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gruppo pace società della cura

26 febbraio 2021

 

LA SOCIETA’ DELLA CURA – FUORI DALL’ECONOMIA DEL PROFITTO

 

IL LAVORO DI ELABORAZIONE DEL GRUPPO PACE-DISARMO-GIUSTIZIA GLOBALE

 

Un’Italia [e un’Europa] non allineata, smilitarizzata e impegnata per la giustizia globale – sintesi del lavoro gruppo Pace – disarmo – giustizia globale a cura di Fabio Alberti

La pandemia ha ulteriormente dimostrato che nessuno si salva da solo. Per uscire dalla crisi sanitaria, come da quella climatica, o delle migrazioni serve un mondo più solidale in cui sulla concorrenza tra le nazioni prevalga la collaborazione. Assistiamo invece alla diffusione di conflitti armati, al ripresentarsi di una nuova guerra fredda e di una nuova corsa agli armamenti. 

La crescita degli armamenti a livello globale e nazionale non comporta, come si vorrebbe far credere, un aumento della sicurezza, al contrario riduce la sicurezza umana e ambientale.  Il nostro esercito si dota di armi d'attacco non di difesa (caccia, portaerei ...). Sicurezza è vivere in pace con tutti i popoli, senza "nemici", con spirito di cooperazione. D’altra parte, la militarizzazione dei territori comporta anche una contrazione della democrazia.

Non basta quindi che il PNRR si occupi di problemi nazionali, ma deve essere inserito in una prospettiva ampia. Pensiamo quindi che nel PNRR, o a fianco del PNRR, debbano essere individuate le politiche estera, del commercio estero e della difesa coerenti con l’obiettivo della tutela e allargamento della pace.

Serve una nuova politica estera italiana e da parte di un’Europa più integrata, che, da una posizione di neutralità tra le grandi potenze, promuova attivamente la collaborazione tra i popoli, la soluzione politica dei conflitti, e persegua la giustizia internazionale a partire dall’abbattimento del divario economico tra i paesi del nord e del sud del mondo che costringe milioni di persone a lasciare il proprio paese.

Per questo occorrerà che le regole e i negoziati (Wto e Commissione europea) per la progressiva  liberalizzazione commerciale, vengano ripensati in dialogo con la società civile e i sindacati: la lezione della pandemia dimostra la necessità di vincolare l'impresa privata e l'iniziativa pubblica alla promozione dei diritti di persone e pianeta. L’Italia operi affinché l’Unione Europea, ma anche i Paesi membri, valutino in modo trasparente e partecipato gli impatti multidimensionali dei trattati commerciali e degli accordi sugli investimenti in trattativa e in essere. L'Unione deve sospendere e rinegoziare, i trattati e le preferenze commerciali e sugli investimenti che impediscono la conversione ecologica e la difesa dei diritti umani e democratici in Europa e nei paesi Partner, a partire dai Paesi Euro-Mediterranei – anche rivedendo gli iniqui accordi di associazione euromediterranei per renderli più equi nei confronti dei paesi della sponda sud -, paesi ACP (Africa Caraibi Pacifico), Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay), in un'ottica di cooperazione e lotta ai cambiamenti climatici.

Va difeso il principio di precauzione vigente in Europa (blocco produzioni e importazioni potenzialmente nocive), e impedita la capacità delle imprese di condizionare le politiche pubbliche, con una moratoria delle clausole e dei tribunali arbitrali inserite nei trattati commerciali e sugli investimenti (ISDS-ICS). A livello multilaterale va rivisto ruolo e funzionamento della Wto, per ricondurre buona parte delle sue competenze attuali sotto l'egida delle Nazioni Unite.

 

Per rendere credibile una politica per la pace occorre che l’Italia firmi subito il Trattato Internazionale per la Proibizione delle Armi Nucleari, liberandosi nel contempo degli ordigni presenti sul nostro territorio, ridefinisca sulla base del principio di neutralità alleanze e accordi militari e non aderisca alle sanzioni economiche unilaterali decise da singoli stati o gruppi di stati.

Occorre favorire la pace e i diritti umani anche riconoscendo lo Stato di Palestina e sostenendo le popolazioni in lotta per i diritti umani e sociali nei propri paesi, con particolare attenzione alla protezione dei Difensori dei diritti umani, anche istituendo una Autorità nazionale indipendente per la tutela dei diritti umani.

Coerentemente si dovranno ridimensionare drasticamente le missioni militari all’estero, mantenendo solo quelle effettivamente finalizzate a proteggere accordi di pace, - che dovrebbero comunque svolgersi sotto comando Onu sotto comando ONU, implementando gli art. 43-48 della Carta della Nazioni Unite - e cancellando in particolare quelle finalizzate al “controllo” delle migrazioni, sostituendole o trasformandole in missioni civili. I fondi risparmiati potranno essere utilizzati per potenziare la cooperazione e gli aiuti allo sviluppo.

In attuazione dell’imperativo dell’art. 11 della Costituzione occorre riorientare il Modello di Difesa verso l’esclusiva difesa del territorio nazionale, potenziando e finanziando inoltre gli strumenti di Difesa Civile Non-armata e Nonviolenta e il Servizio Civile Universale e ridurre la spesa militare, a partire da quella per armamenti offensivi come gli F35 e per sostenere basi militari estere sul nostro territorio, come a Taranto e Vicenza. Occorre quindi rispondere negativamente alle pretese Usa di aumento della spesa militare in ambito Nato.

Occorre fermare la vendita di armi a paesi in conflitto, come l’Arabia Saudita (alla quale la vendita è stata solo parzialmente revocata), o che non rispettano i diritti umani, come Turchia, Egitto e Israele, applicando la legge 185/90 nel suo spirito originario, anche nei confronti dei Paesi alleati, e avviare un processo assistito con finanziamenti pubblici di riconversione dell’industria degli armamenti, come ad esempio nel caso aperto della RWM (controllata italiana, con sede a Ghedi e stabilimento in Sardegna, della tedesca Rheinmetall), verso la produzione di tecnologie innovative ed avanzate per la transizione energetica ed ecologica. Coerentemente non si dovranno utilizzare i fondi del recovery fund per ampliare il settore armamenti come ad esempio il “Polo della difesa” di Torino.

Occorre infine un forte investimento nella formazione alla pace, alla nonviolenza e ai diritti umani, nelle scuole, dove invece va evitato che faccia proselitismo l’esercito, e nel servizio pubblico radiotelevisivo. Andrebbe inoltre istituita una giornata del ricordo delle vittime del colonialismo.

 

 

Dopo la recente disdetta del Trattato INF (Forze Nucleari Intermedie) siglato nel 1987

Ammodernamento delle atomiche tattiche USA in Europa e (possibile) ritorno degli euromissili – scheda a cura di Alfonso Navarra, Disarmisti esigenti

Milano 17 febbraio 2021

La politica nucleare della NATO è bene studiarla innanzitutto sul sito ufficiale dell’Alleanza: https://www.nato.int/

In particolare si segnalano i due articoli recenti in materia di “dissuasione nucleare”: “Nuclear deterrence today”, dell’8 giugno 2020 (https://www.nato.int/docu/review/articles/2020/06/08/nuclear-deterrence-today/index.html); e "European security without the INF Treaty", del 30 settembre 2019.

L’impianto fondamentale di tale politica è contenuto nel “Concetto strategico” in vigore – adottato nel vertice di Lisbona del 2010 (il testo tra le pubblicazioni NATO al seguente link: https://www.nato.int/cps/en/natohq/topics_82705.htm). La posizione che la NATO è una alleanza nucleare “finché esisteranno le armi nucleari” è stata sempre ribadita e sottolineata in questi anni dai governi membri in tutte le sedi internazionali ed è alla base del rigetto (praticamente un veto ad ad aderirvi), del nuovo Trattato di proibizione delle armi nucleari, adottato in una Conferenza ONU il 7 luglio 2017; ed entrato in vigore, dopo la 50esima ratifica (+90 giorni), il 22 gennaio 2021. La NATO, dopo più di 10 anni, sta ora andando verso un nuovo Concetto strategico, da approvare questo anno, e nulla fa pensare (si vedano gli articoli sopra citati) che il ruolo essenziale della deterrenza nucleare verrà abbandonato. Piuttosto verrà riformulato adattandolo alle nuove esigenze della “guerra cibernetica”, che verranno focalizzate con il nuovo Concetto strategico.

Le bombe nucleari USA per la condivisione nucleare NATO, oggi appartenenti alla categoria delle armi “tattiche”, ufficialmente in numero imprecisato (ed è bene rifarsi a questa condizione del segreto militare vigente, certa e dichiarata, ad esempio in risposte a precise interrogazioni parlamentari; e non a studi “dietrologici”, per quanto approfonditi e plausibili), sono attualmente presenti in sei basi europee: Kleine Brogel, (Belgio); Büchel, Germania; Volkel, Olanda; Incirlik, Turchia; Aviano e Ghedi (Italia).

(In “circostanze straordinarie”, testate nucleari possono anche essere trasportate a bordo dei natanti “strategici” della VI Flotta USA, con comando a Napoli, che attraccano nei porti ufficialmente “a rischio nucleare”. In Italia tali porti sono: Augusta, Brindisi, Cagliari, Castellammare di Stabia, Gaeta, La Spezia, Livorno, Napoli, Taranto, Trieste, Venezia. L’elenco è contenuto nella versione integrale documento della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Protezione Civile del luglio 1996 intitolato "Piano nazionale delle misure protettive contro le emergenze radiologiche").

Tali bombe nucleari tattiche, aviotrasportate e destinate ad essere eventualmente usate per un conflitto limitato al Vecchio Continente (la guerra nucleare “di teatro” prevede diverse tappe programmate di escalation), erano state dislocate a centinaia nel 1979, in piena guerra fredda, e sono rimaste a rappresentare l’impegno statunitense a difendere l’Europa dalla “minaccia russa” che, nell’ottica NATO, sarebbe subentrata a quella sovietica.

L’Italia è forse il paese più ingaggiato nella dimensione nucleare dell’Alleanza. La “condivisione nucleare”, è bene ricordarlo, è orientata sull’adozione di una dottrina di “first use” dell’arma atomica. Questa dottrina era stata elaborata in tempo di superiorità convenzionale sovietica nel teatro europeo ma non è stata dismessa dalla NATO, nonostante Joschka Fischer, allora ministro degli esteri della Germania, prima del vertice del 50ennale (1999) ne avesse proposto l’abolizione. (Si legga un articolo del New York Times del 24 novembre 1998 al seguente link: https://www.nytimes.com/1998/11/24/world/germany-irks-us-on-nato-atom-policy.html).

Il sistema per respingere ogni proposta di revisione della strategia nucleare NATO è quello di rifarsi al metodo dell’unanimità per le decisioni: poiché la NATO opera per consenso, tutti gli attuali 30 membri dovrebbero aderire a quello che viene considerato come un cambiamento di politica.

Torniamo alle basi atomiche in Italia. Se quella di Aviano è statunitense, quella di Ghedi è della nostra Aeronautica militare, dotata di cacciabombardieri Tornado IDS del 6º Stormo, che verranno prossimamente sostituiti dai nuovi F-35E Strike Eagle preparati appositamente per il trasporto delle B61. Anzi queste ultime verranno rimpiazzate entro un biennio dalle nuove B61-12, che saranno dotate di un impennaggio di coda per colpire con precisione l’obiettivo e potranno essere lanciate a distanza per evitare all’aereo il fuoco difensivo dalla zona attaccata.

Le nuove B- 61-12 sono state prefigurate sia per le esplosioni al suolo sia in aria con una potenza predeterminabile fra 0,3 e 50 kiloton, consentendo di colpire gli obiettivi con “minori danni collaterali e minore ricaduta radioattiva”, come riferito dagli analisti del Pentagono. La loro evoluzione tecnologica le rende dunque più facilmente utilizzabili aumentando quindi i rischi di un conflitto nucleare.

Per il programma di aggiornamento e potenziamento delle bombe nucleari tattiche B-61, il Pentagono ha previsto una spesa comprensiva tra gli 8 e i 9 miliardi di dollari. Esse potranno essere impiegate oltre che dai cacciabombardieri F-35 ed F-15, anche dagli F-16 e dai bombardieri strategici B-2 di US Air Force, nonché dai velivoli delle aeronautiche militari dei partner NATO. Sempre secondo la National Nuclear Security Administration, la produzione delle B61-12 sarà conclusa negli Stati Uniti d’America entro la fine del 2022. Ai test inaugurali in Nevada delle nuove testate tattiche erano presenti, tra gli altri, i cacciabombardieri F-35A del 32° Stormo dell’Aeronautica italiana di Amendola (Foggia) a conferma dell’intenzione dei vertici della Difesa italiana di assegnare ai costosissimi caccia di quinta generazione anche le funzioni di strike nucleare in ambito NATO.

Il 22 gennaio scorso, in occasione dell’entrata in vigore del Trattato internazionale che proibisce le armi nucleari (sigla TPAN, TPNW in inglese), il ministro degli Affari esteri e della Cooperazione Internazionale Luigi Di Maio ha emesso una nota stampa in cui è stata ribadita la totale subordinazione del nostro paese alle strategie dell’Alleanza Atlantica.  “Pur nutrendo profondo rispetto per le motivazioni dei promotori del Trattato di proibizione delle armi nucleari e dei suoi sostenitori - ha affermato Di Maio - riteniamo che l’obiettivo di un mondo privo di armi nucleari possa essere realisticamente raggiunto solo attraverso un articolato percorso a tappe che tenga conto, oltre che delle considerazioni di carattere umanitario, anche delle esigenze di sicurezza nazionale e stabilità internazionale”.

Al contrario di quanto sostiene Di Maio, la posizione ecopacifista attribuisce le difficoltà dei percorsi di disarmo nucleare a livello internazionale in modo causalmente più diretto allo smantellamento del quadro di dispositivi legati al disarmo multilaterale dovuto alle scelte dell’Amministrazione Trump, con la dissoluzione di Trattati fondamentali come l’INF e il JCPOA e i ritardi sul New START”.

In particolare la disdetta dell’INF (Forze Nucleari Intermedie) potrebbe comportare il “ritorno degli euromissili”: i missili a medio raggio basati a terra, tra 550 e 5.500 Km, proprio quelli che le lotte di Comiso e europee fecero smantellare spingendo Reagan e Gorbachev a firmare lo storico accordo dell’8 dicembre 1987.

Questa categoria di armi nucleari degli anni ’80 comprendeva i missili balistici Pershing 2, schierati in Germania Occidentale, e i “Cruise” lanciati da terra, schierati in Gran Bretagna, Italia (Comiso, appunto), Germania Occidentale, Belgio e Olanda; l’Unione Sovietica si impegnava a eliminare i missili balistici SS-20, schierati sul proprio territorio.

A distanza di una trentina di anni, nel 2014, l’amministrazione Obama ha accusato la Russia di aver sperimentato un missile da crociera della categoria proibita dal Trattato, annunciando che “gli Stati uniti stanno considerando lo spiegamento in Europa di missili con base a terra”. Il piano Obama è stato confermato dalla amministrazione Trump: nell’anno fiscale 2018 il Congresso ha autorizzato il finanziamento di un programma di ricerca e sviluppo di un missile da crociera lanciato da terra da piattaforma mobile su strada. Il piano, con riflesso automatico, viene sostenuto dagli alleati europei della Nato.

Ora bisogna vedere se il nuovo presidente USA Joe Biden intende proseguire su questa strada della corsa agli armamenti nucleari. Le prime sue mosse parlando di un approccio più dialogico in materia di deterrenza (in campagna elettorale ha parlato di “deterrenza passiva”) e di architettura di controllo internazionale delle armi atomiche. Ad esempio pochi giorni fa il NEW START è stato da USA e Russia prorogato prima che tale trattato venisse a scadere. (Si veda Marina Catucci sul Manifesto del 5 febbraio 2021: “New Start, tra Biden e Putin torna il trattato sulle armi nucleari”. Si vada al link: https://ilmanifesto.it/new-start-tra-biden-e-putin-torna-il-trattato-sulle-armi-nucleare-e-stop-sostegno-usa-ai-sauditi/).

La nostra proposta ecopacifista

Il governo italiano e le forze politiche, rifiutando - in nome della nostra Costituzione pacifista - la “condivisione nucleare NATO” nei suoi presupposti dottrinali e nelle sue conseguenze operative, dovrebbero decidere di avviarsi verso la rimozione di queste basi nucleari e delle relative bombe, proprio per la sicurezza del nostro Paese e dell’Europa, operando in sintonia con le finalità non solo del Trattato di Non Proliferazione nucleare, ma anche e soprattutto del recente TPNW- Treaty on the Prohibition of Nuclear Weapons, a cui l’Italia non ha purtroppo aderito.

La NATO è stata dichiarata, alla vigilia del vertice del 70ennale svoltosi a Londra il 3-4 aprile 2019, “in stato di morte cerebrale” dal presidente francese Macron: in questo momento di crisi dell’Alleanza, che riflette la crescente divergenza di interessi economici e geopolitici tra USA ed Europa, un governo espressione dell’interesse di un blocco sociale popolare potrebbe trovare il coraggio di respingere i “concetti strategici” imperniati sull’uso delle armi nucleari; esigere la denuclearizzazione dell’Europa; e muovere autonomamente e unilateralmente a livello nazionale i passi conseguenti in questa direzione. Che poi il legame politico-militare transatlantico possa sopravvivere a questa scelta di denuclearizzazione non è possibile prevederlo: non disponiamo certamente della sfera di cristallo!

(si ringrazia Antonio Mazzeo per avere fornito la base del lavoro con un articolo che riferisce di una recente pubblicazione di uno studio di Kristensen da perte dell’Archivio Disarmo. Si vada su: https://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http%3A%2F%2Fwww.ildialogo.org%2Fnoguerra%2FDisarmoAtomico_1613152044.htm)

 

 

Scheda per “Rete Disarmo-Pace-Giustizia-Diritti”: NMD italiano 1991 - NATO - ONU Elio Pagani- 17.02.2021

Il NMD del 1991 e i suoi effetti

Nel 1991, “terminata” la 1^ Guerra del Golfo cui anche l'Italia partecipò con basi e bombardieri, in corrispondenza con l'introduzione del Nuovo concetto strategico del Pentagono, i Capi di Stato Maggiore della Difesa imposero al Parlamento, che mai lo discusse e lo approvò, il NMD Nuovo Modello di Difesa che introduceva le seguenti novità: - in spregio dell'art.11 della Costituzione, l'Italia si arrogava il diritto di intervenire militarmente ovunque nel mondo ritenesse violati i suoi diritti (e quelli dei Paesi industrializzati); - si superava il concetto dei confini fisici della Patria e si assumeva il concetto di confini elastici, estendibili ove necessario; - al concetto di Pace nella Giustizia (legato alla nostra Costituzione), si sostituiva il concetto di Pace nella Sicurezza; - veniva superata la distinzione tra “Tempo di Pace” e “Tempo di Guerra”, introducendo il concetto di “Tempo uniforme della Prevenzione Attiva”; - assunzione della “Industria della Difesa” come una delle colonne portanti della “Politica di Difesa e Sicurezza”. Il contenuto del NMD fu riversato in norme tra loro separate, tra le quali quella che sospese la Leva sostituendola con Forze Armate professionali e volontarie ( legge 23 agosto 2004, n. 226 ), la adozione di “Libri Bianchi della Difesa” ad esso informati (2002, 2015, 2016, 2017, 2018, 2020), l'acquisizione di capacità di proiezione bellica ben oltre i confini nazionali, la partecipazione a missioni militari italiane oltremare, a missioni multinazionali, a missioni all'estero in ambito ONU, NATO e UE, la partecipazione a guerre e bombardamenti (1999 sulla Ex-Jugoslavia, 2002 in Afghanistan, 2003 in Iraq, 2011 in Libia), ecc.. L'introduzione dei nuovi Concetti strategici mutò anche l'applicabilità di alcune leggi. Il caso più clamoroso è quello della L.185/90 per il controllo e la limitazione dell'export di armi. Questa Legge, approvata nel 1990, all'art. 1 prevede che le esportazioni di armi debbano essere coerenti con la Politica Estera e di difesa italiana. E' evidente che se questa è informata ai concetti del NMD sorge una contraddizione con altre norme presenti nella Legge che vietano la esportazione di armi a paesi in conflitto armato, che violano i diritti umani, ecc.. Se la nostra Politica Estera considera legittima la “difesa” armata dei nostri interessi (o dei nostri alleati) ovunque necessario, coerentemente consegna armamenti a Stati “amici”, che ci aiutano a difendere quegli interessi “minacciati” da altri soggetti. Così si spiega più facilmente il perchè vendiamo armi all'Arabia Saudita, ad Israele, all'Egitto, alla Turchia e così via. Questo non è ciò che volevano i legislatori, e soprattutto il “Movimento contro i mercanti di morte”, ma la legge è del 1990, il NMD del 1991. Così questa norma non è più sufficiente, come dimostrano anche gli esiti di vertenze che denunciavano talune esportazioni come lesive della Legge 185/90. Per bloccare l'export di bombe alla Arabia Saudita è stata necessaria una decisione politica. Occorre dunque puntare su un cambiamento della Politica Estera e di Difesa, chiedere di applicare la Legge non è sufficiente. A ragion di logica, non dovremmo neppure vendere armi agli USA o alla NATO che hanno fatto guerre (anche contro il volere ONU) e svolgono tuttora azioni militari “fuori area”.

La Trasformazione della NATO

Anche la NATO, infatti, non si può più definire “Alleanza difensiva”, poiché, in corrispondenza dei suoi bombardamenti contro la Ex-Jugoslavia, nell'aprile del 1999 introdusse formalmente il superamento dell'Art. 5 del suo Statuto, che obbligava i membri ad intervenire militarmente a difesa del membro aggredito. La NATO autolegittima così le “Operazioni fuori area”, in radicale contrasto col diritto internazionale vigente a partire dalle norme contenute nella Carta delle Nazioni Unite. Da allora la NATO si è autodefinita “Poliziotto del mondo” nonostante fosse solo un “Vigilante del Villaggio Globale”, a difesa di interessi di parte. Così facendo tende ad identificarsi con, e a sostituire di fatto, l'ONU, il quale sì, avrebbe anche compiti di Polizia Internazionale. Ciò è stato possibile grazie ad una situazione internazionale totalmente mutata determinatasi, tra il 1989 e il 1991: superamento del Muro di Berlino e della Guerra Fredda, dissoluzione del Patto di Varsavia (costituitosi, comunque 6 anni dopo la creazione della NATO) e della stessa Unione Sovietica. Gli USA, che sono sempre stati in posizione dominante (militarmente, politicamente e istituzionalmente) all'interno dell'Alleanza Atlantica, nel loro Nuovo Concetto strategico del 1991, si lessero come unica superpotenza rimasta e si proclamarono difensori della libertà e della democrazia nel “Nuovo ordine mondiale”, oltre che del loro “stile di vita”. Un'altra ragione è la netta superiorità militare della NATO, rispetto agli altri soggetti. La NATO è la più potente macchina bellica della Storia umana. Le sue spese militari (ovvero quelle dei suoi 30 membri) sono oltre 15 volte quelle della Russia e quasi 4 volte quelle della Cina (Elaborazioni da fonte SIPRI 2019). Le spese NATO più quelle dei suoi alleati pesano per oltre il 71% della spesa militare mondiale.

L'art. 11 della Costituzione

Così non è più sufficiente chiedere che sia applicato l'art.11 della Costituzione Italiana che nella prima parte, certo, ripudia la Guerra, ma che nella seconda “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”. E' evidente che un conto è cedere sovranità all'ONU, un altro è cederlo alla NATO, una Alleanza che ha assunto le caratteristiche di cui sopra e che tende a sostituirsi all'ONU stessa. Chi ritiene fondamentale essere nella NATO e condividere le sue dottrine, sostiene di rispettare l'art. 11, anche perchè quelle intraprese da e con la NATO sarebbero legittime operazioni di peace-keeping, peace-enforcing, peace-building, di polizia internazionale, missioni di pace, di esportazione della democrazia o operazioni necessitate dal rispetto del principio della “Responsabilità di proteggere”. La NATO, almeno dall'inizio del nuovo millennio sta operando per definire una (nuova) “divisione del lavoro militare” tra l’ONU e gli Stati, basata sulla distinzione tra “peace-keeping” (mantenimento della pace) e “use of force” (uso della forza). In questo modo all’ONU si assegna il compito ancillare di “assistere” gli stati nell’esercitare le loro capacità “muscolari”. Questo non potrebbe accadere perchè la sua seconda parte non deroga affatto alla prima, essendo la guerra ripudiata dalla Carta dell'Onu non meno che dalla nostra Carta costituzionale che nacque nello stesso contesto storico e ideale e che coincide in parte perfino sul piano letterale. Le parole «come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali» del nostro articolo 11 sono infatti riprese dall'articolo 1 della Carta dell'ONU. E la sola eccezione da entrambe ammessa al divieto della guerra è la legittima difesa da un'aggressione in atto, prevista dall'art. 51 della Carta dell'Onu e dall'art. 52 della nostra Costituzione. Non solo: l'art.2, III comma della Carta dell'Onu vieta non soltanto «l'uso», ma anche «la minaccia» dell'uso della forza. Ma purtroppo accade. Di nuovo occorre puntare a una nuova Politica di Difesa, quella che fa a meno della NATO.

L'ONU e l'art. 43 della sua Carta

Occorre anche capire se vi sono ragioni intrinseche alla Carta ONU o alla sua applicazione che permettono di bypassare le norme che vietano la guerra. Gli articoli 1 e 2 della stessa esplicitano il divieto dell’uso della forza, l’obbligo di risolvere pacificamente i conflitti e il primato della competenza ONU in materia di pace e sicurezza. Il sistema di sicurezza collettiva, di cui al Capitolo VII della Carta, fa perno sugli artt. 39 e ss., incluso il ricorso alla forza esercitato direttamente dal Consiglio di sicurezza (art. 42). Questa categoria di azioni coercitive presuppone, però, l'operatività di alcune disposizioni che non hanno mai trovato attuazione anche perché non si è mai implementato l'art.43 che prevede la costituzione di una forza militare a disposizione delle NU in via permanente. Inoltre alla metà del decennio scorso, in ambito ONU sono stati stilati alcuni Rapporti con l'obiettivo di snaturare la logica pacificatrice della Carta: - contengono una arbitraria interpretazione (stravolgimento) dell’art. 51 che ammette solo la legittima difesa “successiva” ad un attacco e non “preventiva” in caso di minaccia; - sanciscono una libertà di azione anche unilaterale degli Stati nel caso ci sia un problema di “protettività” in situazioni in cui è in essere un genocidio o una pulizia etnica; - e coerentemente, non richiamano mai la necessità di implementare gli articoli 42 e 43 della Carta delle NU che sono gli strumenti per far rispettare i principi generali e gli obiettivi statutari enunciati negli articoli 1 e 2 della Carta. Allo stesso modo non si fa cenno alla necessità di abrogare lo scandaloso articolo transitorio (dal 1945) n° 106. L’articolo 43 prevede la costituzione di una forza militare a disposizione delle NU in via permanente. Per rendere questo possibile gli Stati dovrebbero conferire in tutto o in parte le proprie forze armate alle NU. L’articolo 42 prevede che l’ONU possa “intraprendere” e assumere il comando di un’operazione militare per fini che comunque non potranno mai essere di guerra (proscritta dalla Carta come “flagello”) ma di “polizia”, dunque per fini genuinamente umanitari e di giustizia: sono dunque esclusi i bombardamenti e la distruzione di quanto è necessario alla normale vita delle popolazioni. L'implementazione dell'art. 43 rende possibile quella autentica dell’articolo 42, perché mette l’ONU nella condizione di esercitare autorità e poteri autenticamente “sopranazionali”, senza dover delegare altri. Allo stesso modo, in questi rapporti, non si fa cenno alla necessità di abrogare lo scandaloso articolo transitorio (dal 1945) n° 106 che, in attesa della implementazione dell'art. 43, consente azioni militari alle potenze del Consiglio di Sicurezza. In questo modo gli Stati più potenti avanzeranno sempre, con congrua pressione, ”buoni argomenti”, per guadagnarsi “autorizzazioni” o “approvazioni” delle NU, magari strappando Risoluzioni quanto più possibile generiche e ambigue: insomma il timbro NU sul fatto incombente o compiuto. Così, accanto ad operazioni militari esplicitamente non autorizzate (Ex Jugoslavia 1999, Iraq 2003) USA e NATO ne fanno altre grazie a risoluzioni generiche o silenzi ONU (Iraq 1991, Afghanistan 2001 e 2003, Libia 2011, ecc.) Questi Rapporti chiedevano di consentire agli Stati di usare la forza a scopi di ‘pre-emption’, ‘prevention’ e ‘protection’, non più soltanto per autotutela successiva ad attacco armato. Ciò comporta che gli stessi Stati si riapproprino in pieno dell’antico, nefasto “ius ad bellum” che proprio la Carta delle Nazioni Unite aveva loro sottratto. Nei Rapporti del 2004 gli autori proposero anche di cancellare l’intero articolo 47, che dispone per l’istituzione di un Comitato di Stato Maggiore ONU col compito di “1. (…) consigliare e coadiuvare il Consiglio di Sicurezza in tutte le questioni riguardanti le esigenze militari del Consiglio per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, l’impiego e il comando delle forze poste a sua disposizione, la disciplina degli armamenti e l’eventuale disarmo (…).” 3. Il Comitato di Stato Maggiore ha, alle dipendenze del Consiglio di Sicurezza, la responsabilità della direzione strategica di tutte le forze armate messe a disposizione del Consiglio (…)” E’ fin troppo evidente che la proposta di abrogare questo articolo è intesa a castrare definitivamente l’ONU dei suoi attributi di autorità e comando “sopranazionali”, essa è quindi perfettamente strumentale all’intento di demolire il sistema di sicurezza collettiva quale concepito dalla Carta delle NU. Occorre anche qui chiedere sia implementata una nuova linea di Politica Estera e di Difesa: accanto alla richiesta di ridurre le spese militari, si deve chiedere l'implementazione della Carta delle NU, in particolare gli articoli 43 e 47, e l'eliminazione dell'art. 106; nonché si deve chiedere al Governo italiano (e agli altri) di conferire le proprie FF.AA. all'ONU. Queste 3 cose si possono fare subito, mantenendo anche la pressione per democratizzare l’ONU e far progredire l’”ONU dei popoli”, che ha tempi più lunghi.

 

Eserciti, guerre, ambiente e salute: un aspetto centrale trascurato sia dagli ambientalisti che dai pacifisti - a cura di Angelo Baracca

 

Vi è un aspetto centrale delle guerre e delle attività e le produzioni militari che sorprendentemente è trascurato tanto dagli ambientalisti come dai pacifisti. Ovviamente, vengono condannate le devastazioni e le morti provocate dalle guerre, denunciati gli sprechi delle spese e delle produzioni militari, ma raramente si porta l'attenzione, e la denuncia, sull'entità degli impatti di queste attività sull'ambiente, gli sprechi energetici, le emissioni climalteranti, nonché gli effetti collegati ai danni alla salute.

Il tema, se lo si affronta, è molto complesso, i dati disponibili sono carenti. Di seguito pochi cenni per introdurre al problema, e qualche riferimento per approfondire.

E’ stato stimato che il 20% di tutto il degrado ambientale nel mondo è dovuto agli eserciti e alle relative attività militari.

Il solo Pentagono è valutato il 35o consumatore di petrolio al mondo in una graduatoria che include 210 compagnie e Stati: brucia per le sue attività dirette 350.000 barili di petrolio al giorno, fornisce carburante a più di 28.000 veicoli blindati, migliaia di elicotteri, centinaia di aerei da combattimento e bombardieri e vaste flotte di navi militari (con l’eccezione di 80 sommergibili e portaerei che diffondono … inquinamento radioattivo). Secondo il docente di storia delle idee Barry Sanders l’esercito USA, con tutti i mezzi e le operazioni, contribuirebbe da solo ad almeno il 5% delle emissioni di gas serra mondiali.

In tutti gli accordi sul clima, da quello di Kyoto all'Accordo di Parigi, gli USA vengono esonerati dal conteggiare le emissioni del Pentagono e delle attività militari sul clima.

Non si reperiscono dati sull'impatto delle attività dell'Esercito italiano: fa sorridere il progetto "Caserme Verdi". Da anni sono noti (ma i procedimenti giudiziari sono insabbiati) i danni alla salute umana e degli animali, e ovviamente all’ambiente, dei poligoni di tiro in Sardegna, regione che detiene il record di servitù militari in Italia.

Non scordiamo l’uranio depleto, i cui effetti hanno colpito anche i soldati italiani che servirono all’estero: i decessi sono quasi 400. Ovviamente poco si sa sull’aumento di tumori e malattie a danno delle popolazioni vittime degli indiscriminati attacchi militari, e che non hanno canali per ricorrere alla giustizia o ottenere risarcimenti (il Tribunale per la ex Jugoslavia archiviò le denunce contro la NATO). Nella sola Guerra del Golfo del 1991 l’esercito USA esplose 300 tonnellate, disperdendo complessivamente fra 170 e 1.700 tonnellate del metallo tossico e radioattivo, e non ha mai dichiarato le località colpite. Le bonifiche sono praticamente impossibili. La contaminazione è valutata 50 volte maggiore che nei Balcani, ancora oggi i bambini giocano con i reperti (ricordiamo che l’uranio impiega 24.000 anni per dimezzarsi!) ed accusano l’insorgenza di tumori ed altre malattie, e gli effetti si proiettano sugli embrioni e i feti.

Ma l’impatto delle attività militari e delle guerre sull’ambiente e sul clima va ben oltre le emissioni di gas serra. Le attività militari sono responsabili di molte forme di inquinamento e danni alla salute delle popolazioni: dai metalli pesanti per finire all’uranio impoverito, e anche al torio per la sperimentazione di razzi nei poligoni di tiro. Basti ricordare il micidiale agente Orange smodatamente utilizzato dagli USA nella guerra del Vietnam, il quale ancora oggi protrae i suoi effetti devastanti. Non meno grave è l’occupazione di territori sottratti a coltivazioni o altre attività umane utili, e che invece rimangono gravemente e permanentemente contaminati dalle attività militari: il militarismo dei disastri!

Ma a parte l’inquinamento e l’emissione di gas serra, che fine fanno gli armamenti non usati un guerra e diventati obsoleti? Non sono certo “riciclabili” o riutilizzabili in una futura economia circolare: le attività e le produzioni militari spezzano in un modo assolutamente irreversibile, e purtroppo inarrestabile, qualsiasi ciclo naturale. Un esempio eloquente sono i cimiteri di sommergibili nucleari ereditati dalla Guerra Fredda. La crescente produzione di armamenti sempre più sofisticati contenenti materiali tecnologici avanzati lascerà altre eredità ingestibili.

L'esistenza degli armamenti nucleari poi mantiene incombente la minaccia di una guerra nucleare, volontaria o per errore, che, oltre alle vittime dirette e indirette causate dalle radiazioni ionizzanti, genererebbe un cosiddetto “inverno nucleare”, con conseguente collasso dell'agricoltura ed altri sconvolgimenti radicali, carestie, epidemie. Il Bollettino degli Scienziati atomici ci allerta che il richi0 di una guerra nucleare è il più altro dal 1945.

 

Per approfondire

► Neta Crawford, “Pentagon Fuel Use, Climate Change, and the Costs of War”, Boston University, 12 giugno 2019, https://watson.brown.edu/costsofwar/files/cow/imce/papers/2019/Pentagon%20Fuel%20Use,%20Climate%20Change%20and%20the%20Costs%20of%20War%20Final.pdf.

► Rossana De Simone, “Militarismo e cambiamenti climatici, The Elephant in the Room”, Peacelink, 31 ottobre 2019, https://www.peacelink.it/disarmo/a/46982.html.

► Elena Bruess e Joe Snell, “War and the environment: The disturbing and under-researched legacy of depleted uranium weapons”, Bulletin of the Atomic Scientists, https://thebulletin.org/2020/07/war-and-the-environment/.

► Gregorio Piccin, "Vittine dell'uranio impoverito, «Ministero della Difesa responsabile», Manifesto, 1 dicembre 2020,  https://ilmanifesto.it/vittime-delluranio-impoverito-ministero-della-difesa-responsabile/.

► Walter Falgio, “Sardegna: l’invasione militare e chi si oppone”, Bottega del Barbieri, 11 maggio 2020, http://www.labottegadelbarbieri.org/sardegna-linvasione-militare-e-chi-si-oppone/.

► Alessandro Pascolini, "Ancora a 100 secondi dalla fine", Pressenza, 30 gennaio 2021, https://www.pressenza.com/it/2021/01/ancora-a-100-secondi-dalla-fine/.

SCHEDA SARDEGNA  A CURA DI ENNIO CABIDDU

LA SARDEGNA, IN TERMINI DI PRESENZA MILITARE, CONTRIBUISCE PER  OLTRE IL 60 % DEL TOTALE NAZIONALE PUR RAPPRESENTANDO SOLO IL 2% DELLA POPOLAZIONE ITALIANA

SI POTREBBE QUASI DIRE CHE LA SARDEGNA E' UNA ENORME BASE MILITARE CHE TOLLERA LA PRESENZA DELLA POPOLAZIONE CIVILE

I NUMERI PARLANO CHIARO

GLI ETTARI DI TERRITORIO SOTTO VINCOLO DI SERVITU' MILITARE SONO PIU’ DI 35.000

IN OCCASIONE DELLE ESERCITAZIONI VIENE INTERDETTO ALLA NAVIGAZIONE, ALLA PESCA E ALLA SOSTA UNO SPECCHIO DI MARE DI OLTRE 20.000 CHILOMETRI QUADRATI, UNA SUPERFICIE PARI QUASI A QUELLA DELL'INTERA ISOLA.

IN SARDEGNA CI  SONO:
- POLIGONI MISSILISTICI A PERDASDEFOGU
- POLIGONI PER ESERCITAZIONE A FUOCO A CAPO TEULADA
-POLIGONI PER ESERCITAZIONI AEREE A CAPO FRASCA
-AEREOPORTI MILITARI A DECIMOMANNU E A ELMAS

IL POLIGONO DEL SALTO DI QUIRRA-PERDASDEFOGU OCCUPA 12.700 ETTARI ,IL POLIGONO DI TEULADA OCCUPA 7.200 ETTARI E IL POLIGONO NATO DI CAPO FRASCA 1400
IN QUESTI POLIGONI SI SPERIMENTANO  NUOVI SISTEMI DI ARMAMENTO COMPRESI QUELLI AD URANIO IMPOVERITO E TORIO COME BEN NARRATO DALLA ANTROPOLOGA SARDA GIULIA SPADA  FIGLIA DI UNA DELLE TANTE VITTIME DELLA LEUCEMIA CHE RACCONTA ANCHE DELLE MALFORMAZIONI A CARICO DEGLI ANIMALI ALLEVATI NEL SALTO DI QUIRRA.

NELLA BASE  MILITARE DI DECIMOMANNU DI RECENTE E' STATA POSATA LA PRIMA PIETRA, CON LA BENEDIZIONE DEL CAPPELLANO MILITARE , PER UNA SCUOLA DOVE ADDESTRARE GIOVANI DI TUTTA EUROPA ALA GUERRA, IN PARTICOLARE PER DIVENTARE PILOTI DI CACCIABOMBARDIERI.

A PROPOSITO DI BOMBE NON POSSIAMO NON RICORDARE LA PRESENZA IN SARDEGNA DELLA RWM, FILIALE ITALIANA DEL COLOSSO TEDESCO RHEINMETAL DEFENCE CHE NON POTENDO FARLO IN GERMANIA HA PRODOTTO DA NOI BOMBE D'AEREO DA VENDERE ALLA COALIZIONE MILITARE A GUIDA SAUDITA PER BOMBARDARE LO YEMEN IN SPAVALDA VIOLAZIONE DELLA LEGGE 185/90
DOPO ANNI DI DURO IMPEGNO IL MOVIMENTO PACIFISTA E' RIUSCITO A OTTENERE LA REVOCA DELLE LICENZE DI VENDITA MA LA RWM HA DA POCO ANNUNCIATO CHE HA TROVATO UN NUOVO CLIENTE IN UN PAESE EUROPEO.STIAMO CERCANDO DI CAPIRE QUALE E SE SI TRATTA DI UNA COSIDETTA TRIANGOLAZIONE PER AGGIRARE LA LEGGE.
INTANTO ABBIAMO PROPOSTO UN PROGETTO DI RICONVERSIONE DELLA FABBRICA DI BOMBE IN UNA INDUSTRIA AGROALIMENTARE, L'IDEA STA SUSCITANDO INTERESSE MA PER ESSERE REALIZZATA PIU' DELLE RISORSE FINANZIARIE E' NECESSARIA UNA CORAGGIOSA PRESA DI POSIZIONE DELLO STATO ITALIANO CHE COSTRINGA RWM A LASCIARE IL SITO.

IN SARDEGNA NON CI FACCIAMO MANCARE NIENTE E QUINDI ABBIAMO ANCHE DUE PORTI ,CAGLIARI E LA MADDALENA CHE POSSONO FAR SOSTARE UNITA' NAVALI MILITARI A PROPULSIONE NUCLEARE VERE E PROPRIE CENTRALI GALLEGGIANTI CHE RAPPRESENTANO UN PERICOLO MOLTO SOTTOVALUTATO NON SOLO DALLA REGIONE A GUIDA SARDO-LEGHISTA MA ANCHE DA QUASI TUTTI I SINDACI E DA UNA PARTE DEL COMITATO NO SCORIE PRONTI A STRACCIARSI LE VESTI PER IL NUCLEARE CHE ANCORA E' UNA IPOTESI MA ZITTI SUL NUCLEARE CHE INVECE ABBIAMO E NON DA OGGI.

 

Gruppo pace, disarmo, giustizia globale – scheda a cura di Emilia Accomando

Il tema giustizia globale potrebbe sembrare lontano da pace e disarmo ma è invece intrinsecamente attinente. Nel sistema neoliberista in cui viviamo si combattono altre guerre, non solo quelle sui fronti, non solo quelle per supremazie o conquiste di territori, ma altre guerre, infide e sottili, quelle delle Multinazionali che si infiltrano con protervia nella stipula di Trattati di Libero commercio, TTIP, CETA, MERCOSUR, per arricchirsi di nuovi ed enormi profitti. 

 

L’economia di giustizia è anche una economia di pace e si collega strettamente alla questione del clima e delle migrazioni. Dobbiamo pertanto sostenere la necessità di un'etica in economia, i Trattati si legano strettamente con la giustizia globale, sociale ed economica. 

 

La politica del governo con il PNRR persegue un modello anni '80: investimenti a sostegno di grandi imprese, non innovative, filiere lunghe dove rischiano di essere schiacciate le parti in basso mentre sarebbe necessario promuovere un deciso riequilibrio.

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Quali proposte?

Il commercio globale va curato nel senso che si dovranno privilegiare i diritti delle persone per garantire una giustizia sociale e ambientale per mantenere saldo il principio di precauzione, tutelare il lavoro e la salute, l’ambiente e il suolo, l’agroalimentare, i beni comuni, l’acqua e l’aria. Imprescindibile riconoscere regole certe per bloccare i comportamenti predatori delle Multinazionali, il terzo soggetto presente nella stipula dei Trattati, Multinazionali oggi più che mai assetate dai possibili profitti e pronte a citare in giudizio gli Stati che hanno organizzato necessarie misure a favore di noi cittadini. Ai tempi del Coronavirus, per esempio, le lobby farmaceutiche si stanno scatenando anche sui vaccini per garantirsi sostanziosi guadagni, senza però che nessuno metta in discussione la proprietà dei brevetti; su questi temi è ineludibile l’impegno del Governo.

 

 In questa situazione il principio di precauzione resta una delle più efficaci garanzie per i cittadini e va mantenuto a tutti i costi.

Già dal 2019, l’UNCTAD, agenzia delle Nazioni Unite, avvertiva che l’economia era sotto stress, l’aumento dei volumi di scambio internazionali non aveva garantito il superamento delle disuguaglianze, anzi ne aveva generate di nuove, mentre le grandi imprese ne avevano goduto ampiamente. 

 

Solo il principio di precauzione, quel principio per cui gli Stati che lo hanno adottato devono agire a monte per la tutela dei cittadini, è riuscito, almeno in Italia, a tutelare la salute pubblica. Principio contenuto nel Trattato sul funzionamento dell’Europa che autorizza le autorità pubbliche a fermare commerci, import export, produzioni potenzialmente responsabili per un Paese, a monte, prima di qualsiasi importazione, non a valle come nel sistema anglosassone (e solo in caso di tossicità o danni evidenti), principio che va mantenuto e difeso, mentre Stati Uniti, Canada, Brasile non lo riconoscono indicandolo come una misura protezionistica da parte dell’Europa.

 

Un altro devastante elemento presente nei Trattati di Libero commercio è l’attivazione degli ISDS, i Tribunali arbitrali, una sorta di giustizia parallela, studi legali agguerriti pronti a citare in giudizio gli Stati che tutelano i cittadini. In epoca Covid le Multinazionali potrebbero accusare gli Stati di non aver pianificato per tempo le necessarie contromisure, oppure potrebbero portare in giudizio i Governi accusati di aver requisito strutture alberghiere per accogliere i malati, di aver limitato le esportazioni per favorire il mercato interno di prodotti alimentari o farmaceutici, di aver  bloccato i prezzi di medicinali o dei dispositivi sanitari 

Chiediamo pertanto una moratoria sugli ISDS se non una cancellazione dai Trattati, l’uscita dei Paesi dagli accordi sugli investimenti con clausola ISDS, insomma segnaliamo la necessità di dare un senso nuovo alla parola TUTELA, innanzitutto.

 

 

 

 

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