governo: «Chiediamo a questo esecutivo di adoperarsi in ogni sede internazionale per una Pace giusta, che si faccia carico delle ragioni dell’aggredito», aveva spiegato. «Lo chiediamo da tempo a questo governo, che non fa corrispondere ad una narrazione baldanzosa sul proprio ruolo nei consessi internazionali altrettanta capacità di iniziativa e orientamento. Tace, piuttosto. E questa assenza, questo vuoto, pesano».
Parlando per il M5S il capogruppo in Commissione Difesa Marco Pellegrini è tornato invece a chiedere di non continuare a inviare armi all’Ucraina. «Chi critica la nostra posizione – ha proseguito – ignora di proposito l’altra gamba su cui si regge la nostra proposta, ossia la richiesta di un cessate il fuoco immediato, di una tregua delle ostilità che impegni anche i russi e gli ucraini, che quindi no avrebbero più bisogno di difendersi. Se le armi tacciono, non occorre inviarne ancora».
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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 1666: Conversione in legge del decreto-legge 21 dicembre 2023, n. 200, recante disposizioni urgenti per la proroga dell'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell'Ucraina.
(Discussione sulle linee generali - A.C. 1666)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista ne ha chiesto l'ampliamento.
Le Commissioni III (Affari esteri) e IV (Difesa) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire il relatore per la Commissione Affari esteri, onorevole Giangiacomo Calovini.
GIANGIACOMO CALOVINI , Relatore per la III Commissione. Presidente, colleghe e colleghi, rappresentanti del Governo, nella mia esposizione mi limiterò ad illustrare il contesto multilaterale, a livello di Unione europea e di NATO, nel quale si inserisce il sostegno militare italiano in favore dell'Ucraina, lasciando poi al collega della IV Commissione il compito di illustrare le norme del provvedimento in esame. Quanto al contesto europeo, ricordo che nella riunione del 1° febbraio scorso il Consiglio ha ribadito il risoluto impegno dell'Unione europea di continuare a fornire all'Ucraina e alla sua popolazione un forte sostegno politico, un forte sostegno finanziario, economico, umanitario, militare e diplomatico per tutto il tempo necessario.
In particolare, ha confermato l'importanza di un sostegno militare tempestivo, prevedibile e sostenibile attraverso lo Strumento europeo per la pace e la missione di assistenza militare dell'Unione europea, ma anche attraverso l'assistenza bilaterale diretta degli Stati membri. Ha inoltre poi sottolineato l'urgente necessità di accelerare la fornitura di missili e munizioni, invitando gli Stati membri ad accelerare gli sforzi in tal senso.
A conferma del significativo impegno sotto il profilo del supporto militare, segnalo che tra il 2022 e il 2023 l'Unione ha mobilitato 5,6 miliardi di euro a titolo dello Strumento europeo per la pace con l'obiettivo di rafforzare le capacità e la resilienza delle Forze armate ucraine e proteggere la popolazione civile dall'aggressione militare in corso. Le misure di assistenza concordate finanziano l'invio di attrezzature e forniture come dispositivi di protezione individuale, kit di pronto soccorso e carburante, nonché attrezzature e piattaforme militari concepite per l'uso letale della forza a fini difensivi.
Tenuto conto del sostegno militare fornito dai singoli Stati membri dell'Unione europea, si stima che il sostegno militare globale dell'Unione all'Ucraina ammonti ad oltre 25 miliardi di euro. Ricordo poi che, in occasione del Consiglio Affari esteri dell'Unione europea del 22 gennaio scorso, l'Alto rappresentante per la politica estera Borrell ha espresso l'auspicio che l'Unione europea riesca a raggiungere un accordo su un'integrazione di 5 miliardi di euro al citato Strumento europeo per la pace e sull'istituzione di un Fondo di assistenza per l'Ucraina, in modo da poter far fronte alle esigenze più pressanti di Kiev.
In base alle conclusioni del citato Consiglio del 1° febbraio, l'accordo su tale Fondo dovrebbe essere raggiunto entro il prossimo mese di marzo. Sempre in ambito UE, da novembre 2022 è altresì operativa la missione di assistenza militare EUMAM-Ucraina, con l'obiettivo di promuovere la formazione di 40.000 soldati ucraini in diversi ambiti, tra cui assistenza medica, sminamento, logistica e comunicazione, manutenzione e riparazione degli equipaggiamenti militari, preparazione alla guerra chimica, batteriologica e anche nucleare.
La missione garantisce il coordinamento con le attività bilaterali degli Stati membri a sostegno dell'Ucraina, nonché con altri partner internazionali che condividono gli stessi principi, ed è aperta alla partecipazione di Paesi terzi. Per quanto concerne l'ambito NATO, nella dichiarazione adottata in esito all'ultimo summit dei Capi di Stato e di Governo dell'Alleanza, svoltosi a Vilnius l'11 e il 12 luglio dell'anno scorso, è stato ribadito l'impegno assunto al Vertice di Bucarest del 2008 secondo cui l'Ucraina diventerà membro della NATO e si è riconosciuto che l'Ucraina è diventata sempre più interoperabile e politicamente integrata con l'Alleanza, realizzando progressi sostanziali nel suo percorso di riforme.
In esito al Vertice, è stato, altresì, concordato un pacchetto di sostegno politico e pratico ampliato, che prevede anche l'istituzione del Consiglio NATO-Ucraina, un nuovo organismo congiunto in cui gli Alleati e Kiev siedono come membri paritari per promuovere il dialogo politico, l'impegno, la cooperazione e le aspirazioni euro-atlantiche dell'Ucraina. A margine del summit, Paesi del G7, compreso anche il Giappone, hanno sottoscritto una dichiarazione congiunta in cui, tra le altre cose, si annuncia un avvio di negoziati con l'Ucraina per formalizzare, attraverso impegni bilaterali, in conformità con i rispettivi princìpi costituzionali, il sostegno duraturo all'Ucraina sia nella fase bellica che in quella della ricostruzione, favorendo il suo processo di integrazione nella comunità euro-atlantica.
Si afferma poi l'impegno di ciascun Paese a definire con l'Ucraina accordi di sicurezza specifici, bilaterali e a lungo termine per garantire capacità di difesa dall'aggressione attuale e scoraggiare eventuali aggressioni future. Si sottolinea che il sostegno dei Paesi del G7 prevede la fornitura continua di assistenza alla sicurezza e attrezzature militari, dando priorità alla difesa aerea, all'artiglieria, ai veicoli corazzati e al combattimento aereo, e promuovendo una maggiore interoperabilità con i partner euro-atlantici.
Si afferma, infine, l'impegno a collaborare con l'Ucraina per lo sviluppo della sua base industriale della difesa, a svolgere attività di addestramento, a condividere l'intelligence e a cooperare nella cyber difesa. In termini quantitativi, secondo i dati diffusi dalla NATO, dall'inizio dell'aggressione russa nel febbraio 2022 gli Alleati hanno stanziato circa 100 miliardi di euro in aiuti militari all'Ucraina, di cui circa la metà provenienti dagli Stati Uniti.
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore per la Commissione difesa, onorevole Pino Bicchielli.
PINO BICCHIELLI, Relatore per la IV Commissione. Presidente, onorevoli deputati, il decreto-legge 21 dicembre 2023, n. 200, approvato in prima lettura, senza modificazioni, dall'Aula del Senato nella seduta dello scorso 24 gennaio, reca la proroga dell'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell'Ucraina.
Il provvedimento, composto da un solo articolo, più l'entrata in vigore, è connesso con la necessità di ottemperare agli impegni assunti dall'Italia nell'ambito delle Nazioni Unite, dell'Unione europea e della NATO per affrontare, nella maniera più efficiente, la crisi in atto in Ucraina, dai cui sviluppi stanno derivando preoccupanti riflessi sulla sicurezza e sulla stabilità internazionale.
Dopo la seduta introduttiva, nella giornata di ieri, le Commissioni riunite III (Affari esteri) e IV (Difesa) hanno sviluppato un approfondito dibattito sugli emendamenti presentati e hanno confermato il testo originario già approvato dal Senato.
Entrando nel dettaglio delle disposizioni del decreto-legge, ricordo che la cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari alle autorità governative ucraine è stata autorizzata dall'articolo 2-bis del decreto-legge n. 14 del 2022, previo atto di indirizzo delle Camere in deroga alla legge 9 luglio 1990, n. 185, e agli articoli 310 e 311 del codice dell'ordinamento militare. Tale autorizzazione è stata poi prorogata fino al 31 dicembre 2023 con il decreto-legge n. 185 del 2022, convertito dalla legge n. 8 del 23 gennaio 2023.
Ricordo, inoltre, che il comma 2 del citato articolo 2-bis del decreto-legge n. 14 del 2022 ha poi previsto che l'elenco dei mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari oggetto della cessione, nonché le modalità di realizzazione della stessa, anche ai fini dello scarico contabile, sono definiti con uno o più decreti del Ministro della Difesa, adottati di concerto con i Ministri degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e dell'Economia e delle finanze.
L'elenco dei mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari di cui si autorizza la cessione è classificato e sui relativi decreti ministeriali il Ministro della difesa pro tempore è stato audito presso il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir).
Per quanto riguarda gli atti di indirizzo approvati dal Parlamento, ricordo che il 1° marzo 2022, a conclusione delle comunicazioni sugli sviluppi del conflitto tra Russia e Ucraina rese dal Presidente del Consiglio, il Senato e la Camera hanno approvato rispettivamente le risoluzioni n. 6-00208 e n. 6-00207, che, tra l'altro, hanno impegnato il Governo ad attivare, con le modalità più rapide e tempestive, tutte le azioni necessarie per assicurare assistenza umanitaria, finanziaria, economica e di qualsiasi altra natura, nonché, tenendo costantemente informato il Parlamento e in modo coordinato con gli altri Paesi europei alleati, la cessione di apparati e strumenti militari che consentano all'Ucraina di esercitare il diritto alla legittima difesa e di proteggere la sua popolazione. Tale orientamento poi è stato confermato e precisato nelle risoluzioni n. 6-00226, approvata dal Senato il 21 giugno 2022, e n. 6-00224, approvata dalla Camera il 22 giugno 2022, in occasione delle comunicazioni del Presidente del Consiglio in vista del Consiglio europeo del 24 e 25 giugno 2022.
Tali risoluzioni hanno impegnato il Governo a continuare a garantire, secondo quanto precisato dal decreto-legge n. 14 del 2022, il necessario e ampio coinvolgimento delle Camere con le modalità ivi previste in occasione dei più rilevanti summit internazionali riguardanti la guerra in Ucraina e le misure di sostegno alle istituzioni ucraine, ivi comprese le cessioni di forniture militari.
Successivamente, il 13 dicembre 2022, sia il Senato che la Camera, in seguito alle comunicazioni del Ministro della Difesa, ai sensi dell'articolo 1 del decreto-legge n. 185 del 202, hanno approvato al Senato le risoluzioni n. 6-00009, n. 6-00008 e n. 6-00011 e alla Camera le risoluzioni n. 6-00012, n. 6-00014 e n. 6-00016, che impegnano il Governo a proseguire il sostegno militare all'Ucraina. Da ultimo, l'impegno al sostegno militare è stato rinnovato dal Parlamento con diverse sfumature con le risoluzioni approvate in occasione delle comunicazioni del Presidente del Consiglio del 14 e 15 dicembre 2023, alla Camera con le risoluzioni del 12 dicembre n. 6-00073, n. 6-00072, n. 6-00074 e n. 6-00075, e al Senato con le risoluzioni del 13 dicembre n. 6-00057, n. 6-00058 e n. 6-00061.
Il decreto-legge oggi al nostro esame proroga, fino al 31 dicembre 2024, l'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell'Ucraina, prevista dall'articolo 2-bis del decreto-legge 25 febbraio 2022, n. 14. La relazione tecnica ad esso allegata sottolinea che dal provvedimento non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, tenuto conto che i materiali e i mezzi oggetto di cessione sono già nelle disponibilità del Ministero della Difesa, mentre eventuali oneri ad essi connessi saranno sostenuti nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente. Viene, inoltre, precisato che le cessioni di mezzi, materiali e armamenti avvengono a titolo non oneroso per la parte ricevente, cioè per il Governo ucraino, ma, al pari di quelle realizzate dagli altri Stati membri, sono parzialmente rimborsate dall'Unione europea attraverso i fondi dello Strumento europeo per la pace.
Per tali cessioni il Consiglio dell'Unione ha finora risposto lo stanziamento di 5,6 miliardi di euro.
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il Sottosegretario di Stato per la Difesa, Matteo Perego Di Cremnago.
MATTEO PEREGO DI CREMNAGO, Sottosegretario di Stato per la Difesa. Grazie, Presidente. Mentre intervengo - in particolare, questa mattina - c'è stata un'intensa attività di fuoco delle Forze armate russe verso l'Ucraina, verso la capitale, dove 4 persone hanno perso la vita e diverse infrastrutture energetiche sono state distrutte. Sono stati impiegati anche i bombardieri russi, con lancio anche di missili da alcuni assetti navali nel Mar Nero. Quindi, una situazione che vede l'offensiva russa tutt'altro che arrestarsi. Dall'altra parte le Forze armate ucraine, che hanno condotto un'operazione, una controffensiva che è terminata nel mese di dicembre e che non ha conseguito i risultati sperati, ha permesso, però, di contenere l'ulteriore avanzata russa, che ancora si assesta su una linea di attrito a Sud del fiume di Dnipro, avendo liberato la città di Cherson e intorno al Donbass. Questo è lo scenario militare con il quale ci misuriamo ormai da diverso tempo. A fianco di questo - quindi, a quello che è il piano militare - c'è il piano diplomatico. Diversi sono stati i tentativi e diversi sono ancora quelli in essere. In particolare, penso al summit sulla formula per la pace, proposto dal Presidente Zelensky attraverso 10 punti, che verrà probabilmente discusso in Svizzera il 23 e il 24 marzo, e ai precedenti incontri a Malta, con una partecipazione sempre più presente (a Davos erano presenti 80 Paesi). Allo stesso tempo, quindi, un'iniziativa diplomatica, in un certo senso, è stata avviata al fine di arrivare a un cessate il fuoco, così come c'è stato uno scambio di prigionieri fra i due Paesi, nonché l'iniziativa, soprattutto dell'Europa, di garantire l'adesione dell'Ucraina all'Unione europea, salvo il verificarsi di alcune riforme in essere, che è stata definita dal Consiglio d'Europa a novembre dello scorso anno, che è la migliore garanzia evidentemente di sicurezza per il Paese.
Ma queste due questioni, quella militare e quella diplomatica, si inseriscono anche nel quadro geopolitico. La Russia, ad esempio, impiega - e ha impiegato anche questa mattina, ma l'ha già fatto diverse volte in passato, in questi mesi - droni one-way attack e droni Shahed iraniani. Lo stesso Iran, attraverso i suoi proxy Ansar Allah, i partigiani di Dio o meglio chiamati Houthi, oggi sta attaccando i mercantili occidentali nel Mar Rosso, risparmiando per l'appunto quelli russi e quelli cinesi. Quindi, un contesto geopolitico estremamente complesso.
Per queste ragioni e coerentemente con la posizione che il nostro Governo ha assunto - così come il Governo precedente e, quindi, con un'ampissima maggioranza - dall'inizio del conflitto, noi chiediamo di poter continuare a sostenere militarmente, a fianco di un'iniziativa diplomatica, l'Ucraina. Lo crediamo perché personalmente riteniamo che non ci sia alcuna contraddizione a continuare a sostenere la difesa del popolo ucraino, un popolo che ha perso centinaia di migliaia di vite di cittadini innocenti per una guerra senza alcuna logica. Quindi, crediamo che sostenerlo significhi anche sostenere la possibilità di una soluzione diplomatica, nell'interesse prima di tutto del popolo ucraino, ma non soltanto del popolo ucraino. Qui mi preme sottolineare come sia difficilmente comprensibile il ragionamento per il quale siccome non si sono verificati gli esiti positivi di una controffensiva e siccome le Forze armate russe non sono state scacciate dal territorio ucraino sia venuto meno il senso di continuare a sostenere militarmente l'Ucraina, come alcune posizioni nell'opposizione vengono a rappresentare in questo Parlamento. Io credo che questo sia un grave errore per diverse ragioni. La prima è di natura prettamente militare, perché qualora oggi la comunità occidentale, la comunità dei donor, smettesse di sostenere l'Ucraina evidentemente quella che oggi è una posizione di difesa, che cerca di garantire quantomeno l'integrità della porzione non occupata il territorio, verrebbe decisamente delimitata e anzi ci sarebbe un'invasione russa - siccome sta premendo fortemente, ad esempio, nell'area del nord del Donbass - e quindi una probabile capitolazione dell'intero territorio. In secondo luogo, perché l'Ucraina si difende secondo un principio sancito dalle Nazioni Unite nel quale tutti, credo, ci riconosciamo, l'articolo 51, e non difende soltanto se stessa. Difende il diritto internazionale, difende i valori di democrazia e libertà, su cui è costruito questo stesso edificio, con il sacrificio di tanti italiani, con il sacrificio della Resistenza, che ci hanno portato a un Paese libero e democratico. Per cui, anche qui, non si capisce perché si dovrebbe non sostenere lo sforzo di un Paese fondato sui principi di uguaglianza, di libertà e di democrazia, così come il nostro, oggi difende non soltanto se stesso, ma anche quei principi e, ripeto, in un contesto in cui, da una parte, ci sono i regimi autoritari e, dall'altra, le democrazie e nelle democrazie come la nostra gli oppositori ai Presidenti della Repubblica non vengono spediti in Siberia o in carcere. Nei Paesi come il nostro le democrazie e i diritti sono tutelati e questo è l'esercizio e lo sforzo che sta facendo un Paese amico, l'Ucraina, un Paese che dal primo giorno ha visto una resistenza del proprio popolo, dapprima con i propri mezzi e poi con il nostro sostegno, che ha impedito, per chi è stato in Ucraina come il sottoscritto e come tanti dei parlamentari qui presenti oggi, basta vedere dove siano arrivati i carri armati russi, a pochi chilometri dal centro di Kiev, e quale mondo sarebbe stato e sarebbe se l'Ucraina capitolasse davanti all'affermazione del più forte, del potere delle armi, del potere della distruzione, del potere della guerra contro il diritto internazionale.
Ci si dice, a volte, che non ci sia abbastanza diplomazia, non si stia lavorando sui negoziati di pace per arrivare a una soluzione non soltanto militare del conflitto. Ebbene, questo ripeto è in contraddizione rispetto invece agli innumerevoli sforzi che sono stati fatti da questa parte che rappresentiamo noi, quella delle democrazie. Certo è che non c'è mai stato un minuto, un solo secondo, dall'inizio del conflitto, in cui le forze armate russe non abbiano continuamente bombardato il territorio ucraino, e non soltanto e soprattutto le strutture militari, ma le città. È accaduto a Leopoli, nell'estremo Occidente dell'Ucraina, ben lontano dal teatro di conflitto, accade quotidianamente su Kiev, accade su Kharkiv, accade su Kherson, accade su Dnipro. Quindi, non c'è mai stato un segnale reale da parte della Federazione Russa di un cessate il fuoco. L'unico segnale, oltre a quello delle armi, è stato quello di invocare dei referendum illegittimi per l'annessione dei territori occupati. Credo che questo sia il messaggio fondamentale. Noi continueremo a sforzarci, lo faremo come Presidenza del G7 ed è nelle priorità del nostro Governo, quello di favorire una soluzione diplomatica che sia la più giusta possibile. Però, ricordiamoci, da un lato, quale sia la posta in gioco e io faccio riferimento all'intervista di un autorevole esponente dell'opposizione che oggi diceva mi sembra un atteggiamento cinico di quelli che dicono non diamo più le armi all'Ucraina. Effettivamente, è un modo di abbandonarli, di abbandonare un Paese che ha visto più di 300.000 morti, che ha visto giovani perdere la vita, in nome di quei valori per cui i nostri predecessori, chi è venuto prima di noi, ha perso la vita allo stesso modo per difendere democrazia e libertà. Quindi, io credo che dovremmo essere tutti solidali, l'impatto per il nostro Paese è un impatto obiettivamente limitato nell'aver sostenuto militarmente l'Ucraina, stiamo parlando di qualche decina di euro a cittadino italiano, senza un impegno diretto delle nostre Forze armate. Quindi, quella che era all'inizio una sfida per la difesa della libertà, dell'integrità territoriale continua ad esserlo e continua a essere la missione di un Paese responsabile, autorevole, membro del G7, che fa la propria parte in nome di democrazia e libertà, che non sono solo bellissime parole, ma sono anche dei valori da coltivare, per arrivare alla pace, che è un traguardo e non basta dire pace per fermare il conflitto, non basta dire smettiamola di dare le armi e tutto cessa. Purtroppo, oggi serve continuare a sostenere l'Ucraina, serve a continuare a sostenerla con determinazione, serve portare i due attori protagonisti di questo conflitto al tavolo, ma serve ricordarsi anche nel mondo in cui viviamo, perché bisogna difendere la democrazia contro i regimi autoritari (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Onori.
FEDERICA ONORI (AZ-PER-RE). Signor Presidente, colleghi, membro del Governo, ubi solitudinem faciunt pacem appellant, ovvero dove fanno il deserto lo chiamano pace. Così Publio Cornelio Tacito ci descrive con chiara amarezza in cosa consista la dominazione di un impero sui territori conquistati. Qui lui, ovviamente, si riferisce all'impero romano. E proprio l'immagine del deserto spacciato per pace si addice, secondo me, alla città di Mariupol, una città portuale in cui vivevano pacificamente 400.000 abitanti che, dopo aver subito incessanti bombardamenti russi per più di 80 giorni, è letteralmente rasa al suolo.
Ecco io credo che il voto di oggi non sia un voto di routine. Il modo in cui sceglieremo di votare - voto a favore, voto contrario, luce verde, luce rossa - rimanderà a una visione ben precisa che ognuno di noi ha della storia e del presente, ma soprattutto del futuro. Questa volta la ferita inferta alla legalità internazionale è talmente grave che diviene emorragia profonda, che mette in crisi l'architettura stessa della sicurezza che ha complessivamente retto dal dopoguerra ad oggi. Il voto di oggi sancisce la possibilità o meno che qualcuno possa mettere indietro le lancette dell'orologio e far vigere la brutale legge del più forte come regola base dei rapporti tra gli Stati. E non ci possono essere ambiguità o tentennamenti in questa sfida decisiva per le sorti dell'intero continente europeo, perché il nostro voto di oggi riguarda l'Europa.
Perché riguarda l'Europa? Io difficilmente avrei potuto scegliere parole più chiare ed esatte di quelle espresse da Milan Kundera nel suo saggio Un Occidente prigioniero. Kundera, che la maggior parte di noi conosce per la sua opera più famosa, L'insostenibile leggerezza dell'essere, ci ha lasciato soltanto pochi mesi fa ed era uno scrittore, poeta e saggista francese di origine cecoslovacca che ha indagato lo spirito di quelle nazioni dell'Europa centrale, la Cecoslovacchia, appunto, ma anche l'Ungheria, la Polonia e potremmo far rientrare a ben vedere anche l'Ucraina, che hanno da sempre dovuto lottare per la propria indipendenza e per non essere assorbite dall'Impero russo, assorbite a livello politico, a livello culturale e a livello della loro lingua. Ne leggerò, quindi, poche righe che parlano della rivoluzione ungherese del 1956, nota anche come primavera ungherese. La primavera ungherese è stata una sollevazione armata contro la Russia in cui morirono 2.700 ungheresi e in cui migliaia - circa 250.000 - lasciarono il proprio Paese e si rifugiarono in Occidente. “Nel settembre del 1956 il direttore dell'agenzia di stampa ungherese, pochi minuti prima che il suo ufficio venisse distrutto dall'artiglieria, trasmise al mondo intero per telex un disperato messaggio sull'offensiva che quel mattino i russi avevano scatenato contro Budapest. Il dispaccio finisce con queste parole: moriremo per l'Ungheria e per l'Europa. Che cosa intendeva dire? Di certo che i carri russi mettevano in pericolo l'Ungheria e insieme l'Europa. Ma in che senso anche l'Europa era in pericolo? I carri russi erano forse pronti a varcare le frontiere ungheresi e a dirigersi a ovest? No. Il direttore dell'agenzia di stampa ungherese intendeva dire che in Ungheria era l'Europa a essere presa di mira. Perché l'Ungheria restasse Ungheria e restasse Europa era pronto a morire. La frase ha un senso evidente eppure continua a incuriosirci. Qui in Francia, in America - noi potremmo dire in Italia - siamo infatti abituati a pensare che fosse allora in gioco un regime politico, non l'Ungheria o l'Europa. Non ci sfiora neppure l'idea che a essere minacciata fosse l'Ungheria in quanto tale, né tantomeno comprendiamo come mai un ungherese, che rischia di morire, chiami in causa l'Europa”.
Ecco perché il voto di oggi secondo me riguarda l'Europa, perché l'Ucraina è Europa e non tanto o non solo perché il 15 dicembre scorso il Consiglio europeo ha deciso di avviare i negoziati di adesione con l'Ucraina, ma perché, ad esempio, 10 anni fa, tra il 2013 e il 2014, c'è stato Euromaidan, dove sangue ucraino fu versato nella violenta repressione del vasto movimento di protesta, delle proteste scaturite a seguito della decisione dell'allora Presidente in carica Yanukovych di non sottoscrivere il trattato di associazione politica ed economica con l'Unione europea, con l'evidente intento di orientare l'Ucraina in netta direzione filorussa. Allora, come oggi, gli ucraini lottavano per la libertà, per la democrazia, per una maggiore integrazione europea e, soprattutto, per affrancarsi dal giogo russo, dalla continua interferenza e ingerenza di un regime imperialista che mostrava e, mostra tuttora, rinnovate mire espansionistiche.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LORENZO FONTANA (ore 16,45)
FEDERICA ONORI (AZ-PER-RE). Ma il voto di oggi riguarda l'Europa anche perché si tratta di stabilire se vogliamo mettere a rischio o meno, provare ad intaccare o meno, l'unità dell'Europa sul tema, se vogliamo sostenere l'Europa in una risposta congiunta e, quindi, se vogliamo dare all'Europa la possibilità di svolgere un ruolo importante in quello che è uno scenario che si svolge sul territorio europeo oppure no. Un'Europa non unita era evidentemente la prima cosa che poteva auspicare di ottenere Putin quando diceva che nel giro di pochi giorni avrebbe potuto invadere, aggredire e quindi annettere parti dell'Ucraina.
Se l'Ucraina invece ha potuto difendersi, in alcuni casi addirittura riconquistare dei territori, è perché è stata sostenuta nella sua resistenza all'aggressore e chi oggi negherà il sostegno, anche militare, alla resistenza ucraina, dobbiamo dircelo molto chiaramente, starà dalla parte dell'Ungheria di Orbán, che negli ultimi mesi ha mostrato il suo volto forse peggiore in un ricatto continuo proprio sul tema degli aiuti all'Ucraina con le istituzioni europee, quell'Orbán che è finito sui giornali, sui telegiornali e nelle televisioni italiane, negli ultimi giorni, per il caso della nostra concittadina Ilaria Salis, quell'Orbán la cui Ungheria, al momento, mostra una distanza valoriale, tanto profonda quanto pericolosa, con i principi basilari dell'Unione di cui l'Ungheria, pure, fa parte.
Alla luce di tutto ciò, risulta inevitabile una menzione di discredito al Governo italiano per quello che non ha saputo fare, per il coraggio che non ha saputo avere rispetto a posizioni di Orbán assolutamente contrarie all'interesse nazionale e all'interesse europeo e mi riferisco sia alla condotta ricattatoria con le istituzioni europee circa gli aiuti all'Ucraina, sia al caso di Ilaria Salis.
Torniamo, però, ai termini del provvedimento che stiamo per votare. Vorrei, adesso, condividere una riflessione: è evidente che dichiararsi favorevoli al sostegno anche militare alla resistenza Ucraina sia una posizione per lo più impopolare. Cerco di spiegarmi, capovolgendo i termini del ragionamento: oggi, un politico che volesse essere popolare ad ogni costo non potrebbe permettersi di assumere questa posizione di sostenere la resistenza ucraina. Perché per farlo dovrebbe argomentare, menzionando, ad esempio, l'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite che prevede la possibilità della difesa individuale e collettiva, dovrebbe cercare di contestualizzare, ricordando, ad esempio, eventi storici, come abbiamo fatto pochi minuti fa con Euromaidan, appunto, che la maggior parte delle persone però ignora - e anche questo ce lo dobbiamo dire -, oppure il “Memorandum di Budapest”. Insomma, la questione non è che sia proprio semplice da illustrare e, inoltre, le armi chiaramente non piacciono a nessuno.
Quindi, quella di chi vuole sostenere la resistenza ucraina, è una posizione molto più difficile da spiegare, da far passare, del semplice e magari comunque efficace slogan: “No alle armi. Sì alla pace”, che pure è incompleto come slogan, perché a ben vedere dovrebbe continuare così: “No, alle armi. Sì alla pace e che i russi prendano pure tutto quello che vogliono”.
Ora, io voglio credere, invece, che tutti qui sentiamo la responsabilità di prendere decisioni che siano, non solo, corrette sul piano del diritto internazionale, non solo, in linea con i nostri valori fondativi - e la Resistenza è necessariamente uno di questi, perché il popolo italiano ha imbracciato le armi per resistere all'invasore e perché ha ricevuto aiuto dagli Alleati e sostegno in questo e proprio dalla Resistenza, non a caso, nasce la Repubblica italiana -, valori quali quello della Resistenza, ma che siano anche, più cinicamente, forse, nell'interesse nazionale. Perché tutto questo, ce lo dobbiamo ricordare, avviene alle porte dell'Europa e non possiamo credo, sic et simpliciter, chiudere gli occhi e fare finta che il problema non esista. Ecco, perché, da qualsiasi punto la si guardi, sostenere la resistenza ucraina è l'unica scelta giusta (Applausi dei deputati del gruppo Azione-Popolari Europeisti Riformatori-Renew Europe) e, dirò di più, è anche una scelta da rivendicare a gran voce. E spiace che ci sia chi prova imbarazzo nel sostenere questa posizione. Non ci dovrebbe essere alcun imbarazzo a sostenere un popolo che resiste a un aggressore.
Presidente, vorrei terminare con un'immagine che, forse, meglio di tante parole, riesce a dare l'idea di quello che è in ballo oggi. L'immagine è la seguente: per me, il processo di pace è un viaggio in treno, la pace è la nostra destinazione, lì, dove vogliamo arrivare, mentre il supporto anche militare, da una parte, e il canale diplomatico, dall'altra, sono le due rotaie. Il treno può procedere fintanto che ci siano entrambe le rotaie e che entrambe le rotaie siano allineate. Se una delle due rotaie venisse meno, il treno sbanderebbe e non arriverebbe a destinazione. Supportare la resistenza ucraina vuol dire mantenere aperta la possibilità di una soluzione diplomatica, si intende, una soluzione diplomatica giusta e che possa rientrare nel principio della legalità internazionale. Interrompere questo supporto vuol dire far deragliare il processo di pace e a quel punto neanche la diplomazia servirebbe più. La Russia avrebbe una posizione di vantaggio tale che non avrebbe bisogno di scendere a compromessi, avrebbe ottenuto quello che vuole e sarebbe riuscita a farlo con la forza. A quel punto, però, perché fermarsi, perché non continuare, con la Transnistria, con le Repubbliche baltiche, con la Finlandia? Ci rendiamo conto di cosa c'è in gioco? Io mi rifiuto di accettare che per qualche like in più sulla propria pagina Facebook o per uno “zero virgola” in più nei sondaggi della prossima settimana qualcuno possa essere disposto a correre questo rischio e, come dicevo in apertura e termino, oggi, è un giorno importante, non è un pigro pomeriggio di febbraio, come forse ne abbiamo vissuti nelle nostre vite, quella che stiamo vivendo è la storia e la storia ci chiede di prendere una posizione chiara, netta e cristallina e la nostra non potrebbe esserlo di più. Forza Ucraina, syla Ukrayiny (Applausi dei deputati del gruppo Azione-Popolari Europeisti Riformatori-Renew Europe e di deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Padovani. Ne ha facoltà.
MARCO PADOVANI (FDI). Presidente, onorevoli colleghi, ringrazio il Sottosegretario per aver fotografato in maniera precisa la situazione attuale di quelle terre martoriate. È opportuno ricordare che tale provvedimento ha tra le sue origini anche gli atti di indirizzo approvati dal Parlamento già nel 2022. Il 1° marzo 2022, infatti, a conclusione delle comunicazioni sugli sviluppi del conflitto tra Russia e Ucraina, rese dall'allora Presidente del Consiglio, il Senato e la Camera approvarono rispettivamente due risoluzioni, la n. 6-00208 e la n. 6-00207. Tali risoluzioni impegnarono il Governo ad attivare, con modalità rapide e tempestive, tutte le azioni necessarie per assicurare assistenza umanitaria, finanziaria, economica e di qualsiasi altra natura, nonché tenendo costantemente informato il Parlamento e in modo coordinato con gli altri Paesi europei alleati, la cessione di apparati e strumenti militari che consentano all'Ucraina di esercitare il diritto alla legittima difesa e di proteggere la propria popolazione. Tale orientamento è stato successivamente confermato dal Senato e dalla Camera il 21 e il 22 giugno 2022, garantendo così tutte le misure a sostegno, ivi comprese le cessioni di forniture militari, proseguendo così il completo sostegno militare all'Ucraina. Proseguire questo percorso significa, quindi, dimostrare in maniera tangibile la nostra vicinanza al popolo ucraino, contribuendo di fatto a non consentire, nei princìpi e nella sostanza, l'invasione dell'Ucraina. Non sarebbe possibile fermarci ora. La nostra coscienza - e non solo - non ce lo permette. Sostenere il popolo ucraino significa non far saltare le regole del diritto internazionale. Non mantenere questa posizione significherebbe che gli scenari di crisi potrebbero moltiplicarsi ovunque e in qualsiasi momento. Tutto ciò, però, non significa non proseguire con un percorso di trattativa e di azione diplomatica, a cui il Governo Meloni sta lavorando sin dal suo primo insediamento per fare in modo che si arrivi a un piano di pace solido e duraturo. Nel frattempo, lo ribadisco, è giusto garantire il pieno sostegno all'Ucraina in tutti gli ambiti - politico, militare e umanitario -, atteggiamento assunto fin dal primo momento dall'Italia. Lo stesso Consiglio europeo ha ribadito il risoluto sostegno all'indipendenza, alla sovranità e all'integrità territoriale dell'Ucraina entro i suoi confini riconosciuti a livello internazionale, nonché al suo diritto naturale di autotutela contro l'aggressione russa. In particolare, sempre il Consiglio europeo ha confermato l'importanza di un sostegno militare tempestivo, prevedibile e sostenibile, attraverso lo Strumento europeo per la pace e la missione di assistenza militare nell'Unione europea, ma anche attraverso l'assistenza bilaterale diretta degli Stati membri. Ha, inoltre, sottolineato l'urgente necessità di accelerare la fornitura di missili e munizioni, e dotare l'Ucraina di un maggior numero di sistemi di difesa aerea. A conferma del significativo impegno sotto il profilo del supporto militare, è doveroso ricordare che, tra il 2022 e il 2023, l'Unione europea ha mobilitato oltre 5 miliardi di euro a titolo dello Strumento europeo per la pace, con l'obiettivo di rafforzare le capacità e la resilienza delle Forze armate ucraine e proteggere la popolazione civile dall'aggressione militare in corso.
Le misure di assistenza concordate finanziano l'invio di attrezzature e forniture come dispositivi di protezione individuali, kit di pronto soccorso e carburante, nonché attrezzature e piattaforme militari a fini difensivi. In questo momento, dove c'è un'Ucraina ferita, dove vi è un popolo che sta combattendo una guerra di difesa, una guerra di sopravvivenza e sicuramente non una guerra di conquista, e dove c'è chi ha violato il principio della sovranità nazionale, voglio ricordare che Fratelli d'Italia non ha mai cambiato idea sui valori e sui princìpi fondamentali della democrazia e della libertà. Una libertà che, dopo questa invasione, certamente non è più scontata in Europa. La resa dell'Ucraina significherebbe la resa dell'Europa intera, e noi abbiamo il dovere e il diritto di contribuire alla salvaguardia di questi princìpi, che non sono negoziabili. È gusto ricordare, inoltre, che la legge di bilancio per il 2024, del 30 dicembre 2023, n. 213, proroga la scadenza dello stato di emergenza dal 31 dicembre 2023 al 31 dicembre 2024, per continuare ad assicurare accoglienza e assistenza alla popolazione proveniente dall'Ucraina sul territorio nazionale. Un impegno, quindi, del Servizio nazionale, coordinato dal Dipartimento della Protezione Civile, che vede, ancora una volta, Fratelli d'Italia e tutto il centrodestra uniti e in piena sintonia, senza esitazione alcuna, sulla linea di condotta da seguire per un aiuto concreto al popolo ucraino. Oggi, purtroppo, però, una parte dell'opposizione, anche in quest'Aula, manifesta vuoti di memoria, che hanno il sapore dell'incoerenza, a partire dall'onorevole Conte, che, a seconda della posizione e dello scranno - maggioranza o minoranza - dove siede, decide di sostenere o meno gli interventi a favore delle autorità governative dell'Ucraina (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia). Per Fratelli d'Italia, sarebbe un errore fare un passo indietro. La condizione base per arrivare a qualsiasi forma di soluzione di questo conflitto è quella di consentire all'Ucraina di essere competitiva attraverso un equilibrio di forze in campo. Un equilibrio che non ci sarebbe stato, fino ad oggi, se non avessimo dato anche il nostro contributo.
Mettere, dunque, l'Ucraina nella posizione di competere e di avere quel bilanciamento nel conflitto, che è anche l'unica condizione per un'eventuale soluzione negoziabile. Sta a noi, a ciascuno di noi, decidere da che parte della storia stare, in coscienza. L'Italia lo ha fatto, ha scelto con chiarezza da che parte stare. Lo ha fatto per senso di giustizia e con la fierezza del lavoro svolto, ma, nello stesso tempo, con la consapevolezza che il 2024 sarà un anno cruciale per Kiev. L'obiettivo dell'Esecutivo è arrivare a una soluzione di pace duratura ed equilibrata, che ristabilisca la sicurezza e l'ordine, nel rispetto del diritto internazionale.
Recentemente, il Ministro Crosetto ha sintetizzato un pensiero che il gruppo di Fratelli d'Italia condivide pienamente: il presupposto della pace è un giorno in cui non cadono le bombe russe, non un giorno in cui gli ucraini smettono di difendersi. La morte dell'Ucraina si porterebbe dietro la morte di un pezzo di democrazia. La difesa è un prerequisito della sicurezza, che è un prerequisito della stabilità, che porta alla pace. Non esiste, nei tempi in cui viviamo, una Nazione che possa permettersi di mettere da parte la difesa, ce lo dimostra recentemente anche il Mar Rosso.
Ed è alla luce di queste considerazioni, che rivolgo il mio plauso e quello di Fratelli d'Italia alle nostre Forze Armate, all'Esercito, alla Marina militare e all'Aeronautica militare, per il lavoro quotidiano nell'interesse e nell'amore per la patria, sia sul suolo nazionale, che in tutte le missioni di pace internazionali. Missioni che hanno, come obiettivo, il mantenimento della stabilità locale e globale, la sicurezza, l'addestramento delle Forze armate di altri Paesi e, non per ultimo, il supporto umanitario alle popolazioni. Forze armate che sono orgoglio nazionale, una risorsa che, mai come oggi, va preservata e salvaguardata. In un momento in cui le condizioni di tensione sono spiccate, esse portano il loro contributo, facendosi apprezzare ovunque nel mondo. Sarebbe opportuno che, anche all'interno di quest'Aula, qualche deputata che si riempie la bocca di pace, ma evidentemente solo a parole, mostrasse il doveroso rispetto a chi indossa l'uniforme del nostro Esercito, a chi quotidianamente si mette a disposizione della Nazione, a chi, la pace vera, la vuole garantire senza convenienza, senza alcuna strumentalizzazione e nel solo interesse del tricolore nazionale (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia). Noi di Fratelli d'Italia siamo con questi soldati, i nostri soldati, con i loro valori veri e non discutibili.
Concludendo, Presidente, la posizione di Fratelli d'Italia su questo provvedimento è stata netta fin da subito, non l'abbiamo mai cambiata, una scelta inevitabile: da un lato l'aggressore, dall'altro l'aggredito. Ora non c'è spazio per i tentennamenti, per un distinguo sofisticato, per un pacifismo finto e peloso. Noi non faremo mai elogi alla guerra, ma non possiamo accettare nemmeno che qualcuno pretenda la resa dell'Ucraina come un dovere (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Graziano. Ne ha facoltà.
STEFANO GRAZIANO (PD-IDP). Grazie, Presidente. Io vorrei iniziare con il ricordare che il 24 febbraio 2022 è stato un giorno terribile per l'Europa, oltre che per l'Ucraina, perché l'invasione russa, l'aggressione russa del popolo ucraino, è stato un giorno davvero triste. Triste perché iniziamo col dire che l'Europa è stata, per settant'anni, un continente di pace. E dopo settant'anni, in realtà, si è ritrovata nel bel mezzo di una guerra, di un'aggressione che ha fatto del popolo ucraino un aggredito e un aggressore, che noi, fermamente, da subito, abbiamo condannato senza indugio. E soprattutto dal momento in cui c'era, al Governo, Draghi e, come Ministro della Difesa, l'onorevole Guerini, abbiamo lavorato affinché ci fosse un forte aiuto e una forte presenza di aiuti militari, di equipaggiamenti e di tutto ciò che poteva essere utile, dal punto di vista umanitario, per dare forza alla resistenza del popolo ucraino. Abbiamo scoperto una grande capacità di resilienza e una grande capacità di forza del popolo ucraino.
Questo decreto chiede una proroga, di fatto, fino al 31 dicembre 2024 e continua in quella logica della cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari per dare forza e resistenza. Ma vedete, tutto questo viene fatto in una certa logica, così come prevede il decreto, con norme stabilite con modalità e con indirizzi molto precisi. Sostanzialmente, a seguito della risoluzione che abbiamo presentato, a nome della deputata Braga e di tutti i parlamentari del Partito Democratico, che è stata approvata, sostanzialmente si sono approvate alcune cose, a nostro avviso, importanti. Vogliamo al riguardo ringraziare il Sottosegretario che era presente per aver dato un parere favorevole in quella direzione, anzi ci permette di dire alcune cose importanti: la prima, occorre lavorare a una conferenza di pace, perché non c'è nessuno di noi che sia lontano o che non voglia la pace. Abbiamo visto che, oggi, questa mattina e ancora mentre parliamo, su Kiev si sono abbattuti molti missili, la città è senza energia elettrica: immaginate quel popolo in questo istante se ha voglia di avere una guerra all'infinito. Ha voglia di pace ovviamente e quindi abbiamo chiesto che ci fosse una conferenza di pace.
C'è bisogno ancora di più di una forte azione diplomatica che ancora manca da questo punto di vista, perché, diciamoci la verità, quando nasce un'azione diplomatica, bisogna vedere gli equilibri sul campo. E gli equilibri sul campo, oggi, se non sosteniamo l'Ucraina, se non sosteniamo il popolo ucraino, ovviamente non è che cambieranno, saranno unilaterali, cioè saranno tutti a favore di una parte. Ecco il motivo per cui dobbiamo ancora di più insistere nel sostenere il popolo ucraino ed è questo quello che chiediamo. Chiediamo che vi sia un'azione diplomatica più forte e che vi sia sostegno alle forniture, agli equipaggiamenti, a tutte le esigenze umanitarie. Oggi oltre 17 milioni di ucraini hanno bisogno di assistenza umanitaria e sanitaria; pensate che, solo nel 2021, probabilmente gli ucraini erano poco meno di un milione e mezzo, 2 milioni. Oggi siamo a 17 milioni, circa la metà della popolazione ucraina ha bisogno di assistenza sanitaria.
C'è anche un altro tema: sostenere l'Ucraina significa rispettare la Carta delle Nazioni Unite che, all'articolo 51, riconosce espressamente il diritto all'autotutela individuale o collettiva, aiutando con i mezzi e con gli assetti che ogni Paese, che aderisce, può assicurare, con la risoluzione che di fatto c'è stata, a partire dalla logica multilaterale dell'Unione europea, da un lato, e della NATO, dall'altro. E qui che si inserisce, ancora una volta, quella che dovrebbe essere poi un'azione diplomatica.
Noi inoltre presentammo proprio qui in Parlamento (c'era il Governo Draghi) un emendamento, affinché, ogni tre mesi, si svolgesse un'informativa del Governo sullo stato del conflitto in Ucraina e ciò viene completamente confermato. È un altro tema importante.
Ovviamente questi equipaggiamenti vengono stabiliti in un allegato; c'è il Copasir che ne viene a conoscenza, quindi anche da questo punto di vista è previsto il passaggio parlamentare. Poi fatemi dire, questo avviene attraverso un decreto del Ministro della Difesa, di concerto con il Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e con il Ministro dell'Economia e delle finanze. Quindi, sono previsti tutti quei passaggi affinché vi siano garanzie rispetto alla cessione gratuita a favore del popolo ucraino per le ragioni che abbiamo detto e, soprattutto affinché una parte di quella cessioni di mezzi, equipaggiamenti e tutto ciò di cui hanno bisogno, dal punto di vista umanitario, venga anche rimborsato dall'Unione europea.
Vorrei fare però una riflessione un po' più allargata rispetto alla vicenda Russia e Ucraina. Noi siamo in un momento particolare della storia dell'Europa e dell'Occidente. Ci troviamo da un lato con il conflitto russo-ucraino, dall'altro con una grande tensione in Serbia e Kosovo, come il Sottosegretario potrà confermare. La tensione è grande in quella direzione. Ma vi sono anche altre questioni: quella israelo-palestinese, quella del Mar Rosso e poi, anche se non ne parliamo più, quella della Tunisia, quella del Sahel, e tutto quello che riguarda quel mondo. Se per un istante, mettete un compasso al centro dell'Europa e lo fate ruotare, in realtà, vi accorgete che tutto questo è esattamente intorno all'Europa. Siamo qui!
E poi fatemi dire una cosa rispetto al conflitto russo-ucraino: c'è una questione di fondo, a mio avviso. Gli ucraini stanno combattendo anche per noi, lo stanno facendo perché l'invasore russo vorrebbe sempre di più allargare i confini e man mano allargarli per arrivare chissà dove. Allora, il nostro sostegno a questo popolo è anche un sostegno a noi stessi. Dobbiamo avere la consapevolezza che il sostegno all'Ucraina è un sostegno all'Occidente, un sostegno all'Europa nel suo complesso; non è un sostegno in una direzione che immaginiamo possa essere al di là di ogni bene e male. Mentre noi qui oggi possiamo continuare a costruire i nostri sogni, ad avere la nostra famiglia, a costruire le nostre relazioni, a ridere con i nostri amici, loro sono lì, in questo momento a combattere, anche per noi. E penso che questo sia il dovere di un Paese come l'Italia: far sì che possa continuare a sostenere una tesi di questo tipo.
Vorrei chiudere questo intervento, dicendo che il tema di oggi è fondamentale. Occorre leggere quello che sta accadendo sul piano geopolitico e sul piano complessivo del mondo: c'è un attacco frontale all'Occidente nel suo complesso e contemporaneamente abbiamo le elezioni americane. Questo mix, purtroppo, crea molta instabilità ed è qui che si inserisce la nostra richiesta - è ancora di più la richiesta al Governo che viene dal Partito Democratico - di alzare il livello per costruire un'iniziativa diplomatica sempre più forte, perché purtroppo questo è quello che ancora manca. Manca perché non c'è un'attenzione ancora forte, sapendo che l'iniziativa diplomatica presenta difficoltà a fronte degli equilibri sul campo ed è il motivo per cui dobbiamo sostenere l'Ucraina senza indugio e senza avere dubbi.
Per noi, lo dico, chiudendo il mio intervento, l'Ucraina oggi è ciò che è stata la Catalogna per George Orwell. Il giorno in cui gli ucraini saranno liberi di sognare la loro vita e di ricostruire le loro città non esisterà più la differenza tra di noi. Solo allora potremo dire di aver reso quel popolo libero, libero di sognare, ma, fatemi dire, avremo ristabilito, anche in Europa, una condizione di libertà, che oggi ancora non c'è, e di preoccupazione, che oggi non c'è. Quindi, bisogna sostenerli senza se e senza ma e continuare in quella direzione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Carra'. Ne ha facoltà.
ANASTASIO CARRA' (LEGA). Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori membri del Governo, l'esigenza di varare un nuovo decreto-legge per consentire la prosecuzione degli aiuti civili e militari all'Ucraina manifestatasi nello scorso dicembre è stata oggetto di valutazioni ai più alti livelli istituzionali del nostro Paese e deriva da circostanze drammatiche. È passata, infatti, al vaglio del Consiglio supremo di difesa, organo costituzionale di alta consulenza presieduto dal Capo dello Stato, nel cui ambito, lo scorso 11 dicembre, è stata ribadita la volontà dell'Italia di continuare ad aiutare l'Ucraina fino a ristabilire la pace in tutti quei territori stigmatizzati da conflitti, perdite di vite umane, con l'obiettivo di ristabilire vecchi disegni imperiali, apertamente dichiarati da Putin, a discapito della libertà di un popolo e del diritto di autodeterminarsi.
Quanto alle circostanze drammatiche, il prossimo 24 febbraio sarà il secondo anniversario della brutale decisione russa di aggredire l'Ucraina. Una data che ricorda a tutti noi quanto, ancora oggi, anche in Occidente, sia precario e debole il concetto di democrazia, di sacralità e inviolabilità della vita e difesa della libertà. Per questi motivi, onorevole Presidente, onorevoli colleghi, questa guerra è molto più di tutto questo: rappresenta l'idea stessa di libertà, in un modo che si applica molto più direttamente alle nostre nazioni e società di quanto la maggior parte di noi si renda conto. Sì, questa guerra riguarda la lotta per l'integrità territoriale dell'Ucraina. Si tratta anche di difendere lo Stato di diritto e il diritto all'autodeterminazione delle nazioni.
La scommessa di Putin era che l'Ucraina non avrebbe potuto resistere a un attacco russo e che la divisione interna e la dipendenza energetica avrebbero impedito all'Unione europea di venire in aiuto all'Ucraina. I russi parlavano di una guerra-lampo, di un conflitto che avrebbe presto visto capitolare l'Ucraina e il suo esercito alle visioni espansionistiche di Putin. Tuttavia, in questi due lunghi anni, abbiamo assistito all'esempio dato da un popolo, quello ucraino, che ha continuato a combattere e lottare per la propria libertà, resistendo alla forza militare e tattica dell'avversario e alla ferma volontà da parte di tutti i Paesi dell'Eurozona di fronteggiare le diverse criticità, come crisi energetica e carenza di grano, per confermare e mantenere il supporto a Kiev. Non possiamo voltarle le spalle senza che crolli. Se mollassimo Kiev, l'Italia e l'Europa tutta dovrebbero rinunciare alla lotta per la libertà contro l'oppressione (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier)! Di qui il decreto-legge di cui oggi votiamo la conversione in legge, un provvedimento che estende al 31 dicembre 2024 l'autorizzazione a disporre l'invio di aiuti civili e militari all'Ucraina sulla base delle stesse disposizioni adottate, all'indomani dell'invasione, il 25 febbraio 2022. Il fatto che si intenda continuare a rifornire di aiuti economici, umanitari ed anche materiali d'armamento non è peraltro incompatibile con la prosecuzione degli sforzi del nostro Governo, volti a promuovere in ambito internazionale l'avvio di un negoziato che porti quanto meno a una tregua. Questo è, quindi, il momento per reimmaginare e rifondare noi stessi. Abbiamo assistito all'unione delle democrazie occidentali e al riemergere del diritto all'autodeterminazione nazionale.
È per noi fondamentale garantire in Italia e in Europa un futuro di libertà. Difendere questo diritto è il minimo che il nostro Paese e l'Unione europea devono fare ed ottenere per le giovani generazioni, in Ucraina e altrove in Europa. Andarsene, di contro, certamente non incoraggerebbe i russi a sedersi al tavolo delle trattative, mettendo a serio rischio l'assetto democratico dei Paesi occidentali. Noi ne siamo convinti, per questo sosterremo la strategia prescelta dal Governo e voteremo a favore dell'approvazione della legge di conversione del decreto-legge n. 200 del 2023 (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lomuti. Ne ha facoltà.
ARNALDO LOMUTI (M5S). Grazie, Presidente. Solo pochi mesi fa - siamo agli inizi di ottobre dello scorso anno -, abbiamo assistito a un siparietto tragico di questo Governo sull'oggetto della discussione di oggi, che è l'invio di armi in Ucraina. Da una parte, abbiamo visto il Ministro degli Affari esteri Antonio Tajani bruciare tutti sul tempo e annunciare l'ottavo pacchetto di invio di aiuti militari all'Ucraina, disintegrando la strategia di questo Governo, che era quella di agire nel sottotraccia, tant'è che, poi, si è visto, dall'altra parte, un infastidito Ministro della Difesa Crosetto intervenire sulle facilonerie del primo, facendo dichiarazioni molto interessanti, innanzitutto, parlando proprio della situazione e di come si è comportata l'Italia. Ha fatto un po' la fotografia da quando è iniziato questo conflitto fino ad oggi e ha affermato, testualmente, che l'Italia ha fatto tutto ciò che poteva fare.
Una seconda riflessione importante è che il Ministro aggiungeva che lo spazio nel quale noi ci stiamo muovendo oggi non è illimitato, perché non sono illimitate le nostre scorte di armi. Infine, ha fatto un'altra importantissima riflessione - e, poi, spiego perché -, dicendo che, quando inviamo le armi, è arrivato il momento anche di decidere cosa si può inviare e cosa non si può inviare, perché siamo entrati in una fase in cui, in base alle scorte militari di armi che abbiamo, possiamo pregiudicare la nostra potenza difensiva del Paese. Questo è molto importante, Presidente, perché, finalmente, il Ministro Crosetto pone sul tavolo del ragionamento politico la questione della sicurezza nazionale, cosa che il MoVimento 5 Stelle aveva già fatto da tempo, non soltanto il MoVimento Stelle, ma i massimi esperti di strategia militare del nostro Paese, che non mancano. Era una situazione prevedibile, Presidente, perché non è soltanto il Governo, c'è stata anche la complicità di questo Parlamento, che ha agito con una - chiamiamola così - colpevole superficialità. Però, qui non siamo nel campo dell'imprevedibile o di un imprevisto, era tutto prevedibile, era matematico, era scontata come previsione.
Come risolvere questo problema? Come potrebbe risolvere il Ministro Crosetto questo problema? Ha tre soluzioni. La prima: smettendo di inviare armi, ma non credo che questo Governo sia propenso a questa prima soluzione. La seconda: continuare ad inviare armi, sguarnendo, però, le nostre difese militari. Immagino che nessun Governo sano di mente possa decidere di percorrere questa seconda ipotesi. Poi c'è una terza via, che è quella di continuare ad inviare armi a Kiev, ma comprando nuove armi per garantire la difesa nazionale. Vuoi vedere che proprio il Governo o, meglio, proprio quel buontempone del Ministro Crosetto ha scelto questa soluzione? Quel buontempone del Ministro Crosetto, negli anni, ha servito sempre gli interessi dell'industria bellica. Guardando un po' quello che arriva in Commissione difesa e, cioè, il costoso programma di riarmo, potremmo benissimo immaginare che sia andata proprio così e, cioè, che il Governo abbia scelto questa terza soluzione.
Ciò anche perché, poi, dobbiamo parlare di costi, perché anche questo interessa ai cittadini, cioè quanto ci costa questa azione governativa? Potremmo parlare, a titolo di esempio, di 800 milioni previsti per i nuovi sistemi di contraerea che devono sostituire i missili Stinger che abbiamo ceduto all'Ucraina.
Presidente, questo ha generato un dilemma non soltanto nel comparto o nell'aspetto politico, non soltanto dubbi oppure centro di discussione da parte parlamentare.
Oggi, anche le nostre Forze armate si pongono un dilemma, e cioè cedere le armi hi-tech all'Ucraina non è che poi ci espone a un pregiudizio difensivo, cioè del nostro potenziale di difesa? Non è che andiamo a diminuire la forza di difesa del nostro Paese? Presidente, noi ci troviamo molte volte, in maniera anche solenne, a ringraziare i nostri militari, ed è giusto. Noi siamo da quella parte, perché ci rappresentano in maniera degna nel mondo, ma, nel momento in cui noi, da una parte, li ringraziamo sempre, giustamente, ripeto, in maniera solenne, dall'altra parte, poi, devono seguire alle parole i fatti, e non mi sembra che lasciare le nostre Forze armate a secco sia un segnale di patriottismo. A me sembra un segnale di tradimento, con un pizzico anche di ipocrisia, Presidente. È questo proprio il punto.
Tornando poi a noi, cioè al tema di oggi, vorremmo sapere quali sono i costi reali, perché ad oggi abbiamo l'impressione che il Governo ce li nasconda, anche in maniera subdola. Perché subdola? Perché, se dobbiamo pensare, a maggio dell'anno scorso, quando questo Governo buttava in mezzo alla strada milioni di cittadini, ammazzando il reddito di cittadinanza, poi arrivava sempre quella manina notturna che inseriva 14,5 milioni di euro per la produzione di munizioni di medio e grande calibro, perché non potevamo lasciare sguarnite le nostre difese rispetto a quello che abbiamo inviato in Ucraina.
Allora, Presidente, il punto è proprio questo. Il MoVimento 5 Stelle non è che si sveglia oggi, è da tempo che denunciamo le bugie di questo Governo sul reale costo delle forniture di armi in Ucraina. È un'operazione che qualcuno ci ha detto che era a costo zero, quel qualcuno è il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Peccato, però, che poi le bugie hanno sempre le gambe corte e qualcuno inizia a sentire la puzza di bruciato. Quel qualcuno non sono questi malfidati del MoVimento 5 Stelle, bensì sono i tecnici dell'Ufficio parlamentare di bilancio.
Credo che un po' di credibilità queste persone debbano averla, una credibilità oggettiva, al di là delle preferenze o meno politiche. E, come già accaduto un anno fa, oggi come ieri, verrebbe da dire “stessa spiaggia, stesso mare, stesso Ufficio parlamentare”, quegli stessi tecnici dicono “guardate, c'è un problema, poniamo dubbi sulla trasparenza che sta utilizzando questo Governo rispetto ai costi reali di questa operazione”, e cioè sul finanziamento zero, così come paventato dalla Meloni, con riferimento a questa operazione, rispetto non soltanto alla logistica - la preparazione, la procedura di invio delle armi, perché anche lì ci sono voci molto importanti di costi -, ma anche e soprattutto al ripianamento proprio delle scorte dei materiali che abbiamo esaurito perché li abbiamo ceduti all'Ucraina.
Ora, Presidente, leggo testualmente il Kiel Institute, che fa un calcolo, e cioè è di circa 700 milioni di euro il valore degli invii bilaterali di armi a Kiev effettuati finora, ai quali, stando agli stanziamenti annuali previsti in manovra, vanno aggiunti almeno altri 500 milioni versati in 2 anni da Roma all'European Peace Facility, che finanzia le forniture europee. Siamo oltre il miliardo di euro, cifra di cui lo stesso Ministro Tajani già parlava un anno fa. Noi ci poniamo delle domande, a questo punto, Presidente, cioè perché questo Governo continua a mentire agli italiani sui costi reali dell'invio delle armi a Kiev?
Perché Meloni, Crosetto e Tajani non hanno il coraggio di dire quanto veramente stiamo spendendo per continuare ad alimentare questa guerra? È arrivato il momento di fare una scelta, e lo diciamo a tutte le forze parlamentari, sia di maggioranza che di opposizione. Oggi bisogna decidere, oggi chi vuole veramente la pace e il bene degli ucraini non soltanto a parole, ma anche con i fatti, deve uscire fuori, deve scegliere. Oggi bisogna scegliere di non alimentare per il terzo anno consecutivo questa guerra inutile e sanguinosa. L'unica scelta che questo Parlamento può fare di buonsenso, usando il criterio della logica e della ragionevolezza, è quella di chiedere in maniera forte un cessate il fuoco, perché solo da lì si può partire verso il processo di pace, per raggiungere la pace attraverso i negoziati.
Presidente, concludo, il nostro appello è: uniamoci per gridare fortemente cessate il fuoco, iniziamo con i negoziati di pace in maniera seria, perché non è facile arrivarci, bisogna costruirli ed è un percorso difficile. Fermiamo l'invio delle armi, fermiamo le armi, fermiamo la guerra (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Zanella. Ne ha facoltà.
LUANA ZANELLA (AVS). Grazie, Presidente. L'articolo 1 del decreto-legge in esame proroga fino al 31 dicembre 2024 l'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell'Ucraina, prevista dall'articolo 2-bis del decreto-legge 25 febbraio 2022, n. 14, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 aprile 2022, n. 28. Il 19 dicembre 2023 il Ministro della Difesa è stato audito dal Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica sui contenuti del cosiddetto VIII pacchetto di invio di materiali ed equipaggiamenti militari all'Ucraina. Questo VIII pacchetto giunge 7 mesi dopo il VII, ovvero il decreto del Ministro della Difesa del 23 maggio 2023. I decreti ministeriali hanno tutti un medesimo contenuto: i mezzi, i materiali e gli equipaggiamenti militari, di cui si autorizza la cessione, sono elencati in un allegato elaborato dallo Stato maggiore della Difesa, che è però classificato, quindi non disponibile. Lo Stato maggiore della Difesa viene anche autorizzato ad adottare le procedure più rapide per assicurare la tempestiva consegna di mezzi, materiali ed equipaggiamenti. Per questa ragione, fatte salve le informazioni che escono sui media, non sappiamo quali armi e mezzi siano stati inviati fino ad ora in Ucraina, a differenza di quanto accade negli altri Paesi europei. La secretazione del documento allegato ai decreti interministeriali si basa su una delle classifiche di segretezza previste dall'articolo 42 della legge n. 124 del 2007, sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto, e non vi è mai stata apposizione del segreto di Stato. È per questo che noi abbiamo chiesto con un emendamento di non applicare le disposizioni della legge n. 124 del 2007 su questi documenti e renderli finalmente integralmente pubblici.
Dobbiamo parlare di armi oggi: parliamone e cerchiamo di farlo in modo non ideologico. Lunedì scorso l'Alto rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri, nel corso di una visita ufficiale a Varsavia, ha dichiarato: “Non solo dobbiamo sostenere l'Ucraina per tutto il tempo necessario, ma per qualsiasi cosa necessaria. Non è solo una questione di tempo: è una questione di quantità e qualità delle nostre forniture. Il modo più rapido, economico ed efficace per aumentare la nostra fornitura all'Ucraina è smettere di esportare verso Paesi terzi”.
L'Unione europea, a marzo 2023, ha approvato un piano da 2 miliardi di euro per incrementare le forniture di munizioni all'Ucraina, impegnandosi a inviare 1 milione di proiettili da 155 millimetri entro 12 mesi, ma alla fine del 2023, come sa bene il Ministro Crosetto, ne erano stati forniti solo 330.000 ed entro la fine di marzo si arriverà forse solo a 520.000. Borrell è convinto che la capacità produttiva dell'industria bellica degli Stati europei sia assolutamente in grado di fornire le munizioni necessarie all'Ucraina purché si interrompano, appunto, le esportazioni di armi verso Paesi terzi.
Parliamo di aziende che producono, tra l'altro, i famosi proiettili da 155 millimetri indispensabili, pare, per la controffensiva ucraina. Si tratta di 11 Stati europei: Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Francia, Germania, Grecia, Polonia, Slovacchia, Spagna, Svezia e Italia. Sottosegretario, ma secondo lei, che di questa materia dovrebbe essere esperto, così come lo è sicuramente il Ministro Crosetto, si potranno ricontrattare le condizioni, i tempi di consegna e quant'altro rispetto a forniture dirette a Paesi come quelli del Golfo? Abbiamo presente quanto incandescente sia lo scenario geopolitico in Medio Oriente e non solo? Borrell, dopo aver visto cadere il suo piano di 20 miliardi di euro, ha puntato all'aumento di 5 miliardi di euro del Fondo European Peace Facility, destinato alle missioni militari all'estero. A noi sembra di assistere a una rincorsa affannosa alle armi senza mai arrivare all'obiettivo. L'impotenza della politica, che si misura esclusivamente in termini di crescita di potenza militare, è sotto i nostri occhi, eppure si continua ciecamente in questa via, incuranti delle catastrofi incombenti. In un contesto di crescente stanchezza internazionale per il protrarsi del conflitto e di relativa paralisi dei nuovi finanziamenti per Kiev, le Forze armate ucraine, sempre più esauste, sembrano concentrarsi più sulla difesa delle proprie posizioni che sulla riconquista di territori in mano alla Russia. Al momento il Cremlino controlla circa un quinto del suolo dell'Ucraina, compresa la Crimea e ampie zone del Sud-est e la regione di Cherson. Secondo un recentissimo rapporto - del dicembre 2023 - dell'intelligence statunitense, riportato da Reuters, fino al 12 dicembre 2023 sarebbero 315.000 i soldati russi uccisi e feriti nei combattimenti. Il Governo ucraino non rilascia il bilancio delle vittime, ma Washington ha riferito, nell'agosto 2023, che il numero dei morti tra i combattenti ucraini si sarebbe aggirato probabilmente attorno alle 70.000 unità e secondo le stime delle Nazioni Unite i morti civili sarebbero 10.000. L'Ucraina ha subito un vero e proprio trauma nella sua struttura demografica e anche di questo dobbiamo tenere attento conto. Alla diminuzione di popolazione, dovuta all'emigrazione e al calo delle nascite, si è aggiunto l'esodo di circa 8 milioni di persone, soprattutto donne e bambini. Il tasso di fecondità per il 2023 è caduto allo 0,55, al di sotto dello 0,7 della Corea del Sud, che detiene il record mondiale.
Dei 51.500.000 abitanti del 1989, quando l'Ucraina ha acquisito la propria indipendenza, sarebbero solo 31.100.000 quelli attuali. Secondo fonti Eurostat, 4 milioni di ucraine e ucraini sotto protezione temporanea hanno acquistato la cittadinanza europea. Tra i rifugiati poi alta è la percentuale di coloro che hanno un titolo di studio universitario. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, il sistema sanitario e sociosanitario in Ucraina è al collasso e la salute psicofisica della popolazione è a forte rischio: un terzo manifesta segni di stress acuto, depressione e uso di sostanze. Se la guerra dovesse finire tra un anno, oltre alle enormi risorse necessarie per la ricostruzione si presenterebbe un drammatico problema di manodopera, compresa quella qualificata e molto qualificata, a causa della diminuzione della popolazione in età lavorativa e rispetto alle altre coorti.
Nel luglio 2023 il Parlamento ha effettuato un focus sui danni ambientali della guerra, che ammonterebbero a ben 52,4 miliardi di euro. Ci sono 2.317 segnalazioni verificate di azioni militari con un effetto ambientale diretto: inquinamento di habitat, acqua, suolo e aria. I bombardamenti dei siti industriali hanno provocato contaminazioni paurose. Ogni esplosione produce gas, polvere, incendi e deforestazioni, per non parlare delle emissioni di CO2 dalle attrezzature militari, che sono altissime. Parte importante dei seminativi saranno inutilizzabili per anni. A causa della guerra in corso l'Ucraina è uno dei Paesi al mondo più contaminati dalle mine. La missione di monitoraggio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha confermato che le mine e altri ordigni esplosivi hanno causato ben 116 vittime tra i bambini tra il 24 febbraio 2022 e il 19 novembre 2023.
Ma andiamo a Putin. In vista delle elezioni presidenziali, che si terranno a marzo 2024, Putin insiste su una propaganda insistente, appunto, volta a minare l'idea che Mosca sia isolata a livello internazionale e le posizioni statunitensi - dove pure si avvicinano le elezioni - sulla guerra e sul supporto a Kiev non fanno che dare adito a questa linea. Gli americani sono sempre più divisi sulla guerra e molti parlamentari repubblicani si oppongono in modo attivo a maggiori aiuti. Anche se il Congresso approverà ulteriori aiuti militari per il 24, come pare in seguito ad un accordo bipartisan degli ultimi giorni, questo potrebbe essere l'ultimo stanziamento significativo che Kiev riceverà da Washington. Il mantra sul sostegno all'Ucraina per tutto il tempo necessario si sta trasformando in finché si potrà. Ora che persino Zelensky ammette che i risultati della controffensiva ucraina sono stati deludenti, è più lecito che mai chiedersi se i tempi siano finalmente maturi per negoziare una via d'uscita dal conflitto, che ormai dura da ben due anni. Purtroppo, l'azione di questo Governo si sta limitando solo alle forniture militari. Non c'è traccia di alcuna reale azione diplomatica, di un lavoro per il cessate il fuoco e di un impegno concreto nel trovare una soluzione diversa dalla logica vincitori e vinti.
A maggior ragione, dato il rischio di disinteresse che nei prossimi mesi potrebbe concretizzarsi negli USA nei confronti dell'Ucraina, è proprio ora che l'Unione europea e i suoi Governi nazionali dovrebbero mettere in piedi una nuova strategia. Senza un'immediata iniziativa di pace questa guerra proseguirà purtroppo a lungo e sempre più sanguinosa. È indispensabile farsi carico perciò di uno sforzo negoziale e diplomatico nella consapevolezza della difficoltà e della fatica del percorso, ma ancor più del fatto che questo rappresenti l'unica strada possibile per la fine della guerra, per interrompere ulteriori escalation e allargamenti del conflitto: Quindi, un'immediata iniziativa diplomatica si rende ancora più necessaria per allontanare scenari drammatici per la sicurezza globale in considerazione anche del riesplodere della crisi in Medio Oriente a seguito degli attacchi terroristici multipli e indiscriminati di Hamas in Israele del 7 ottobre e della reazione di Israele che ha travalicato i limiti del diritto internazionale umanitario. La fornitura di mezzi e materiali d'armamento all'Ucraina era stata considerata come uno strumento volto a consentire la determinazione - lo abbiamo sentito anche oggi - di migliori condizioni negoziali. Essa si è rivelata però del tutto insufficiente rispetto a questa ambizione ed è stata persino controproducente, contribuendo invece ad indebolire il ruolo dell'Unione Europea, nella ricerca di una soluzione al conflitto. L'Europa politica, priva di quella difesa comune che era stata sognata a Ventotene, dovrebbe e potrebbe fare la differenza nella costruzione della pace, anche attraverso l'istituzione di un corpo civile di pace europeo, che riunisca le competenze degli attori istituzionali e non istituzionali in materia di prevenzione dei conflitti, risoluzione e riconciliazione pacifica dei medesimi.
Presidente, il nostro gruppo Alleanza Verdi e Sinistra sarà l'unico, credo, a votare contro questo provvedimento, l'unica voce che si leva, con lucidità e coerenza, a difesa dell'articolo 11 della nostra sacra Costituzione e della ragione della vita contro quelle della morte. Come ebbe a dire Papa Francesco, ripeto le sue parole, la pace è sempre possibile, a patto di non rassegnarsi alla violenza della guerra e non dimentichiamo che la guerra è sempre, sempre, sempre una sconfitta. Soltanto guadagnano i fabbricatori di armi (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Della Vedova. Ne ha facoltà.
BENEDETTO DELLA VEDOVA (MISTO-+EUROPA). Signor Presidente, io approfitto della sua presenza e, in un momento in cui mi esprimo, a nome di +Europa, a favore di questo provvedimento e quindi a favore del Governo, signor Presidente Fontana, però per dire, a lei e al Governo, che ci vuole più rispetto per il Parlamento. Lei non è responsabile, signor Sottosegretario, ma nel pomeriggio, neanche mezz'ora prima dell'inizio della riunione della Commissione esteri, dove erano previste interrogazioni, il Governo ci ha comunicato che non ci sarebbe stato nessun suo rappresentante. Ora a me è capitato per numerosi anni di fare il sottosegretario, proprio agli esteri, non mi ricordo che sia mai successo che abbiamo avvisato la Camera mezz'ora prima dicendo ci spiace abbiamo altro da fare. Lo dico a lei Presidente, non so se ne era al corrente, però io credo che serva anche su questo un richiamo forte. Era già successo che non ci fosse il Governo durante la discussione dei provvedimenti in Commissione esteri, ma che ti avvisino mezz'ora prima dicendo scusate non possiamo, adesso non so cosa abbiano detto.
Sta di fatto, che la riunione con le interrogazioni è stata sconvocata e io ritengo che sia un ulteriore grave episodio di mancanza di attenzione e di rispetto nei confronti del Parlamento. Venendo al provvedimento, sono state dette tante cose, non voglio ripetere cose già dette, però voglio partire da una bella intervista - non sono un fan della RAI in questo periodo - che il direttore Chiocci del TG1 ha fatto a Zelensky pochi giorni fa, un'intervista fatta bene, seria e molto intensa. Vorrei partire dalle parole del Presidente Zelensky perché noi abbiamo sentito parlare, anche casualmente - anche dalla Primo Ministro, Meloni - della fatica - della fatigue - della guerra in Europa e nel mondo occidentale. Zelensky in quell'intervista spiegava la situazione, credo con il rigore dello statista quale, suo malgrado, tutto sommato ha dovuto diventare, e con la passione per la sua terra, il suo popolo e le sue istituzioni democratiche e anche col dolore di chi si è trovato, inopinatamente, immotivatamente, a guidare un Paese sotto aggressione pesante e sotto i missili che continuano a bombardare obiettivi civili in Ucraina anche in questi giorni. Sullo stato dell'arte, diceva Zelensky, sul terreno c'è uno stallo, è un dato di fatto. Ci sono stati ritardi negli equipaggiamenti e i ritardi significano errori. Combattiamo contro terroristi che hanno uno dei più grandi eserciti del mondo. Non bastano le munizioni, ma servono mezzi tecnici moderni. Questa è la domanda. Io ho sentito anche i colleghi critici, cosa gli rispondiamo a Zelensky, Presidente regolarmente eletto in un'oasi di democrazia, difficoltosa e imperfetta, che si spinge verso l'autocrate regime russo? A distanza di due anni è importante, dice Zelensky, che siamo riusciti a difendere il nostro Stato: circa il 26 per cento del territorio è ancora sotto occupazione. L'Ucraina oggi è diversa, è più vicina all'Europa: 50 miliardi di euro sono un aiuto molto importante, vorrei ringraziare tutti. Senza, la difesa sarebbe impossibile, senza questi soldi possiamo perdere ciò che abbiamo. La Russia non si fermerà e dobbiamo renderci conto di tutto questo. Poi Zelensky dice, certo, concordiamo con il popolo italiano sulla necessità di arrivare a un processo di pace, però bisogna che tutti capiscano qual è la situazione.
È ovvio che Zelensky è la prima persona e che il Governo, le istituzioni ucraine siano i primi ad avere l'interesse alla pace. Ma Zelensky ci ricorda che l'obiettivo principale di Putin è privarci dell'indipendenza, rendere l'Ucraina parte del suo impero. Ed io su questo, Presidente, lei che ha esperienza e sensibilità sui temi internazionali, ricordo che noi - non voglio divagare - ci stiamo dimenticando, ad esempio, di quello che è accaduto in questi due anni in Bielorussia. Siamo passati da una speranza, da una prospettiva e anche dall'illusione di molti oppositori di Lukašenka, dall'illusione di una Bielorussia che potesse emanciparsi dall'autocrazia di Lukašenka, che potesse guardare a elezioni libere ed eque, e poi invece abbiamo assistito, inermi e inerti, al precipitare della Bielorussia nel buco nero del regime putiniano. Ormai la Bielorussia è un protettorato. Putin ha imposto una modifica della Costituzione successiva al 24 febbraio del 2022 che ha portato - altro che la NATO che si espande verso Est - alla cancellazione della previsione costituzionale, in Bielorussia, della denuclearizzazione del Paese. Oggi, la Bielorussia è un posto dove Putin può mettere e probabilmente avrà già messo gli ordigni nucleari, certamente con una direzione e un obiettivo, ma tornerò sulla Bielorussia.
Zelensky, poi, diceva in questa intervista - chi vuole andare su RaiPlay, la può ascoltare -: siamo già assuefatti, la gente si abitua alla guerra, ci si è abituati al fatto che migliaia di bambini ucraini siano stati deportati - ricordo che alla Corte penale internazionale de L'Aja Putin è imputato per questo specifico crimine, oltre che per altri: la deportazione dei bambini -, ma quando la guerra arriva a casa tua è impossibile abituarsi, e inammissibile, altrimenti hai perso, hai perso la guerra, hai perso te stesso, hai perso la casa, hai perso la famiglia e lo stesso discorso vale per l'Europa - dice Zelensky - la guerra può arrivare da voi, perché abbiamo a che fare con Putin e quando la guerra arriverà nessuno sarà pronto.
È uscito nelle settimane scorse, ha fatto notizia, poi è stato in parte ridimensionato, un rapporto delle autorità militari tedesche che prevedevano la possibilità che già nel 2024, attraverso un'iniziale guerra ibrida, Putin arrivasse alla guerra in Europa, perché i Paesi baltici sono un pezzo dell'Unione europea, oltre che della NATO, per cercare di alzare lo scontro con la NATO.
Io credo che queste parole vadano ascoltate. Qui, il punto non è di essere militaristi da una parte e non militaristi dall'altra. Io ho ascoltato le parole riprese da Papa Francesco; che la guerra sia una sconfitta è un'affermazione assolutamente condivisibile, ma non aiutare gli ucraini non sarebbe la fine della guerra, sarebbe probabilmente il presupposto per altre guerre d'invasione da parte di Putin. Lei mi chiede - dice Zelensky - cosa dire a chi la pensa diversamente, penso di dire soltanto questa cosa: a cosa serve rischiare e credere che Putin sia diverso da come lo descrivo io e che la strategia della Russia sia diversa da come sostiene l'Ucraina? A chi dice che non è detto che verrà, a cosa serve rischiare, dico che se non è detto che verrà, non è detto che non verrà. E credo che in queste parole ci sia il senso drammatico della decisione che noi dobbiamo prendere e come +Europa siamo al fianco del Governo sulla continuità nell'impostazione che il Governo Draghi diede di sostegno all'Ucraina.
A questo proposito, voglio riprendere un tema che - lo ricordo al Sottosegretario - abbiamo inserito in una risoluzione comune con Azione, Italia Viva e +Europa, in occasione delle comunicazioni del Ministro Crosetto, risoluzione che aveva il consenso del Governo e che è stata approvata a larghissima maggioranza; mi riferisco al tema del finanziamento, del sostegno all'Ucraina e al tema della confisca delle riserve, in particolare delle riserve monetarie russe, nei Paesi del G7. Questo è un tema, signor Sottosegretario, che io mi auguro che l'Italia possa portare al G7, quello cioè di utilizzare le riserve monetarie, sono, grosso modo, 300 miliardi, nemmeno sufficienti per le previsioni di ricostruzione. Io so che questo è un tema non scontato, registro che Biden, negli Stati Uniti, ha rotto il tabù, perché una delle preoccupazioni europee è sempre stata fin dall'inizio, anche per ragioni legate alle valute, alle monete, ai possibili movimenti delle riserve in generale, che bisogna farlo in modo bilanciato, perché altrimenti sarebbe un rischio per l'euro, che è una moneta forte, e siamo contenti che lo sia, ma non è la moneta di riserva, non è il dollaro.
Ora Biden, anche per sfidare o superare il veto miope al rifinanziamento, e tutto rivolto alla campagna elettorale che i Repubblicani al Congresso stanno facendo, cercando di scambiarlo in particolare con le normative sull'immigrazione - e sarebbe drammatico se da parte americana mancasse il finanziamento: i 50 miliardi europei sono stati una scelta importante, che si è riusciti a fare, superando il veto cinico, minacciato dall'autocrate non liberale Orban, che pure sta nell'Unione europea e non so in quale partito europeo finirà -, però, ha rotto gli indugi; quantomeno, ha squadernato il tema sui tavoli delle Cancellerie e questo tema deve essere messo sul G7, a mio avviso, e anche sui tavoli europei. Mi auguro che l'Italia sia protagonista anche di questo, anche se le riserve presenti in Italia dovrebbero aggirarsi sui 2,5 miliardi.
Le remore che c'erano da parte della Banca centrale europea vanno affrontate e prese sul serio, ma possono essere superate. La decisione di confiscare i beni dello Stato russo congelati all'estero, per destinarli alla ricostruzione dell'Ucraina, non è più rinviabile.
Ci sono profili giuridici, ma c'è un profilo giuridico che riguarda anche la confisca di diritto e di fatto, di impianti e di sussidiarie di grandi aziende occidentali, come Danone, Carlsberg, Exxon, ExxonMobil, Lamedia, JSI, Fortum; sono 103 miliardi di dollari secondo The New York Times gli asset sequestrati e confiscati, gli asset occidentali, scusatemi la semplificazione, confiscati da Putin. L'idea si basa su una dottrina ricompresa nel diritto internazionale, quella delle contromisure: se attuata come risposta a un comportamento illecito altrui, uno Stato leso può avviare una controazione a condizione che sia di carattere pacifico, che osservi il criterio di proporzionalità e rispetti lo ius cogens a tutela dei valori fondamentali. Le contromisure spettano allo Stato che ha subìto le lesioni, ma nel tempo si è affermata una prassi, anche se non condivisa ancora al 100 per cento dai giuristi internazionalisti, sull'esercizio di contromisure da parte dei soggetti terzi, quando gli obblighi violati sono di natura erga omnes, come hanno spiegato benissimo - hanno visitato anche questa Camera, ho avuto modo di incontrarle, anche insieme al presidente Tremonti della Commissione - Olena Halushka e Hanna Hopko, che sono promotrici dell'International Center for Ukrainian victory che si occupa di sensibilizzare a questa mossa.
Certo, c'è da fare la mappatura di questi beni, c'è la proposta della Commissione di investirli e in qualche modo di utilizzare da parte della Commissione europea o i profitti degli investimenti o i proventi di chi detiene queste attività, ma è una soluzione minimalista, quella di usare i proventi di questi fondi. E prima acceleriamo sul fronte delle risorse meglio è, make Russia pay, facciamo che siano i russi a pagare per quello che serve nel sostegno all'Ucraina. Io non ho molto da aggiungere.
In questo capitolo farei ricomprendere anche il sostegno alla resistenza bielorussa all'estero, perché anche i fondi bielorussi sequestrati, non credo che possiamo restituirli a Lukashenko. Io credo che, oggi, andrebbero utilizzati per sostenere chi si oppone a che la Bielorussia diventi un protettorato, com'è, definitivamente, putiniano nel cuore geografico dell'Europa. Su questo, si dice troppo poco; è un dato di fatto, lo ripeto, è un dato di fatto, non ci siamo riusciti, perché era un'altra condizione, ma credo che dobbiamo continuare a difendere l'Europa, difendendo l'Ucraina.
Non è retorica, nessuno auspica che la guerra duri e sia sanguinosa, ma abbiamo il dovere etico e politico, da italiani e da europei, di rispondere alle parole del Presidente Zelensky, pronunciate con passione, ma con simpatia, senza alcuna iattanza; rispondere alla necessità di continuare ad aiutare l'Ucraina a difendersi, perché questo significa difendere l'Europa e creare così l'unica condizione per una pace sostenibile. Non c'è nessuna pace sostenibile nella vittoria del colonialismo imperiale di Putin. Non c'è nessuna pace sostenibile per l'Europa senza un ridimensionamento di Putin in Europa e, magari, anche in Africa, ma ne parliamo un'altra volta. Quindi, daremo, come +Europa, il sostegno a questo provvedimento (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-+Europa, Azione-Popolari Europeisti Riformatori-Renew Europe e Italia Viva-il Centro-Renew Europe).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole De Monte. Ne ha facoltà.
ISABELLA DE MONTE (IV-C-RE). Grazie, Presidente. Sottosegretario, colleghi e colleghe, credo che il diritto di libertà debba appartenere a tutti i popoli. Credo che tutti i popoli abbiano il diritto, ma anche il dovere e la responsabilità di cercare la propria libertà, qualora questa venga perduta. Signor Presidente, lo diceva poco fa anche il collega Della Vedova, è vero, rischiamo concretamente di assuefarci a queste notizie, purtroppo, di uccisione, non solo dei militari, ma anche dei civili ucraini. E, in realtà, tutto questo - lo sappiamo bene - non deve accadere, non dobbiamo assolutamente assuefarci. Dobbiamo combattere, in realtà, affinché tutto questo possa terminare, perché ogni vita persa è una responsabilità di tutti noi e di tutti coloro che devono difendere la libertà, perché difendere la libertà significa difendere la vita.
E poi, la solidarietà. Questo è un principio europeo, la solidarietà tra i popoli. Però non può essere un concetto astratto, doveva essere un concetto assolutamente concreto. E questa concretezza dev'essere espressa attraverso gli strumenti. Oggi, questi strumenti - lo dobbiamo dire - sono le armi che devono essere utilizzate, strumenti che consentano al popolo ucraino di difendere la propria terra e la propria vita, ma anche di pensare un domani, speriamo prossimo, di avviare di nuovo una vita normale. Mi rendo conto che questo argomento è davvero futuristico in questo momento, ma sappiamo bene che una delle offese peggiori che sono state fatte da parte della Russia è anche la distruzione di buona parte del patrimonio culturale, perché questa volontà è ben precisa, cioè distruggere l'identità di un Paese. E quindi, noi, come Italia, avendo, peraltro, un grande patrimonio culturale, siamo già in campo e lo saremo anche per questa prospettiva, che speriamo non sia troppo lontana nel tempo.
Ma dobbiamo anche dirci altrettanto schiettamente che, invece, non supportare l'Ucraina non solo significa non rispettare la libertà di un altro popolo, ma significa, concretamente, purtroppo, consegnare l'Ucraina alla Russia. E a chi dice che l'invasione russa non ci deve riguardare, dobbiamo dire che è importante, invece, ricordare che l'Ucraina sta difendendo anche i confini dell'Unione europea. Altri colleghi l'hanno detto, ma credo sia importante ricordare il rischio concreto - certamente ancora attuale, se ne parlò all'inizio, purtroppo, dell'invasione russa nei confronti dell'Ucraina - che riguarda anche i Paesi baltici. Quindi, anche in questo senso, dobbiamo essere attenti e non possiamo considerare esaurito il rischio solamente nel fatto che ci sia questa guerra in corso.
E poi, se questo non è avvenuto, dobbiamo riconoscerlo, è perché vi è stata una forte azione comune da parte dell'Unione europea: c'è stata, ad esempio, per il regime delle sanzioni; c'è stata anche per il regolamento sulle munizioni. E la questione della compattezza è importante anche nel sostenere la prospettiva dell'ingresso dell'Ucraina nell'Unione europea. Con riferimento a questo, però, non c'è stato un senso di unità, che oggi, sì, abbiamo recuperato, ma che ha avuto un passaggio problematico. Infatti, sappiamo bene che, nel Consiglio europeo di dicembre, in realtà, questa unanimità non è stata espressa, perché vi è stato un veto, sia pure improprio, ma comunque in quel consesso l'Ungheria non si è espressa immediatamente a favore. Fortunatamente, questo passaggio, comunque, è stato risolto la settimana scorsa, nel Consiglio straordinario, con l'avvio e il riconoscimento di questi fondi straordinari proprio per sostenere l'Ucraina nella sua guerra. E, ovviamente, questo è un segnale non soltanto finanziario, ma anche - lo dobbiamo riconoscere - politico.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SERGIO COSTA (ore 18,10)
ISABELLA DE MONTE (IV-C-RE). Però, comunque, c'è ancora qualcuno, anche in quest'Aula, che professa un teorico pacifismo. Ma, Presidente, siamo tutti pacifisti, ci mancherebbe altro, guai se non fosse così. Però, un conto è essere pacifisti e un conto è pretendere, invece, l'assenza delle armi, perché questo significa solamente riconoscere la legge del più forte, significa sostanzialmente dire che chi usurpa ha ragione, significa dire che i crimini di guerra non significano niente. Per me questo non è essere pacifisti, significa un po' abdicare a quel senso di responsabilità, che, invece, noi tutti dobbiamo avere soprattutto quando parliamo di un contesto europeo. E anche in modo molto realistico dobbiamo dirci, però, che questo pacifismo, cioè l'assenza della guerra, invece, è una prospettiva che, magari, non abbiamo nel breve termine. Questo dobbiamo dirlo. E purtroppo i rischi geopolitici si sono anche moltiplicati, se pensiamo alla situazione in Medio Oriente, ma anche alla situazione che si è creata nel Mar Rosso, dove oltretutto vi è un danno anche di carattere commerciale ed economico, perché le navi, per evitare questi rischi, devono circumnavigare l'Africa, se non ritengano di affrontare, appunto, il rischio, con un aumento dei costi e, addirittura, in alcuni casi, trovandosi del tutto fuori luogo e fuori dal tempo consentito per il trasporto di alcune merci che sono naturalmente deperibili. Per cui, dobbiamo tener presente che è giusto e doveroso - quando riteniamo che ci siano questi soprusi e questi attacchi - esserci e dare una risposta come Paese. E lo dobbiamo anche come Paese che ha conosciuto sulla propria pelle la sofferenza delle guerre e che, quindi, non può assolutamente permettersi di girarsi dall'altra parte.
Aggiungo anche un altro aspetto, visto che parliamo di Medio Oriente, e cioè che i droni che Putin utilizza per attaccare l'Ucraina sono forniti dall'Iran, lo Stato etico! Lo Stato etico che, oltre a violare costantemente i diritti fondamentali del popolo, interviene anche nei confronti della guerra che esiste oggi per l'attacco di Hamas nei confronti di Israele, intervenendo di conseguenza anche nel supporto agli Houthi, che stanno minacciando i trasporti nel Mar Rosso. E ne stiamo, purtroppo, vedendo gli effetti, come dicevo, perché il trasporto è diventato, per l'appunto, impraticabile. Quindi abbiamo una situazione, obiettivamente, dal punto di vista geopolitico, molto complicata. Per quello io credo che oggi dobbiamo assolutamente rappresentare un senso di unità, anche parlamentare, cioè dobbiamo dare un segnale al Governo nella sua azione. Noi, come forza politica, abbiamo dimostrato in più occasioni che, quando ci sono dei provvedimenti che devono essere supportati e che noi vogliamo supportare, abbiamo espresso anche un voto favorevole. Non l'abbiamo fatto, magari, in contesti economici, perché riteniamo che il Governo non abbia agito nel modo in cui doveva agire, anche con una prospettiva, magari, più lunga nel tempo, per dare le risposte economico-finanziarie che il Paese si attende. Però, in questo caso, soprattutto quando noi parliamo di politica estera, io credo che noi dobbiamo esprimerci in modo coerente con quanto prevede la nostra Costituzione. E la nostra Costituzione prevede esattamente questo, cioè diritti e libertà fondamentali, quei diritti e quelle libertà che oggi sono negati al popolo ucraino. E poi credo che dobbiamo dare un segnale di forza. E in questo senso noi dobbiamo essere di supporto al Paese, proprio alla Presidenza del Consiglio, al Ministro degli Affari esteri, al Ministro della Difesa, affinché, anche nei contesti internazionali, ci possa essere quella forza e quella determinazione che ci deve essere come Paese che ha alle spalle il proprio Parlamento. Chi pensa di fare qualche cosa di diverso, nel senso di far male al Governo, io credo che faccia male al Paese, perché, in realtà, noi abbiamo bisogno di essere rappresentati nei contesti internazionali nel modo più appropriato.
Concludo con una osservazione che riguarda il tema della difesa, perché il Governo, in alcune occasioni, si è espresso a favore di avere un coordinamento a livello di Esercito, ma non nel senso di pensare ad una prospettiva più forte.
Ecco, io invito, Presidente, tramite lei, il Governo a riflettere, in realtà, su questo aspetto, perché non abbiamo certamente, come detto, una situazione geopolitica tranquilla, ma dobbiamo anche pensare che un'organizzazione a livello europeo ci debba essere anche in questo senso. Più volte credo che siano stati anche manifestati degli studi a proposito della convenienza di avere non solo un coordinamento, ma anche degli eserciti comuni. Mi rendo conto che questo è un momento particolare per parlarne, anche perché stiamo andando verso le elezioni europee, ma, al tempo stesso, dobbiamo tener presente che, a livello di Parlamento europeo, è stata espressa una risoluzione molto determinata e molto forte anche a proposito delle riforme istituzionali che si dovranno attuare nei prossimi anni. Di questo dobbiamo tener conto, anche in maniera parallela, rispetto all'ipotesi di allargamento ulteriore dell'Unione europea. Allora, dobbiamo fare le riforme istituzionali ma pensare anche a quali politiche debbano essere integrate e rafforzate al livello europeo. Ebbene, penso che queste politiche debbano riguardare innanzitutto la politica estera che oggi è chiaramente e largamente in capo agli Stati membri e occorre pensare anche seriamente ad una politica della difesa. Credo che, se procediamo fiduciosi verso questa direzione, allora, come Paese, saremo ancora più compatti. Concludo ribadendo il voto favorevole al provvedimento in discussione (Applausi dei deputati del gruppo Italia Viva-il Centro-Renew Europe).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Maiorano. Ne ha facoltà.
GIOVANNI MAIORANO (FDI). Grazie, Presidente. Signor Sottosegretario, onorevoli colleghi, il decreto-legge in esame, avente ad oggetto la proroga, fino al 31 dicembre 2024, dell'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore dell'Ucraina, rappresenta la volontà del nostro Paese di continuare a sostenere in ogni ambito le autorità, ma, soprattutto, la popolazione ucraina nella sua difesa contro l'invasione russa.
Questo decreto, già approvato al Senato, è composto di due soli articoli. Nell'articolo 1 si prevede appunto la proroga fino al 31 dicembre 2024 dell'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali e equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell'Ucraina, ai sensi dall'articolo 2-bis del decreto-legge del 25 febbraio 2022, n. 14. L'autorizzazione è concessa nei termini e con le modalità stabiliti nella normativa richiamata e previo il necessario atto di indirizzo delle Camere. A tal proposito, si ricorda che l'articolo 2-bis del decreto-legge n. 14 del 2022 autorizza, previo atto di indirizzo delle Camere, la cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari alle autorità governative ucraine in deroga alla legge n. 185 del 9 luglio 1990, agli articoli 310 e 311 del Codice dell'ordinamento militare e alle connesse disposizioni attuative.
L'autorizzazione alla cessione, come tutti sappiamo, era stata già prorogata fino al dicembre 2023 dal decreto-legge n. 185 del 2022, convertito dalla legge n. 8 del 23 gennaio 2023. L'elenco dei mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari, oggetto della cessione, nonché le modalità di realizzazione della stessa, anche ai fini dello scarico contabile, sono definiti con uno o più decreti del Ministro della Difesa, adottati di concerto con i Ministri degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e dell'Economia e delle finanze, i quali, con cadenza trimestrale, riferiscono alle Camere sull'evoluzione della situazione in atto. Facendo riferimento alle cessioni in oggetto sono stati, finora, emanati otto decreti ministeriali: l'ultimo del 19 dicembre 2023, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 29 dicembre successivo. I mezzi, i materiali e gli equipaggiamenti militari, di cui si autorizza la cessione, sono elencati in un allegato cosiddetto classificato, elaborato dallo Stato maggiore della Difesa, che adotta le procedure più rapide per assicurarne la tempestiva consegna.
Per ogni decreto-legge in questione e per ogni pacchetto, così come previsto, il Ministro della Difesa è stato ovviamente audito presso il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, il Copasir. Così come si legge nella relazione tecnica dalla cessione di armi non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, tenuto conto che i materiali e i mezzi oggetto di cessione sono già nelle disponibilità del Ministro della Difesa, mentre eventuali oneri ad essi connessi saranno sostenuti nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente.
La proroga, che oggi andiamo a esaminare e successivamente a votare, rappresenta un passo fondamentale per il Parlamento che dovrebbe sostenere con compattezza, consapevolezza e, soprattutto, con convinzione.
Questa proroga, signor Presidente, va autorizzata non per gloria, non con piacere, ma per dovere e consapevolezza di fare la scelta giusta. Abbiamo il dovere di rimanere responsabili davanti agli impegni assunti nell'ambito delle Nazioni Unite, dell'Unione europea e dell'Alleanza atlantica. Questa proroga va deliberata per raggiungere l'obiettivo di affrontare e risolvere la crisi internazionale attualmente ancora in atto in Ucraina, crisi che, come tutti purtroppo sappiamo, influenza, in maniera concreta, i vari equilibri geopolitici, minando, allo stesso tempo, la nostra stabilità internazionale.
Il conflitto impone all'Italia una scelta di coerenza, una scelta di serietà, una scelta responsabile, una scelta che si traduce necessariamente con il nostro sostegno a Kiev, in linea con gli impegni assunti in sede internazionale. Il nostro sostegno non può cessare, il nostro aiuto deve proseguire con l'invio di armi per aiutare il popolo ucraino a difendersi e a combattere per la propria libertà (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia), a difendersi, mai per attaccare.
Il nostro aiuto è giusto e doveroso, così come la nostra solidarietà e vicinanza verso un popolo che sogna e merita una vita dignitosa, senza più guerra, senza più la Russia e i suoi soldati nelle loro abitazioni e nella loro vita.
Come in più occasioni hanno già ribadito sia il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, sia il nostro Ministro della Difesa, Guido Crosetto, il nostro sostegno all'Ucraina deve rimanere forte e totalmente inalterato. Anche questo pacchetto di equipaggiamenti e sistemi d'arma sono volti solo e soltanto a rafforzare le capacità difensive dell'Ucraina, mi ripeto: mai per attaccare.
Il nostro concetto cardine deve essere quello che, in questa guerra, c'è un aggressore e un aggredito, un Paese che bombarda, ogni giorno, obiettivi civili e militari, provocando morti e feriti; un Paese che ripetutamente viola le norme del diritto internazionale e della Carta ONU; un Paese che non riconosce la sovranità di un popolo, Stato vicino, e che non rispetta il suo popolo così come non rispetta ogni regola di convivenza civile; un Paese che invade ed un Paese che è costretto a difendersi e che non può e non deve rimanere solo.
La situazione è molto complessa, ma fare ora un passo indietro o fermarsi sarebbe un grande errore strategico e politico. Siamo e saremo al fianco dell'Ucraina e delle sue Forze armate, finché non cesseranno gli attacchi russi.
Sosterremo il popolo e le istituzioni ucraine, allo stesso tempo, rafforzando l'impegno diplomatico e le politiche dell'Unione europea per arrivare ad una giusta e sicura pace. Concludo, Presidente. E' vero, ci piacerebbe essere qui sicuramente per parlare di altro, ci piacerebbe parlare e presentare soluzioni in favore degli italiani, delle fasce più deboli, dei pensionati. Ci piacerebbe parlare di Italia e di italiani, ci piacerebbe, certo, ma, prima del nostro piacere, esistono le responsabilità, esiste la coerenza e, soprattutto, esistono la serietà e la responsabilità di mantenere gli impegni presi in sede internazionale. Ma quello di oggi, Presidente, è, comunque, un modo, forse indiretto, di tutelare i cittadini, perché mantenere coerentemente fede agli impegni presi in ambiti internazionali significa sempre e comunque parlare degli interessi della nostra Nazione e degli italiani e, per tutti questi motivi, si propone all'Assemblea l'approvazione del disegno di legge in esame (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Quartini. Ne ha facoltà.
ANDREA QUARTINI (M5S). Grazie, Presidente. Colleghe e colleghi, vorrei iniziare questo dibattito, questo confronto fra noi, citando una poesia di Eugenio Montale, che chiudeva Ossi di seppia, nel 1925, “Non chiederci la parola”, con la seguente quartina: “Non domandarci la formula che mondi possa aprirti, sì qualche storta sillaba e secca come un ramo. Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. Erano tempi cupi, incastrati fra guerre e dittature, una generazione disorientata, non si riconosceva più negli ideali del passato questa generazione. Anche oggi viviamo tempi cupi, fra guerre più vicine, sempre più vicine, ritorno di fantasmi dal passato che si pensavano evaporati, in ambiente sempre più fragile, paura del disastro nucleare, che cancellerebbe tutte le nostre sicurezze e il nostro futuro. Anche noi ci sentiamo spesso disorientati, delusi, ma anche noi possiamo dire, con tutto il fiato che abbiamo nel petto, ciò che non siamo e ciò che non vogliamo: non siamo portatori di morte, non vogliamo la guerra (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
Oggi il Governo chiede di prorogare l'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti, anche militari, a favore dell'Ucraina. Sono convinto che nessuno di coloro che appoggerà questa autorizzazione accetterà di essere definito un portatore di morte e quasi tutti si diranno contrari alle guerre in genere, per poi, con non così sottili distinguo, affermare che questa sia una guerra necessaria per proteggere la sovranità ucraina, per evitare che un dittatore, Putin, si impossessi di terre non sue e imponga la sua legge ad altri Paesi impauriti. Si disquisirà in maniera, più o meno, tecnicamente ineccepibile su quanto e come la nostra Costituzione permetta l'invio di armi, che, a maggioranza, tutti in questo Parlamento, o quasi tutti, sembrano disposti a finanziarie. Ci si appellerà al fatto che le nostre obiezioni sono obiezioni di una risicata minoranza. Si alluderà di sicuro a come, magari, noi potremmo essere definiti filo-putiniani mascherati.
La giusta guerra, la guerra giusta, che nei fatti viene nutrita da anni, riempiendo gli arsenali con sempre maggiori spese in armamenti, in realtà, è arrivata a un punto critico: senza vincitori sul campo, ma tanti vincitori nelle stanze della politica e degli affari e, fra questi, l'esecrabile dittatore. Forse i filo-putiniani sono coloro che inviano armi. La guerra è da sempre un'opportunità per alcuni, quelli che le sanno scegliere, se non, addirittura, preparare in anticipo. Chi perde sono sempre le persone comuni, quelle che davvero spariscono con i loro ricordi, con i loro affetti, con i loro desideri e sogni sotto le bombe, che continuano a cadere su di loro inarrestabili. Noi siamo dalla loro parte, noi siamo accanto alle vere vittime di ogni guerra, quelli che il poeta romanesco Gioacchino Belli definiva li morti de Roma, pesciolini da frittura, umanità inutile, senza importanza. Noi non siamo con chi considera i morti in guerra come una drammatica necessità, un fenomeno collaterale inevitabile in un contesto più ampio. Noi non vogliamo la guerra, nessuna guerra e non vogliamo essere complici di decisioni che alimentino un pensiero e una prassi bellicisti. Mai e in nessun caso. E votare a favore dell'invio di armi è un gesto di guerra. Non lo pensiamo solo noi. I sentimenti prevalenti della popolazione del mondo occidentale sono di condanna della guerra e di solidarietà verso il popolo ucraino, a cui non vanno fatti mancare gli aiuti umanitari.
In contrasto a questo diffuso sentimento popolare contrario alla guerra, i vari Governi, compreso il nostro, si sono affrettati ad alimentare il conflitto, sostenendo lo sforzo bellico dell'Ucraina con finanziamenti, fornitura di armi e materiali bellici e sanzioni economiche alla Federazione Russa, ma i risultati ottenuti sul campo, Presidente, dopo due anni, sono decisamente fallimentari. Le sanzioni economiche sull'economia russa hanno, addirittura, causato un effetto boomerang sulle economie occidentali, a partire dalla crisi energetica, tuttavia sappiamo bene che esistono soggetti che traggono vantaggi enormi, profitti ed extraprofitti: mi riferisco ai fabbricanti e ai trafficanti di armi, con la loro attività lobbistica in seno a istituzioni, a enti pubblici e privati, non privi di conflitti di interesse. Purtroppo queste speculazioni non riguardano solo la guerra in Ucraina, ma anche la guerra di Israele contro Hamas, che, di fatto, è diventata una guerra, un massacro contro il popolo palestinese, con violazione palese dei diritti umanitari.
Il Doomsday clock, l'orologio dell'apocalisse, che, come sappiamo, anticipa la metafora del rischio di catastrofe nucleare, che al momento della sua ideazione, durante la Guerra Fredda, fu fissato convenzionalmente a 7 minuti dalla mezzanotte, cioè dall'olocausto nucleare, tra la fine del 2023 e l'inizio del 2024 è stato spostato a 90 secondi dalla mezzanotte. Anche non paventando il rischio di un disastro nucleare, bisogna considerare che, a fronte dei danni collegati alle guerre, un viraggio concreto e genuino in senso pacifista delle politiche globali porterebbe enormi vantaggi all'umanità, alle Nazioni, agli operatori economici, basti considerare quali effetti potrebbero esserci se i 2.500 miliardi di dollari che vengono spesi in armamenti fossero dirottati e convogliati, piuttosto, sullo sviluppo tecnologico e a un uso pacifico, su investimenti in ambito di protezione civile, su investimenti volti all'istruzione delle masse, volti al miglioramento delle tecniche agricole e all'infrastrutturazione dei Paesi svantaggiati. Simili politiche, in definitiva, avrebbero l'effetto di distribuire la ricchezza su larga fascia della popolazione, riducendo povertà e disuguaglianze. Al contrario, le politiche del riarmo sono appannaggio di pochi appartenenti alle classi dirigenti e alimentano gli squilibri nella distribuzione della ricchezza.
Presidente, conflitti e ricerca di accordi rappresentano un'esigenza costante nella politica internazionale. Pensi che, nel XIII secolo avanti Cristo, nel 1259 avanti Cristo, venne concluso il primo accordo diplomatico fra Stati in contesa. Quali erano gli Stati in contesa? Erano rappresentati dal faraone Ramses II e dal re ittita Hattušili III. Ebbene, la storia ci insegna che, dopo ogni grande conflitto bellico, abbiamo assistito a grandi congressi succedanei, coltivando ogni volta la speranza non solo di tacitare e, ove possibile, soddisfare le varie e spesso contrapposte pretese statuali, ma di dettare una sorta di Costituzione materiale internazionale, la più duratura possibile, in grado di assicurare pace e stabilità. Ciò è avvenuto nei seguenti più importanti torni storici, che certamente tutti conosciamo: alla Guerra dei trent'anni seguirono i Trattati di Vestfalia, alla Guerra di successione spagnola seguirono i Trattati sottoscritti a Utrecht e Rastatt, alla Guerra dei sette anni seguirono i congressi e i Trattati di San Pietroburgo e Parigi. Il Congresso di Vienna si svolse a seguito dell'uragano napoleonico. Alla Grande Guerra seguì la Conferenza di Parigi, alla Seconda guerra mondiale seguì la conferenza di Yalta e tutto quello che sappiamo. Perché questo brevissimo excursus? Quello che mi preme dimostrare è che, come disse Mark Twain, la storia non si ripete, ma fa rima. Poiché è certissimo che prima o poi la guerra in Ucraina finirà con un trattato finale, allora mi chiedo e chiedo a voi perché continuare a inviare armi e soldi, causando ancora ulteriore morte e distruzione. Perché, invece, non adoperarsi fin da subito, ponendo in essere tutte le azioni e iniziative per anticipare tale momento? Questa è la domanda. La guerra in Ucraina finirà con un trattato, perché non negoziarlo subito? Perché non farlo subito, evitando ulteriori morti ed evitando ulteriori distruzioni? Un primo vero passo verso le politiche di pacificazione dovrebbe andare nella direzione di intraprendere serie iniziative diplomatiche volte a intavolare trattati di pace. In tal senso l'Italia potrebbe diventare capofila di un movimento a livello europeo, e soprattutto l'Italia potrebbe diventare promotrice di una maggiore integrazione fra i Paesi dell'Unione europea, che potrebbero porsi quali protagonisti e equilibratori degli scenari politici e geopolitici globali, piuttosto che, come accade oggi, quali soggetti subalterni agli USA nella continua contrapposizione e antagonismo tra questi e la Cina, tra questi e la Russia.
L'Europa deve contribuire alla fine della guerra. Più in generale oggi, piuttosto che nelle circostanze storiche citate, il mondo è in piena anarchia. E, pur auspicando di non potersi configurare un'ennesima guerra costituenda a causa della presenza di circa 30.000 testate nucleari sparse per il mondo, tuttavia ciò non impedisce che si senta come indispensabile, quasi vitale, come in passato, progettare e convocare velocemente un congresso mondiale, evidentemente emancipato dai veti del Consiglio di sicurezza dell'ONU, per il quale forse è maturo il tempo della sua democratizzazione, ovvero di coinvolgere l'umanità intera e rappresentarla. A tale congresso sarebbe utile che partecipassero, oltre ai grandi attori internazionali già noti, Europa, USA, Russia, Cina e India, anche rappresentanti sia del mondo arabo sia dell'Africa sia dell'America iberica. Obiettivo di tale congresso, come in passato, dovrebbe essere occuparsi di appianare le controversie in atto e quelle pronte a deflagrare - per esempio, mi riferisco a Formosa -, ma soprattutto dovrebbe essere capace di formulare i princìpi per il futuro. Insomma, quello che voglio sottolineare è che la decisione di proseguire ad inviare risorse in Ucraina e ultimamente infilarsi militarmente nel Golfo Persico serve solo a distogliere risorse da altri fini, come la sanità, la scuola, gli aiuti umanitari, ritardare, come già detto, l'imprescindibile soluzione diplomatica e, non da ultimo, acuire le tensioni.
Noi tutti in quest'Aula siamo consapevoli di rappresentare uno Stato, l'Italia, che, nonostante l'illusoria prosopopea nazionalista di qualcuno, ha scarsissima influenza nell'area e nell'arena mondiale, sia in termini economici sia politici che militari. Cosicché, se proseguiamo contribuendo ad armare il mondo, invece che a pacificarlo, e nel tempo residuo ad occuparci di treni fermati inopportunamente e di quadri che appaiono e scompaiono, fra un secolo nessun libro di storia dedicherà un solo rigo a noialtri. Viceversa, per storia e tradizione l'Italia può mettere sul piatto una indiscutibile vis storica, culturale e diplomatica, come ho già avuto modo di ricordare in un precedente intervento in quest'Aula. Pensate all'influenza che ebbe Roma non solo nel Mediterraneo - persino la Casa Bianca, o il Campidoglio, degli Stati Uniti sono un retaggio romano - con il diritto, il Rinascimento, il Machiavelli.
In conclusione, mi chiedo, Presidente, perché non osare e avere l'ardire di affermare, come Fantozzi, che “la corazzata Potemkin è una c… pazzesca”, ovvero che l'uso delle armi è pura follia (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Non credete che avrebbe una tale eco nel mondo che, come nel film, susciterebbe miliardi di applausi liberatori?
Mi piacerebbe che tutti in quest'Aula, a prescindere dall'orientamento politico nazionale, cominciassimo ad avvertire dolori intestinali al solo pensiero che i principi relativi alle relazioni internazionali descritti nella Guerra del Peloponneso di 2.500 anni fa siano i medesimi ancora in vigore oggi, nonostante gli innegabili sviluppi della storia, della cultura e della civiltà in genere, con l'affermazione di diritti umani, tutela dei più deboli, dei fragili. Per paura o per interesse di pochi si spendono oltre 2.500 miliardi di dollari all'anno in armi. L'Europa finora ha dato oltre 41 miliardi di euro in armi all'Ucraina e solo 8,3 miliardi in aiuti umanitari. In tutto, l'Occidente ha inviato in 2 anni a Kiev circa 95 miliardi in armi. È osceno, potrei perfino dire, come in un film di Coppola, è stupido, stupido, stupido, pensando a cosa l'umanità potrebbe realizzare in alternativa con importi simili. Ci sono momenti nella storia che richiedono un'accelerazione, Presidente e perché non cominciare proprio noi, oggi, in quest'Aula, affermando tutti insieme con forza: basta armi, tutte le armi compresi - azzardo dire, visti i tempi che corrono - i coltelli da cucina. Questo è il più bel regalo che possiamo fare ai nostri successori.
Consentitemi una battuta nel finale. Potremmo così smentire quella diceria che circola fra gli astronauti, ovvero che la dimostrazione che vi sono forme di vita intelligenti nell'universo deriva dal fatto che non sono mai venute qui (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fassino. Ne ha facoltà.
PIERO FASSINO (PD-IDP). Grazie, Presidente. Come ha ricordato il Sottosegretario in apertura del suo intervento, nella notte Kiev ha subito un durissimo bombardamento che ha prodotto altre distruzioni. Metà città è senza collegamenti energetici ed elettrici, altre vittime hanno pagato l'aggressione russa. È la dimostrazione del fatto che la Russia non sta demordendo e che continua a perseguire l'obiettivo di vincere questa guerra, come fin dall'inizio la Russia ha annunciato e ha praticato.
È una guerra che si trascina da 2 anni, certo, 2 anni di distruzioni, di vittime, di barbarie. Non dimentichiamo il massacro di Bucha e di altre città. È una guerra che ha dissestato gli equilibri internazionali, facendo saltare gli Accordi di Helsinki, facendo maturare una divaricazione, che via via si è allargata, tra l'Occidente e quello che viene chiamato il Global South, determinando l'accelerazione di una condizione di anarchia internazionale che già c'era. Credo che noi non possiamo prescindere da questo contesto nel valutare il conflitto e anche quello che stiamo decidendo.
Certamente, c'è una condizione di stallo militare. Nonostante i molti tentativi, l'esercito ucraino non riesce a recuperare più di tanto del terreno occupato dai russi e i russi, pur avendo una potenza di fuoco molto più grande, stentano ad andare oltre quello che hanno occupato fin qui. Il rischio è una condizione di guerra di trincea che possa continuare ancora per un lungo periodo. Di fronte a questo scenario giustamente ci si pone una domanda.
Se gli amici del MoVimento 5 Stelle permettono, potremmo anche intervenire…
PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia, vi prego.
PIERO FASSINO (PD-IDP). …anche perché vorrei interloquire con l'intervento che il collega Quartini ha fatto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista e del deputato Deidda).
PRESIDENTE. Chiedo scusa, onorevole Fassino, per l'interruzione. Prego.
PIERO FASSINO (PD-IDP). Quindi, è giusto chiedersi, come ci chiediamo tutti, quale sia la via d'uscita dopo due anni di una guerra che rischia di protrarsi senza vincitori né vinti. Qual è la via d'uscita e che cosa si fa per costruire le prospettive di un superamento della guerra e di una soluzione politica? È assolutamente giusto e non è in dubbio il fatto che bisogna non rassegnarsi alla guerra e tentare in ogni modo di trovare una via d'uscita politica. Ieri, il Sottosegretario ha evocato una serie di tentativi che sono in corso, compresa l'evocazione, che è stata fatta da più parti, della convocazione di una conferenza di pace. Però, il problema è: perché la costruzione di una via d'uscita è così difficile? Io penso che si sia sottovalutato un passaggio di questa guerra e di questa crisi che è decisivo ed è la decisione di Putin di annettere i territori occupati.
Fin quando con l'esercito occupi un territorio non tuo e poi si arriva a un negoziato, nel negoziato puoi anche decidere di ritirarti. Invece, quando annetti tu dici: quella cosa lì adesso è mia, è irreversibile il processo di integrazione di questi territori e discutiamo a partire da questo. Tanto è vero che sia Putin, sia il Ministro Lavrov, sia il portavoce Peskov dichiarano che sono pronti a discutere a partire dallo stato di fatto e lo stato di fatto è l'annessione della Crimea, già fatta e addirittura sancita con un referendum organizzato da Mosca, e l'annessione delle due repubbliche del Donbass, Lugansk e Donetsk, in cui i testi scolastici sono i testi russi, il prefisso telefonico è il prefisso russo, i cittadini di quei territori sono a tutti gli effetti considerati cittadini russi e parteciperanno, in quanto tali, alle elezioni presidenziali che ci saranno tra qualche mese. Per Putin quei territori sono a tutti gli effetti parte della Federazione Russa e non ha alcuna intenzione di dismetterli.
Allora, la domanda che pongo - e la pongo, per esempio, all'amico Quartini - è la seguente: questo accordo di pace che si deve perseguire, lo si persegue per arrivare a quali conclusioni? Quali sono le frontiere che noi consideriamo fondamentali? Valgono ancora le frontiere dell'Ucraina del 24 febbraio 2022 o partiamo dall'idea che non valgono più? Perché questa è la questione, questo rende difficile l'attivazione di un negoziato. Putin sostiene infatti che quelle frontiere non valgono più e dice: io ho annesso i territori occupati, quelli sono miei e se volete discutere bisogna ridiscutere di frontiere nuove. Gli ucraini dicono legittimamente: scusate, quello era territorio del nostro Paese. Io vorrei sapere - lo chiedo qui e lo chiedo a voi - qual è il dirigente ucraino che può accettare di andare a sedersi a un tavolo di negoziato sapendo che va lì per firmare un accordo in cui rinuncia a un pezzo del suo Paese. È questa la difficoltà e non dobbiamo far finta che non ci sia. Dopodiché, dicendo tutto questo io non mi rassegno. Penso che dobbiamo lavorare per costruire le condizioni per arrivare a un negoziato (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista) sapendo che questo è il contesto ed è un contesto particolarmente complesso e difficile, perché quello che vuole l'uno è esattamente l'opposto di quello che vuole l'altro e la mediazione non è così agevole e facile come pare a noi in quest'Aula.
Non solo. Infatti, dimentichiamo il motivo per cui Putin ha invaso l'Ucraina. Putin l'ha fatto per molte ragioni ma, essenzialmente, per tre. In primo luogo, per riaffermare un ruolo di potenza della Russia nel momento in cui un crescente bipolarismo Washington-Pechino metteva la Russia nell'angolo.
Quindi, per riaffermare la potenza russa e la potenza si riafferma naturalmente, come ci insegnano i secoli, attraverso le guerre; in secondo luogo, per una cosa che io credo non vada mai sottovalutata, perché nelle classi dirigenti russe - e non solo in Putin - c'è un'idea, cioè hanno la sindrome dell'accerchiamento, c'è la paura di essere accerchiati e di essere accerchiati dall'Occidente, il che la storia conferma perché gli unici rischi che ha corso la Russia alla sua sovranità sono sempre arrivati dall'Occidente, dai Templari a Hitler. Però, il punto è che questa sindrome oggi è infondata, perché da quando è caduto il muro di Berlino non c'è stato alcun atto di ostilità dell'Occidente nei confronti della Russia.
Ricordo che in questo Paese, in un celebrato - forse anche con enfasi eccessiva - vertice a Pratica di Mare si istituì il Consiglio di consultazione NATO-Russia. Non c'è stato un solo atto di ostilità né della NATO né dell'Unione europea nei confronti della Russia dalla caduta del muro di Berlino ad oggi. Allora, questa idea di doversi difendere da un accerchiamento può avere qualche ragione guardando alla storia e ai secoli passati, ma oggi non ne ha nessuna e quella motivazione è del tutto infondata.
Infine, Putin ha scatenato questa guerra per un problema di consenso interno. Va alle elezioni, si presenta come Presidente, si presenta dopo molti mandati, ha un problema di rilegittimazione; è chiaro che invocare la guerra patriottica, come ha invocato, e parlare dell'Ucraina come di un Paese para-nazista, eccetera, eccetera, aiuta a condurre una campagna elettorale che, però, è finalizzata essenzialmente ad accrescere il consenso interno e in nome di questo ha scatenato una guerra, ha disdetto accordi sugli armamenti nucleari, ha messo sotto sopra un equilibrio internazionale, in particolare il rapporto tra Russia e Occidente con quello che questo rappresenta negli equilibri mondiali. Io penso che tutto questo lo dobbiamo vedere e non possiamo, in nome della necessità di una pace che tutti condividiamo, negare e ignorare le dinamiche di questa crisi, le responsabilità di questa crisi ed evitare di arrivare alla fine a pensare che l'aggredito e l'aggressore pari sono, perché questa è una guerra in cui c'è un Paese che è stato aggredito e c'è un Paese che lo ha aggredito.
Quindi, io penso che tutto questo vada tenuto in conto e, dunque, per questo anche sostenere l'Ucraina: intanto perché, come è stato ricordato da altri, l'Ucraina non combatte soltanto per la propria libertà e la propria sovranità ma combatte per una questione di diritto fondamentale che riguarda ciascuno di noi, perché se passa l'idea che sulla base di un atto di forza si manomette l'indipendenza, la sovranità e l'integrità territoriale di un Paese da domani chiunque è legittimato a mettere in campo qualsiasi politica di aggressione e noi non possiamo accettarlo, se davvero crediamo che vadano tutelate e difese la convivenza e la coesistenza nel mondo. Ma poi, proprio se si vuole aprire la strada a una soluzione politica, è fondamentale che l'Ucraina resista, perché se l'Ucraina non resiste e viene travolta non c'è negoziato, non c'è accordo e c'è soltanto la resa e la sconfitta e nel momento in cui c'è il rischio che il Congresso americano non rifinanzi gli aiuti all'Ucraina - e speriamo che non avvenga - c'è una responsabilità ancora maggiore nostra, perché se vogliamo aprire la strada a una soluzione politica è fondamentale ed è prerequisito che non cambino i rapporti di forza sul terreno e che, quindi, l'Ucraina sia messa nella condizione non di invadere la Russia, perché non la può invadere ovviamente, ma di difendere i propri territori, di reggere di fronte all'urto della Russia che, invece, vorrebbe invadere l'Ucraina.
Quindi, chi vuole la pace, chi vuole aprire la strada a un possibile negoziato non può non vedere che oggi è fondamentale garantire che l'Ucraina sia messa nelle condizioni di resistere e difendersi, perché se l'Ucraina resiste, forse si può aprire una prospettiva per una soluzione politica, se l'Ucraina non resiste, non c'è soluzione negoziale, c'è solo la resa e la sconfitta.
E allora il cardinale Zuppi, a cui come sappiamo il Papa ha assegnato un compito di mediazione umanitaria, nel commentare la sua attività ha più volte pronunciato una formula, che io credo debba essere per noi un punto di riferimento. Una pace giusta e sicura, non qualsiasi pace è giusta e sicura.
Nel 1938, quando Chamberlain tornò a Londra dopo aver sottoscritto con Hitler, Mussolini e Daladier il Patto di Monaco, fu accolto all'aeroporto di Londra dai cittadini con i cartelli che lo salutavano come il salvatore della pace. Dieci mesi dopo, Hitler invadeva la Polonia e avviava quella tragedia che noi conosciamo, la seconda guerra mondiale, l'Olocausto, e tutto quello che ha rappresentato. Non qualsiasi pace è giusta in sé. Si è fatto riferimento alla Conferenza di Versailles. La Conferenza di Versailles non fu una pace giusta, tanto è vero che creò le condizioni perché, negli anni successivi, si producesse una crisi drammatica degli equilibri in Europa. Non qualsiasi pace è giusta e sicura. E' giusta e sicura una pace che riconosce il diritto, lo assicura, è una pace condivisa, è una pace in cui ciascuno ha la possibilità di riconoscersi. E allora, certo, dobbiamo lavorare per la pace, ma una pace giusta e sicura. E oggi, spero, per una pace giusta e sicura è fondamentale sostenere l'Ucraina, e fare in modo che l'Ucraina non venga travolta dall'offensiva russa.
Per queste ragioni, noi condividiamo il provvedimento che è stato presentato qui e lo sosterremo con un voto favorevole (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole De Maria. Ne ha facoltà.
ANDREA DE MARIA (PD-IDP). Signor Presidente, colleghi e colleghe, rappresentante del Governo, oggi la Camera è chiamata a confermare la scelta di sostenere la difesa del popolo ucraino contro l'invasione russa, anche attraverso la fornitura di armamenti. Certo, non è un voto che si può dare a cuor leggero. Intanto, perché il dover rinnovare questo impegno significa che la guerra è ancora in corso, con le sue vittime civili, i suoi profughi, i soldati che muoiono, le sofferenze della popolazione dell'Ucraina. E poi per chi come me, nel suo percorso politico, si è battuto tante volte per la pace, per il dialogo, per la soluzione non violenta dei conflitti, questo voto non era e non è facile. Ma non credo ci siano alternative a continuare il sostegno all'Ucraina. Quel Paese si sta difendendo da un'aggressione che ne ha violato la sovranità, esercitando il suo diritto all'autodifesa, secondo quanto previsto dall'articolo 51 dello Statuto delle Nazioni Unite.
Come sappiamo tutti, nell'articolo 11, la nostra Costituzione afferma che l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come strumento di risoluzione delle controversie internazionali. Ebbene, la guerra scatenata da Putin contro l'Ucraina risponde esattamente a quanto scritto in quell'articolo della nostra Costituzione. Viene combattuta per togliere la libertà al popolo ucraino e può risolvere con le armi una controversia internazionale. Con altri colleghi eravamo qui nella scorsa legislatura i giorni dell'invasione russa, quando sembrava imminente la caduta del legittimo Governo ucraino sotto i colpi dell'esercito invasore. In quei giorni, fu un intero popolo che si oppose all'aggressione per difendere la propria indipendenza nazionale. Poi vi erano gli aiuti militari degli Stati Uniti e dell'Unione europea. Allora, l'obiettivo di Putin era imporre un cambio di regime nel Paese. Oggi, fallito quell'obiettivo, il regime russo vuole realizzare l'annessione dei territori ucraini. Peraltro, l'annessione formale del Donbass alla Russia rappresenta un ostacolo molto serio rispetto alle prospettive della riapertura di una trattativa di pace e lo ha ricordato poco fa l'onorevole Fassino.
Se oggi venisse meno il nostro sostegno all'Ucraina, l'aggressione russa avrebbe successo legittimando l'uso della forza al di fuori del diritto internazionale. Una legittimazione che aprirebbe la prospettiva di nuove aggressioni e nuovi conflitti, di cui comprendiamo tutti la pericolosità, se ad esempio venissero coinvolti direttamente i Paesi della NATO. E' stata ricordata, sempre dall'onorevole Fassino, la Conferenza di Monaco.
È stata ricordata, sempre dall'onorevole Fassino, la Conferenza di Monaco. Ricordo che, commentandola, Winston Churchill disse - cito a memoria - “potevate scegliere fra il disonore e la guerra; avete scelto il disonore e avrete la guerra”. Dire questo non vuol dire non essere consapevoli che il conflitto in Donbass era in corso prima dell'invasione, ma sapere che la guerra di Putin al popolo ucraino è stato tutto il contrario della messa in campo di un percorso di dialogo per risolvere quel conflitto e non ha fatto altro che alzare il muro di odio, di fronte alle tantissime vittime civili e militari. In questa guerra sono solo i civili ucraini ad essere colpiti e poi tanti giovani dei due Paesi sono trascinati in guerra e muoiono ogni giorno, giovani che combattono al fronte in condizioni terribili. Peraltro, voglio ribadire qui il nostro sostegno a chi in Russia, subendo la repressione del regime, ancora ha il coraggio di alzare la voce contro la politica di guerra di Putin. È fondamentale, di fronte a tutto questo, che non si rinunci ad ogni sforzo per riaprire una prospettiva di pace. Abbiamo chiesto e chiediamo al Governo italiano un maggiore impegno in questa direzione e crediamo serva un maggiore protagonismo dell'Unione Europea. È vero fino ad ora alcuni tentativi di dialogo venuti dall'Europa - penso anche alle iniziative del Presidente francese Macron - hanno proprio trovato in Putin un'assoluta chiusura. Lo sforzo per la pace e il dialogo, però, non deve venire meno. Dobbiamo avere chiaro, però, che proprio il sostegno alla difesa dell'Ucraina è la condizione perché una trattativa di pace possa aprirsi. Senza aiuti l'Ucraina cadrebbe e da allora non si potrebbe parlare di pace ma della vittoria dell'aggressore.
Nel nostro dibattito parlamentare sento evocare una possibile vittoria di Trump nelle prossime elezioni presidenziali americane che porterebbe alla fine del sostegno all'Ucraina. Si dice, quindi, che il sostegno militare oggi va messo in discussione, perché tanto verrebbe meno domani. Certo l'esito di quelle elezioni sarà fondamentale per il mondo e credo che i rischi di una vittoria di Trump non riguarderebbero solo il contesto della guerra in Ucraina. Ma anche e proprio per questo dall'Unione europea deve venire un segnale chiaro di sostegno a chi contrasta l'aggressione e di difesa dei valori democratici. Senza polemiche retrospettive dobbiamo sapere che i legami tra forze populiste europee, Putin e lo stesso Trump, hanno rappresentato una pagina oscura degli anni che abbiamo alle spalle ed hanno contribuito a rafforzare la politica aggressiva di Putin, come con molta probabilità il ritiro dell'Occidente dall'Afghanistan, che è sembrato quasi una fuga, ha rappresentato un via libera a chi voleva mettere in atto azioni di aggressione in altre aree del mondo. Le due guerre che abbiamo ai nostri confini ed i tanti conflitti locali in corso ci richiamano ad aprire una riflessione sulla fase storica che stiamo vivendo. È evidente che siamo di fronte a un contesto che vede la mancanza di un ordine mondiale in qualche modo stabile, è finito il cosiddetto equilibrio del terrore e della Guerra Fredda e anche la stagione dell'egemonia degli Stati Uniti. A inizio anni Ottanta, quando era in campo un grande movimento per il disarmo - quando ho iniziato a fare politica, ne ho parlato all'inizio di questo intervento - contro l'installazione di nuove armi nucleari all'Est e all'Ovest dell'Europa, Enrico Berlinguer disse: se vuoi la pace prepara la guerra, dicevano certi antenati e, invece, la penso come tutti i pacifisti del mondo, se vuoi la pace, prepara la pace.
Ebbene, dobbiamo interrogarci su come costruire la pace quarant'anni dopo, in un contesto di relazioni internazionali così diverso e che ha subito trasformazioni così rilevanti. Un mondo di pace si costruirà se si troveranno le ragioni di un assetto multilaterale delle relazioni internazionali e si rilancerà il ruolo delle organizzazioni sovranazionali. Non è un obiettivo facile, ma è l'unica strada percorribile, perché una dinamica di guerre e conflitti non porti via via a drammi maggiori e a pericoli sempre crescenti. Se pensiamo anche al conflitto in Ucraina è evidente che nelle opinioni pubbliche del mondo, in tante realtà, le democrazie occidentali sono il nemico e comunque non rappresentano un riferimento positivo.
C'è certo il tema della presenza di regimi autoritari, che esplicitamente negano la credibilità delle istituzioni democratiche, un tratto inquietante della stagione che stiamo vivendo, che non possiamo sottovalutare. Comunque, spetta anche a noi dimostrare che il nostro obiettivo non è esercitare una qualche forma di egemonia, ma promuovere un assetto delle relazioni internazionali basato sulla pace e sul rispetto reciproco. Se pensiamo alla storia dell'Europa questo può essere il messaggio che il nostro continente può mandare al mondo. I popoli europei si sono massacrati per secoli in guerre terribili e come sappiamo bene le due guerre mondiali del secolo scorso sono nate in Europa. Il nostro continente ha trovato la strada della pace e della libertà quando si è unito, non perché un popolo si è imposto sugli altri con la forza delle armi, ma perché i popoli europei si sono riconosciuti tra loro e hanno condiviso la strada della democrazia e del riconoscimento delle diverse culture e identità. Un'Unione europea che rilanci il suo progetto di unità e che metta finalmente in campo una politica di difesa comune è fondamentale se si vuole costruire un nuovo equilibrio globale e fermare la spirale dei conflitti che è in atto. Di fronte alla sfida del COVID, l'Europa ha risposto nel modo giusto, con l'acquisto comune dei vaccini, col sostegno della BCE ai debiti sovrani, con il Next Generation EU. Oggi, di fronte al dramma della guerra nel cuore dell'Europa e alle porte del Mediterraneo, è evidente una difficoltà ad essere in campo con la stessa determinazione ed efficacia. Credo che non sia davvero più rinviabile il salto di qualità di una messa in campo di una politica estera e di difesa comune, che è la condizione anche per promuovere la pace e il dialogo nei luoghi di conflitto, con la giusta autorevolezza e la necessaria forza politica e per garantire la nostra sicurezza rispetto a qualsiasi evoluzione dello scenario internazionale.
Un'Europa capace di mettere in campo un'iniziativa di politica estera più forte ed unitaria e una difesa comune sarebbe anche nelle condizioni di chiedere che si riapra la prospettiva del disarmo e del contrasto alla proliferazione delle armi nucleari che, purtroppo, non è più nell'agenda delle relazioni internazionali. Un'Unione europea che speriamo abbia al più presto l'Ucraina tra i suoi Stati membri. Si sta discutendo ancora dell'opportunità della scelta, presa dopo il crollo del Muro di Berlino e la fine dei regimi del socialismo reale, dell'allargamento ad est dell'Unione europea, ebbene, pensiamo a quanto il quadro europeo sarebbe stato più frammentato, più insicuro e più fragile senza quella scelta lungimirante ed oggi quel processo di allargamento può e deve proseguire. Certo, per farlo, rafforzando nello stesso tempo l'Unione europea, serve una nuova governance delle istituzioni europee, che superi il diritto di veto dei singoli Stati. Insomma, l'Europa è chiamata a un salto di qualità, se vuole essere all'altezza della fase storica che stiamo vivendo ed evitare il rischio di drammatici arretramenti anche rispetto ai risultati raggiunti fino a qui. Le politiche europee per tanti anni hanno diviso il dibattito italiano, penso che oggi dobbiamo avere tutti chiaro che, se si vogliono ricostruire le ragioni di un mondo dove prevalgano le ragioni della pace, se si vuole garantire la difesa dei principi democratici, se si vogliono contrastare la guerra e l'uso della forza al di fuori del diritto internazionale, se si vuole garantire la nostra stessa sicurezza, la priorità che dobbiamo condividere è il rafforzamento delle istituzioni europee e la messa in campo di una politica estera e di difesa comune dell'Unione europea (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fabio Porta. Ne ha facoltà.
FABIO PORTA (PD-IDP). Signor Presidente, signor Sottosegretario, colleghi, preparando questo intervento ricordavo che quasi due anni fa, era il 30 marzo del 2022, intervenivo a Palazzo Madama, al Senato, proprio sul primo decreto del Governo Draghi sull'Ucraina e, oggi, purtroppo, a due anni di distanza, il rumore dei missili - è di stanotte, come è stato ricordato da alcuni colleghi, l'ultimo bollettino di guerra: almeno 4 morti, a seguito di un'ondata di ordigni abbattutasi sulla capitale ucraina; sembra siano stati almeno 64, tra missili e droni, gli ordigni che hanno colpito Kiev -, ancora oggi, quel rumore occupa il pensiero di chi spera nell'avvio di un processo di pace in Ucraina, per far vincere le ragioni della vita e del buonsenso rispetto a quelle delle armi. Nel frattempo, il Cancelliere tedesco, Olaf Scholz, mette al centro dell'agenda del suo viaggio a Washington di questi giorni la questione Ucraina, in un momento di grande incertezza per gli Stati Uniti sul futuro del sostegno di questo Paese a Kiev.
Avremmo voluto vedere un'Unione europea che, all'unisono, così come fece all'inizio di questa guerra, nel periodo che evocavo iniziando questo intervento, assumesse un'iniziativa più forte, più unitaria, per portare la pace in quell'area a noi vicina e cara, ma un'azione così sinergica, purtroppo, non la vediamo da mesi, un'iniziativa diplomatica forte che vada nella direzione di una soluzione giusta e pacifica.
Invece, in questi giorni, in queste ore, piovono ancora bombe sulla capitale dell'Ucraina, con morti e feriti.
Ecco, signor Presidente, oggi, purtroppo, sono ancora validi gli argomenti di due anni fa a sostegno dell'Ucraina contro l'aggressore russo e lo ribadiamo con convinzione, senza rinunciare, però, a spingere il Governo a cercare con tutte le forze strategie adeguate per arrivare a quella pace giusta che restituisca all'aggredito i territori occupati dall'aggressore. Lo abbiamo già affermato poco più di un mese fa, nella risoluzione connessa alla proroga dell'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative ucraine e oggi, cari colleghi, ribadiamo - credo che dovremmo farlo tutti insieme, tutto il Parlamento - la necessità di un ruolo più incisivo dell'Italia e dell'Unione europea sul piano diplomatico, in un contesto atlantico e multilaterale, per arrivare a porre le basi di una pace giusta, duratura, capace di generare sicurezza in tutta l'area.
Signor Presidente, oggi la democrazia globale è in crisi a causa di vari conflitti sullo scenario internazionale e quello dell'Ucraina è fondamentale per il futuro delle nostre democrazie, perché è in gioco il diritto di un Paese ad esistere. Allora, la nostra risposta obbedisce ad un altro diritto che si affaccia sulla scena globale, cioè il diritto emergenziale per il quale siamo chiamati a continuare a non rimanere impassibili di fronte all'aggressione russa verso l'Ucraina, aiutando quest'ultima a difendersi, come abbiamo fatto sin dall'inizio e come dobbiamo continuare a fare, in maniera unitaria e a livello europeo, sul piano politico, militare ed economico, per fare in modo che l'Ucraina possa trovarsi prossimamente - lo speriamo - a un tavolo di trattative ma in condizioni paritarie per negoziare una pace giusta. Il Partito Democratico, in questi due anni, ha mantenuto una linea coerente sul sostegno al popolo ucraino, fin dal primo giorno, quando, lo ricordiamo, nell'incertezza, nello stupore, rispetto a quell'attacco che speravamo o pensavamo non sarebbe mai avvenuto, ci siamo trovati invece ad affrontare un'aggressione brutale di una potenza nucleare come la Russia, nel cuore dell'Europa. Molti di noi immaginavano che Putin sarebbe entrato a Kiev con estrema facilità, viste anche le premesse non migliori del contesto internazionale: il ritiro affrettato dall'Afghanistan, il ritiro dalla Siria, l'isolamento dei curdi, un disimpegno americano che era iniziato con Trump. Invece, come europei abbiamo dato, almeno in quel primo momento, una prova di unità. Lo abbiamo fatto con il Governo Draghi, dando un'immagine di serietà e di credibilità che, come sapete, in politica estera, vale più di mille promesse e di mille parole.
È vero che oggi la situazione sul terreno, a due anni di distanza, è più complicata, c'è una fase di stallo, la controffensiva non ha funzionato come volevano i generali e lo stato maggiore ucraino e anche le sanzioni probabilmente non hanno funzionato fino in fondo, con l'eccezione di sanzioni individuali nei confronti di Mosca e della Russia. Tutto questo, tuttavia, non può essere una scusante, non può essere un elemento che fa venir meno il nostro chiaro sostegno, senza “se” e senza “ma”, lo ripetiamo, a fianco del popolo ucraino che è stato brutalmente aggredito. Di fronte all'aggressione, come sancito dalle convenzioni internazionali e, in particolare, dall'articolo 51, più volte richiamato, della Carta delle Nazioni Unite, l'aggredito ha il diritto-dovere di difendersi, esigendo in tutte le sedi e lottando in tutti i modi per il rispetto della sovranità nazionale che mai, dico mai, può essere oggetto di invasioni o aggressioni arbitrarie. Ecco, in questo senso, secondo questi princìpi, il decreto oggetto della discussione di oggi proroga l'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti a favore dell'Ucraina. Un'autorizzazione - lo ripetiamo, non casualmente, in quest'Aula - concessa nei termini e nelle modalità stabilite dalla normativa richiamata e previo atto di indirizzo delle Camere. Una richiesta che è stata più volte sottolineata dal nostro gruppo parlamentare. Nell'atto votato da questo Parlamento il 10 gennaio 2024, la Camera, in seguito alle comunicazioni del Ministro della Difesa, ha approvato chiare risoluzioni in merito, compresa quella presentata dal nostro gruppo parlamentare, a firma della nostra capogruppo Chiara Braga, nella quale il Partito Democratico ha chiesto, in particolare, al Governo di impegnarsi a sostenere il ruolo dell'Italia in un rinnovato e più incisivo impegno diplomatico e politico dell'Unione europea, in collaborazione con gli alleati NATO in un quadro multilaterale, anche con l'auspicio di poter ospitare una futura conferenza di pace proprio qui a Roma, per mettere in campo tutte le iniziative utili al perseguimento di una pace giusta e sicura. Abbiamo anche chiesto di continuare a garantire pieno sostegno e solidarietà al popolo e alle istituzioni ucraine, mediante tutte le forme di assistenza necessaria, al fine di assicurare quanto previsto dall'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite.
Solidarietà e assistenza attiva, quindi, e sostegno all'autodifesa: ecco quello che noi chiediamo. Voglio dire anche ai colleghi che si sono espressi in maniera differente in quest'Aula che non si tratta affatto di bellicismo, un termine, credo, usato a sproposito, mancando anche di rispetto a coloro che, come me e come la comunità del partito e del gruppo parlamentare che rappresento, si riconoscono pienamente nell'articolo 11 della Costituzione che ripudia la guerra come mezzo di soluzione delle controversie internazionali. Credo che nessuno di noi pensi che la guerra sia il mezzo per risolvere questa controversia ma, con altrettanta coerenza e convinzione, nessuno di noi crede che l'Ucraina non debba esercitare il suo diritto a difendersi e che la comunità internazionale, Europa in primis, non possa aiutare con tutti i mezzi possibili l'eroica resistenza del popolo ucraino. Il sostegno militare e umanitario - non dimentichiamoci l'accoglienza ai tantissimi profughi ucraini nel nostro Paese - deve quindi camminare di pari passo con la ricerca della pace. Le due cose non sono affatto in contraddizione tra di loro, anzi. Serve un'iniziativa diplomatica degna di questo nome, serve che il Governo italiano faccia quello che, come ha candidamente ammesso il nostro Ministro della Difesa, finora non ha mai fatto, cioè determinare l'Europa a farsi carico di un'iniziativa politica, anche per rendere chiaro che quanto sta accadendo oggi, nello stesso Medioriente e nel Mar Rosso, non ci può e non ci deve distogliere dal nostro sostegno all'Ucraina.
Cosa aspettiamo, allora? Aspettiamo le elezioni europee? Aspettiamo le elezioni americane? Sarebbe sbagliato perché, a prescindere dagli equilibri a Strasburgo e dalla posizione degli Stati Uniti, questa guerra è alle porte di casa nostra ed è una guerra contro un Paese candidato all'ingresso nell'Unione europea. Una forte iniziativa politica è necessaria prima che le varie tensioni che hanno trovato la stura dopo l'aggressione all'Ucraina si saldino reciprocamente, dando vita a quella che, amaramente, Papa Francesco ha chiamato la Terza guerra mondiale a pezzi. Già oggi, dal Mar Rosso, passando per l'Africa e arrivando fino all'Indopacifico, si vedono sullo sfondo gli stessi attori, le stesse alleanze, le stesse strategie e finalità, che diventano sempre più convergenti e a tutti noi segnalano un ritardo, un limite, una mancanza dell'Europa.
Vi è, infine, un altro tema. L'Italia quest'anno ha la Presidenza del G7 e in questo consesso credo che abbiamo il dovere di prendere un'iniziativa concreta in direzione di una pace giusta. Dobbiamo costruire le condizioni per discutere di architettura della sicurezza europea. Sarebbe anche interessante sapere cosa pensa in proposito il nostro Governo, visto che la Russia ha fatto saltare tutti i trattati precedenti di non proliferazione delle armi.
Dovremmo capire se c'è un piano italiano dentro il G7 per capire come riaprire un confronto sull'architettura di sicurezza europea e come costruirlo. Il Partito Democratico, nel suo DNA, ha il tema della costruzione europea. Più volte, abbiamo chiesto a un Governo che si è autoproclamato sovranista cosa pensa in proposito. Noi pensiamo che tutte le partite, anche questa, si vincano e che anche gli interessi nazionali si vincano passando dall'Europa. E guardate, noi non ce lo auguriamo, ma se il prossimo anno Donald Trump dovesse vincere le elezioni negli Stati Uniti, si aprirebbe una partita nuova, perché con il noto disimpegno di Trump, dai forum multilaterali e dalla diplomazia multilaterale, sarebbe ancora più difficile cucire in un momento di fragili divisioni come questo. E allora ci vorrà qualcuno che tiene insieme le fila della diplomazia internazionale. E vorremmo sapere, anche in prospettiva del G7, cosa pensa di fare e quali iniziative pensa di mettere in campo il nostro Governo, perché, se Trump ci dovesse lasciare da soli con questa responsabilità, cosa potrebbe fare un'Europa rispetto a una sfida sempre più aggressiva da parte di Putin, che potrebbe anche riguardare gli equilibri nella politica estera europea?
E mi rivolgo, infine, anche a tutta l'Assemblea, rispetto al tema della guerra. Sappiamo tutti, l'ho detto, che l'Italia ripudia la guerra e vogliamo tutti ribadire la nostra coerenza con questo principio. Nessuno di noi pensa neanche lontanamente che l'uso delle armi possa servire come risoluzione dei contenziosi che esistono in questo pianeta. A questo principio, però, ci atteniamo anche votando questo disegno di legge, perché non stiamo alimentando un conflitto con il nostro imperialismo. Al contrario, stiamo aiutando un popolo a difendere il suo territorio, perché questo popolo è stato invaso dai russi. E ho la sensazione, cari colleghi, che nel furore della polemica politica non ci si ricordi sempre una realtà semplice, e cioè che non c'è una guerra tra Ucraina e Russia, ma un'invasione della Russia del territorio dell'Ucraina.
Noi potremmo anche aderire a un pacifismo unilaterale, ma allora dobbiamo essere chiari e sapere che questo eventuale rifiuto a dare le armi agli ucraini per difendersi, significherebbe lasciare via libera a Putin con tutto quello che è stato, a dispregio del diritto internazionale e dei princìpi elementari.
Concludo, ricordando che, un mese fa, la segretaria del nostro partito, Elly Schlein, intervenendo proprio sul voto alla risoluzione sull'Ucraina, confermava con queste parole la determinazione e la coerenza della posizione del nostro partito, del nostro gruppo parlamentare, ribadendo che il Partito Democratico ha votato compattamente la sua risoluzione, in cui c'era tutto quello che ci doveva essere. Abbiamo sostenuto il prosieguo di ogni forma di assistenza al popolo ucraino, necessario alla sua difesa da un'invasione criminale che subisce da due anni a questa parte, ma abbiamo aggiunto, nella stessa risoluzione, una cosa per noi estremamente importante, cioè la richiesta, la necessità di uno sforzo diplomatico dell'Unione europea per riuscire a creare le basi che portino alla cessazione di questo conflitto e a una pace giusta e sicura innanzitutto per l'Ucraina.
Signor Presidente e cari colleghi, aiutiamo allora l'Ucraina, guardando al mondo e a noi stessi per riaffermare il valore della democrazia, che non è un'illustre sconosciuta, ma è quella grande forma di convivenza che è nata proprio dal pensiero politico europeo.
Allora, questo provvedimento - e concludo davvero - è un atto che si inserisce in questo solco, si inserisce nella nostra sincera ricerca di pace e sicurezza, è un contributo alla storia, avendo davanti, con il cuore e la mente, la prospettiva della pace (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche - A.C. 1666)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la Commissione affari esteri, l'onorevole Giangiacomo Calovini.
GIANGIACOMO CALOVINI , Relatore per la III Commissione. Grazie, Presidente. Non ho nulla da aggiungere alla discussione, che è già stata particolarmente articolata, e, pertanto, siamo pronti a passare all'esame delle proposte emendative.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la Commissione difesa, Paolo Bicchielli.
PINO BICCHIELLI, Relatore per la IV Commissione. Grazie, Presidente. Siamo pronti per passare all'esame delle proposte emendative.
PRESIDENTE. Sottosegretario Perego di Cremnago, in rappresentanza del Governo? Vuole replicare? Prendo atto che vi rinuncia.
Sui lavori dell'Assemblea.
PRESIDENTE. Comunico che, a seguito dell'odierna riunione della Conferenza dei capigruppo, è stato convenuto che a partire dalle ore 19,30 della seduta odierna avrà luogo l'esame degli emendamenti e degli ordini del giorno riferiti al disegno di legge n. 1666 - Conversione in legge del decreto-legge 21 dicembre 2023, n. 200, recante disposizioni urgenti per la proroga dell'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell'Ucraina (approvato dal Senato – scadenza: 19 febbraio 2024). Nella seduta di domani, giovedì 8 febbraio, a partire dalle ore 9, avranno luogo le dichiarazioni di voto finale e la votazione finale.
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