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Diritti dell'Umanità e Carta della Terra: una complementarietà che può portare acqua al mulino del disarmo nucleare (e della preliminare Campagna per l'abolizione delle armi nucleari)

di Alfonso Navarra – Disarmisti Esigenti (www.disarmistiesigenti.org)

La “Dichiarazione dei Diritti dell'Umanità”, ad avviso di chi scrive un decisivo progresso di impostazione culturale del diritto internationale, doveva essere allegata all'accordo di Parigi sul clima (12 dicembre 2015), ma non fu messa ai voti perché l'allora presidente francese François Hollande disgraziatamente la considerò "divisiva".

C'era un riferimento, evidentemente controverso (e contrastato dalle potenze nucleari, di cui fa parte la Francia) alle armi di sterminio di massa che fu oltretutto cassato dal draft.

Ma anche con questo taglio a Parigi si preferì sorvolare su un voto comunque scomodo per concentrarsi sul compromesso che avrebbe portato l'unanimità degli Stati ad aderire all'obiettivo concordato di limitare il riscaldamento globale a +2°C (possibilmente +1,5°C) rispetto ai livelli preindustriali entro fine secolo.

L'iniziativa sulla Dichiarazione, grazie all'ex ministro dell'ambiente francese Corinne Lepage, che ne era la promotrice ed animatrice, però prosegue: è forse possibile oggi qualificarla e rinforzarla ulteriormente nel rapporto con la Carta della Terra, un precedente progetto di presa di posizione etica, che può essere considerato un documento complementare nel suo puntare a costruire una giusta, sostenibile e pacifica società globale, attraverso una responsabilizzazione universale "per il benessere di tutta la famiglia umana, della grande comunità della vita e delle generazioni future".

L’obiettivo dei promotori della “Dichiarazione dei diritti dell'Umanità” è quello di diffonderla e di farla firmare a istituzioni, enti locali, associazioni, ma anche singoli individui. Nel momento in cui avrà raggiunto un numero considerato adeguato di sottoscrizioni, sarà presentata alle Nazioni Unite per chiederne il riconoscimento ufficiale. 

Stiamo parlando di una presa di posizione etico-culturale, senza che questa caratterizzazione voglia essere in qualche modo diminutiva: non quindi di una convenzione giuridica con carattere vincolante per gli Stati che la adottano. Non si pone dunque il problema di sanzionare chi viola i diritti affermati. Però non viene nemmeno escluso che la Dichiarazione debba essere vista come un momento propedeutico per una futura Convenzione giuridica.

Leggiamo sul sito ufficiale https://droitshumanite.fr/DU/: “Questo è un primo passo, come la Dichiarazione dei diritti del fanciullo trent'anni fa, che ha dato origine alla Convenzione sui diritti dell'infanzia vent'anni dopo. Allo stesso modo, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo del 1948 non è che una dichiarazione, ma ha permeato il nostro diritto per mezzo secolo.

Non si tratta, allora, di sostituire i testi esistenti, ma di costruire un testo complementare che stabilisca diritti e doveri che non sono più individuali ma collettivi.

Questa dichiarazione propone tra l'altro di creare un'interdipendenza tra le specie viventi, per garantire il loro diritto all'esistenza e il diritto dell'umanità a vivere in un ambiente sano ed ecologicamente sostenibile”.

La Dichiarazione si fonda sul concetto, incredibilmente non riconosciuto dal diritto internazionale odierno, che tratta solo di Stati, di persone e di popoli, di “umanità”, riprendendo quello di “famiglia umana“, già adottato dalla “Dichiarazione dei diritti umani dell’Onu”, del 10 dicembre 1948.  

Il testo è costituito da 16 articoli basati su quattro principi: la solidarietà tra le generazioni, la dignità dell’uomo, la sopravvivenza dell’umanità, la non-discriminazione in base all’appartenenza a una generazione. Oltre a questo, prevede sei diritti e sei doveri dell’umanità.

La Carta della Terra, chiamata in causa dalla Dichiarazione che focalizza il diritto per tutti a vivere in condizioni di sostenibilità ambientale, si mostra a sua volta consapevole dell'esistenza di un soggetto collettivo umano universale, ma ancora non lo inquadra come fattispecie giuridica.

E' opportuno ricordare che la Carta della Terra, promossa oggi dall'organizzazione non governativa Earth Charter Initiative (si vada sul sito: www.earthcharter.org/ ), ebbe origine nel 1987, quando la Commissione mondiale delle Nazioni Unite su sviluppo e ambiente raccomandò la stesura di una nuova Carta che guidasse la transizione verso lo sviluppo sostenibile. Nel 1992, in occasione del Summit della Terra di Rio de Janeiro, l'allora Segretario Generale Boutros Boutros-Ghali sollecitò nuovamente la stesura della Carta, perchè quanto emerso dalla Conferenza ONU non fu da lui ritenuto adatto. Nel 1994, Maurice Strong e Mikhail Gorbachev, rilanciarono la Carta della Terra come iniziativa della società civile, con l'ausilio del governo olandese.

La stesura della carta avvenne mediante un processo di consultazione mondiale durato 6 anni (1994-2000), sotto la supervisione di una Commissione Carta della Terra indipendente, istituita da Strong e Gorbachev. La Commissione svolge tuttora il ruolo di amministratore del testo della Carta della Terra. Il testo finale della Carta della Terra venne approvato nel marzo 2000 durante il meeting internazionale della Commissione della Terra presso il quartier generale dell'UNESCO, a Parigi ed è appunto l'UNESCO il principale sponsor istituzionale del documento. Il documento tutto sommato non è molto lungo, è diviso in 4 sezioni (definiti pilastri) che enunciano 16 princìpi fondamentali contenenti 61 articoli.

Riepiloghiamo i “4 pilastri”: 1) Rispetto e cura per la Comunità della Vita; 2) Integrità ecologica; 3) Giustizia economica e sociale; 4) Democrazia, nonviolenza e pace.

La Dichiarazione dei diritti dell'Umanità richiama esplicitamente la Carta della Terra, nel punto 5 del preambolo e nel punto 4 si riferisce al processo che da Rio 1992 ha portato a Parigi 2015.

Sia la Dichiarazione dei diritti dell'Umanità sia la Carta della Terra, per molte parti sovrapponibili, dovrebbero logicamente condurre alla proibizione giuridica delle armi nucleari quale passo indispensabile per la loro eliminazione.

Nella Dichiarazione viene affermato il “principio della sopravvivenza” che dovrebbe “garantire la salvaguardia e la tutela dell'Umanità e della Terra”, ovviamente da tutto ciò che li pone a rischio.

Vi è, nella Dichiarazione, l'articolo 9 che parla di “diritto alla pace”: in particolare, “alla risoluzione pacifica delle controversie e alla sicurezza umana, sul piano ambientale, alimentare, sanitario, economico e politico. Tale diritto riguarda, in particolare, la protezione delle generazioni future dal flagello della guerra”.

Questo “principio della sopravvivenza”, messo a rischio dalla guerra, ed in particolare dalla guerra nucleare, che dovrebbe essere assicurato dal “diritto alla pace”, potrebbe essere meglio compreso e specificato con il punto 16 della Carta della Terra, sviluppato entro il “pilastro della democrazia, della nonviolenza e della pace”:

Promuovi una cultura della tolleranza, della non violenza e della pace:

a. Incoraggiando e sostenendo la comprensione reciproca, la solidarietà e la cooperazione tra i popoli, all’interno e fra le nazioni.

b. Attuando strategie ampie per evitare i conflitti violenti ed utilizzando la risoluzione collaborativa dei problemi per gestire e risolvere conflitti ambientali e altre dispute.

c. Smilitarizzando i sistemi di sicurezza nazionale al livello di un atteggiamento di difesa non provocativa e riconvertendo le risorse militari a scopi di pace, compresa la bonifica ambientale.

d. eliminando gli armamenti nucleari, biologici e tossici e le altre armi di distruzione di massa.

e. Assicurandosi che i supporti orbitali e spaziali vengano utilizzati soltanto ai fini della tutela dell’ambiente e della pace.

f . Riconoscendo che la pace è l’insieme creato da relazioni equilibrate ed armoniose con se stessi, con le altre persone, con le altre culture, con le altre vite, con la Terra e con quell’insieme più ampio di cui siamo tutti parte”.

Michail Gorbachev, la ex ministro Lapage, i dirigenti UNESCO, i  promotori del Trattato di proibizione delle armi nucleari, potrebbero, su una base di principi e di obiettivi ampiamente comuni, riflettere su "minaccia nucleare e minaccia climatica", convergenti nel porre a rischio la sopravvivenza della specie e dell'ecosistema globale; ed in particolare su come l'effetto non considerato dell'”inverno nucleare” (così come l'inquinamento radioattivo non era valutato all'alba dell'”era atomica”) trasformi gli ordigni "atomici" in armi di distruzione climatica.

In qualche modo dovremmo far rientrare nel "percorso" ecologico di Parigi quello che a suo tempo Hollande fece espellere in quanto “fuori tema” pacifista: il diritto dell'Umanità al disarmo nucleare, e con una urgenza ed una cogenza che siano all'altezza del livello effettivamente “apocalittico” della minaccia.

L'inverno nucleare è lo scenario, di cui, tra gli altri, fu pioniere il famoso astrofisico Carl Sagan, che, leggiamo su Wikipedia, “conseguirebbe ad una ipotetica guerra termonucleare di estensione mondiale tra potenze, come la Russia, gli Stati Uniti, la Cina, la Francia, la Gran Bretagna e altri paesi in possesso di un arsenale di armamenti atomici dal potenziale distruttivo su scala globale”.

Gruppi di scienziati hanno elaborato nel corso degli anni diverse teorie riguardanti questo fenomeno: si sono basati  innanzitutto sugli effetti riscontrati durante le esplosioni atomiche avvenute a Hiroshima e Nagasaki (in Giappone) sul finire della Seconda Guerra Mondiale, poi sui vari esperimenti nucleari portati a termine da molti stati nel periodo post-bellico e della Guerra fredda; infine sugli effetti collaterali del disastro di Chernobyl.

La guerra nucleare andrebbe a formare, in virtù dei venti, delle particelle di materia carbonizzata, delle polveri radioattive e di qualsiasi altra sostanza in grado di alzarsi nell'aria, una barriera impermeabile ai raggi solari che farebbe crollare le temperature nell'atmosfera. La combinazione tra le temperature gelide, l'oscurità permanente e le radiazioni dovute alle esplosioni atomiche produrrebbero sconvolgimenti climatici tali da pregiudicare la sopravvivenza delle specie animali e vegetali e provocare effetti devastanti anche sullo strato di ozono.

L'inverno nucleare deriverebbe dalla produzione di polveri fini in conseguenza dell'esplosione di testate nucleari su obiettivi civili (e quindi non sui mari o nei deserti come durante i test atomici).

Lo scenario di impiego massiccio delle armi poggia sul fatto che al momento delle esplosioni un moto convettivo (il fungo atomico) trasporta rapidamente tutte le polveri verso strati più alti.

Spiega sempre Wikipedia: “Questo dovrebbe creare una uniforme nube di polvere e cenere radioattiva sospesa nell'aria fra i 1000 e i 2000 metri da terra. La nube accumulerebbe l'energia solare e farebbe salire le temperature degli strati della tropopausa e alta troposfera fino a 80 °C mentre la superficie della Terra rimarrebbe protetta dai raggi solari e si raffredderebbe in media di 40 °C”. Scusate se è poco!

Vi sono anche scenari di impiego più contenuto di armi “atomiche” che vanno sotto il titolo di “guerra nucleare locale”: vedi articolo de Le Scienze (marzo 2010), autori Alan Robock e Owen Brian Toon.

Questo il sottotitolo del pezzo: “Ci si preoccupa dei rapporti tra Stati Uniti e Russia, ma una guerra nucleare regionale tra India e Pakistan potrebbe offuscare il Sole e affamare buona parte dell’umanità”.

Qui la previsione diciamo ottimistica è di solo un miliardo di morti dopo una ventina di anni, a scalare dall'epicentro del conflitto.

Nel 2014 un altro studio su un possibile conflitto nucleare tra India e Pakistan è salito agli onori della cronaca: questo invece è stato pubblicato sulla rivista Earth's Future dell'American Geological Society (AGU).

(si vada alla URL: http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/2013EF000205/full).

Siamo sempre ad uno scambio di 50 missili a testa di 15 kilotoni l'uno ma i morti previsti raddoppiano con l'uso di nuovi modelli: 2 miliardi al posto di uno.

La stessa cifra viene fuori da uno studio dell' International Physicians for the Prevention of Nuclear War (si vada su: http://www.ippnw.org/nuclear-famine.html). Secondo quel lavoro, un conflitto nucleare su piccola scala potrebbe portare ad una diminuzione nella produzione di grano  di almeno il 10% per dieci anni, con picchi che raggiungerebbero il 20% nei momenti peggiori.

Gli ordigni nucleari, se la teoria dell'inverno nucleare fosse pienamente comprovata, potrebbero secondo ogni logica essere inseriti a tutti gli effetti nella categoria delle armi di distruzione climatica: le catastrofi climatiche che possono provocare sono un effetto essenziale del loro impiego.

Arma direttamente climatica non è quindi, ad esempio, solo la tecnologia elettromagnetica usata militarmente per sconvolgere l'ambiente: è proprio l'arma nucleare, che produce onde d'urto, tempeste di fuoco, inquinamento radioattivo ed impatto elettromagnetico; ma, con un impiego relativamente allargato, anche il cosiddetto “inverno nucleare”.

Un attacco nucleare contro la Corea di poche decine di bombe H non farebbe solo milioni di morti subito su un territorio circoscritto: il cambiamento climatico e la destabilizzazione agricola ed ecologica investirebbero un'area molto più ampia (la Cina è vicina!) e nel periodo di un paio di decenni potrebbero causare, come si è visto, centinaia di milioni di morti.

Nel 1976, un'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato una Convenzione internazionale (  Risoluzione 31/72 del 10 dicembre 1976) che ha vietato l'uso militare di tecniche di modifica dell'ambiente che hanno effetti diffusi, duraturi e gravi nel tempo.

Essa è nota come Convenzione ENMOD (Convention on the Prohibition of Military or Any Other Hostile Use of Environmental Modification Techniques), è stata aperta alla firma il 18 maggio 1977 a Ginevra ed è entrata in vigore il 5 ottobre 1978.

L'Italia ha firmato la Convenzione a Ginevra il 18 maggio 1977 e l'ha ratificata con la legge n. 962 del 29 novembre 1980.

(Per il suo testo andare alla URL: http://disarmament.un.org/treaties/t/enmod)

La Convenzione proibisce l'uso militare e ogni altro utilizzo ostile delle tecniche di modifiche ambientali aventi effetti estesi, duraturi o severi.

Il termine “tecniche di modifiche ambientali” si riferisce ad ogni tecnica finalizzata a cambiare – attraverso la manipolazione deliberata dei processi naturali – la dinamica, la composizione e la struttura della Terra, incluse la sua biosfera, litosfera, idrosfera e atmosfera, così come lo spazio esterno.

I criteri per la definizione di tali tecniche non sono definiti nel corpo della Convenzione ma nell'Intesa sull'Articolo I che, riportando quanto emerso in fase negoziale, esplicita i termini:

esteso” come riferibile ad un'area di diverse centinaia di kilometri quadrati;

duraturo” come riconducibile ad un periodo di mesi o di almeno una stagione;

severo” come correlato ad un'azione che provoca danni seri o significativi alla vita umana, naturale alle risorse economiche o altre attività.

I primi due criteri sono valutati con parametri quantitativi e l'ultimo criterio con elementi qualitativi in parte riconducibili al concetto di sviluppo sostenibile.

Il divieto di guerra climatica, ovvero di utilizzo delle tecniche di modifica del clima o di geoingegneria con lo scopo di provocare danni o distruzioni, viene ripreso anche nella Convenzione sulla diversità biologica del 2010.

Vogliamo, dopo queste informazioni, a questo punto cercare il pelo nell'uovo?

La Convenzione ENMOD non tutelerebbe l'ambiente da qualunque danno provocato dalle azioni belliche o ostili ma vieterebbe solo quelle tecniche offensive che trasformano l'ambiente stesso in un'arma, ascrivibili alle tecniche di manipolazione ambientale.

In questo senso non vieterebbe l'uso di armi atomiche per distruggere – che so – Pyong Yang ed altre città coreane. Ma si dovrebbe anche considerare l'eventualità che l'attacco alle città di un Paese piccolo possa essere solo uno schermo che nasconde l'intenzione di provocare modifiche ambientali capaci di disorganizzare e portare alla fame un Paese più grande confinante.

Gli ordigni nucleari capaci di tali effetti potrebbero allora essere considerati proibiti ai sensi della citata Convenzione ENMOD e una conferenza di revisione convocata ad hoc dall'ONU potrebbe avallare un tale sviluppo innovativo del diritto internazionale.

Un'altra strada, che abbiamo ventilato all'inizio di questa riflessione, potrebbe essere quella di considerare, all'interno del percorso dell'accordo per contrastare il riscaldamento globale di Parigi del 12 dicembre 2015, la minaccia nucleare direttamente come una minaccia climatica, non solo un problema collegato alla seconda dalla potenzialità analoga di estinzione della specie umana.

La minaccia nucleare potrebbe essere vista come possibile minaccia climatica diretta, allo stesso modo dell'accumulo di gas serra.

Questo ragionamento costituirebbe un salto di paradigma anche per noi Disarmisti esigenti, che pure abbiamo lavorato sull'intreccio tra le due minacce sia a Parigi, sia a New York che a Bonn, cioé sia nel percorso disarmista che in quello climatico.

Preparare la guerra nucleare significa comunque preparare il più sconvolgente e repentino cataclisma climatico. Potrebbe avvenire non solo come effetto collaterale ma come risultato di una azione intenzionale.

Sembrerebbe quindi opportuno, anzi doveroso, che il percorso ONU delle COP climatiche (ora dalla COP 23 di Bonn si va alla COP 24 a Katowice in Polonia) ne prendesse consapevolezza e si cautelasse dall'inverno nucleare o da quanto altro potesse essere prodotto dalle armi nucleari come alterazione climatica deliberata.

La crisi coreana rende questi discorsi molto concreti per chiunque, nel momento in cui due leader statali – e disgraziatamente non si tratta di una barzelletta – hanno fatto la gara a chi detiene il bottone nucleare più grosso!

Quanto sopra esposto dovrebbe comunque fare riflettere reti come la COALIZIONE PER IL CLIMA, che si sono costituite con l’obiettivo di costruire iniziative e mobilitazioni comuni, nazionali e territoriali, per raggiungere la massima sensibilizzazione possibile sulla lotta ai cambiamenti climatici, allo scopo di salvare il nostro Pianeta.

Se si ha a cuore il futuro dell'ecosistema globale bisogna adoperarsi per eliminare alla radice la minaccia nucleare, che oltretutto, come si è detto, potrebbe essere direttamente minaccia climatica.

Ne consegue la necessità di farsi partner attivo della Campagna ICAN (Abolizione delle armi nucleari), allo stesso modo in cui la Rete ICAN non farebbe male ad occuparsi dell'intreccio tra minaccia nucleare e minaccia climatica e a promuovere un quadro giuridico globale che culturalmente lo contrasti, a partire dalla complementarietà tra Dichiarazione dei diritti dell'Umanità e Carta della Terra.

Non sarebbe affatto fuori tema “ecologista” la richiesta che, al di là delle singole organizzazioni aderenti, la COALIZIONE in quanto tale si facesse addirittura componente di ICAN in Italia, accogliendo l'appello di “SIAMO TUTTI PREMI NOBEL”, lanciato con la conferenza stampa al Senato dell'11 dicembre 2017.

Per quanto riguarda i coordinatori della Coalizione l'impressione – avallata anche da iniziative che si sono prese in comune – è quella di “sfondare una porta aperta”. Il problema è invece quello di coinvolgere le 200 organizzazioni una per una, e l'ostacolo principale, per quello che finora si è potuto riscontrare, non è una contrarietà argomentata, bensì la difficoltà di comunicare con chi ritiene, a torto, che del problema si sta già occupando. Come aveva ragione Socrate a ritenersi il più sapiente perché sapeva di non sapere...

 

LA DICHIARARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL'UMANITÀ

(con osservazioni emendative a cura dei Disarmisti esigenti)

(l'ONU da definire)

ricordando che l'umanità e la natura sono in pericolo e che, in particolare, gli effetti negativi dei cambiamenti climatici, l'accelerazione della perdita di biodiversità, il degrado del suolo e degli oceani costituiscono altrettante violazioni dei diritti fondamentali degli esseri umani e una minaccia per la vita delle generazioni sia presenti che future,

(si potrebbe aggiungere tra i fattori critici minacciosi: l'accumulo di materiale fissile e di inquinamento radioattivo derivanti dalla “deterrenza nucleare”, che potrebbe scatenare una guerra apocalittica persino per incidente, per caso o per errore di calcolo - ndr)

2. constatando che l'estrema gravità della situazione, che suscita preoccupazione nell'umanità intera, impone il riconoscimento di nuovi principi e di nuovi diritti e doveri,

3- ricordando il suo attaccamento ai principi e ai diritti sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, compresa l'uguaglianza tra donne e uomini, e agli obiettivi e ai principi dellla Carta delle Nazioni Unite

4- rammentando la Dichiarazione di Stoccolma sull'ambiente umano del 1972, la Carta mondiale della natura adottata a New York nel 1982, la Dichiarazione di Rio sull'ambiente e lo sviluppo del 1992, le risoluzioni dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite “Dichiarazione del millennio” del 2000 e “Il futuro che vogliamo” del 2012,

5. ricordando che proprio questo rischio è riconosciuto dai soggetti della società civile, e in particolare dalle reti di cittadini, organizzazioni, istituzioni e città nell'ambito della Carta della Terra del 2000,

  1. ricordando che l'umanità, ossia tutti gli individui e le organizzazioni umane, include anche le generazioni passate, presenti e future, e che la continuità dell'umanità si basa su questo legame intergenerazionale,
  1. ribadendo che la Terra, culla dell'umanità, costituisce un insieme interdipendente e che l'esistenza e il futuro dell'umanità sono inscindibili dal suo ambiente naturale,
  1. 8. convinto che i diritti fondamentali degli esseri umani e i doveri di salvaguardia della natura siano intrinsecamente interconnessi, e che sia essenziale preservare l'ambiente in buono stato e fare in modo che la sua qualità migliori,
  1. considerando la particolare responsabilità delle generazioni presenti, e specialmente degli Stati, primi responsabili in materia, ma anche dei popoli, delle organizzazioni intergovernative, delle imprese, specie quelle multinazionali, delle organizzazioni non governative, degli enti locali e dei singoli cittadini, 10. considerando che tale responsabilità particolare configuri degli obblighi nei confronti dell'umanità, e che tali obblighi, come pure i diritti in questo campo, debbano essere applicati attraverso mezzi giusti, democratici, ecologici e pacifici,
  1. 10. ritenendo che il riconoscimento della dignità propria dell'umanità e dei suoi membri costituisca il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo                                                                          proclama i principi, i diritti e i doveri in appresso, e adotta la seguente dichiarazione:

 

  1. I. Principi

 

Articolo 1:

Il principio di responsabilità, equità e solidarietà all'interno delle generazioni e tra di esse impone alla stirpe umana, e in particolare agli Stati, un impegno comune e differenziato per la salvaguardia e la tutela dell'umanità e della Terra.

Articolo 2:

Il principio della dignità dell'umanità e dei suoi membri implica il soddisfacimento delle loro esigenze fondamentali e la tutela dei loro diritti intangibili. Ciascuna generazione garantisce il rispetto di questo principio nel tempo.

Articolo 3:

Il principio di sopravvivenza dell'umanità garantisce la salvaguardia e la tutela dell'umanità e della Terra, mediante attività umane giudiziose e rispettose della natura e in particolare degli esseri viventi, umani e non, e grazie allo sforzo volto a prevenire qualsiasi ripercussione transgenerazionale grave o irreversibile.

(si potrebbe aggiungere: Tale principio esige in primo luogo l'interdizione delle attività che mettono in  pericolo la vita sul Pianeta, a partire dalla ingiustificabile preparazione di guerre cataclismatiche con armi di sterminio di massa)

Articolo 4:

Il principio di non discriminazione in base all'appartenenza a una generazione preserva l'umanità, in special modo le generazioni future, e richiede che le attività o le misure intraprese dalle generazioni presenti non abbiano l'effetto di provocare o di perpetuare un'eccessiva riduzione delle risorse e delle scelte per le generazioni future.

II. Diritti dell'umanità

Articolo 5:

L'umanità, e tutte le specie viventi, hanno diritto di vivere in un ambiente sano ed ecologicamente sostenibile.

Articolo 6:

L'umanità ha diritto a uno sviluppo responsabile, equo, solidale e sostenibile.

Articolo 7:

L'umanità ha diritto alla protezione del patrimonio comune e del suo patrimonio naturale e culturale, sia materiale che immateriale.

Articolo 8:

L'umanità ha diritto alla tutela dei beni comuni, in particolare l'aria, l'acqua e il suolo, e a un accesso universale ed effettivo alle risorse vitali. La trasmissione di tali beni alle generazioni future costituisce un diritto di queste ultime.

Articolo 9:

L'umanità ha diritto alla pace, in particolare alla risoluzione pacifica delle controversie e alla sicurezza umana, sul piano ambientale, alimentare, sanitario, economico e politico. Tale diritto riguarda, in particolare, la protezione delle generazioni future dal flagello della guerra.

(si potrebbe aggiungere quanto già esplicitato nella Carta della Terra: la pace, fondata su una cultura della nonviolenza, si realizza attraverso la smilitarizzazione dei sistemi di sicurezza nazionale a partire dalla proibizione e dall'eliminazione delle armi di sterminio di massa)

Articolo 10:

L'umanità ha diritto a determinare liberamente il proprio destino. Questo diritto è esercitato attraverso la considerazione, nelle scelte collettive, delle esigenze di lungo termine, e specialmente dei ritmi inerenti all'umanità e alla natura.

III. Doveri nei confronti dell'umanità

Articolo 11:

Le generazioni presenti hanno il dovere di assicurare il rispetto dei diritti degli esseri umani e di tutte le specie viventi. Il rispetto dei diritti dell'umanità e dell'uomo, che sono inscindibili, si applica nei confronti delle generazioni successive.

Articolo 12:

Le generazioni presenti, garanti delle risorse, degli equilibri ecologici, del patrimonio comune e del patrimonio naturale, culturale, sia materiale che immateriale, hanno il dovere di garantire che tale lascito sia preservato e utilizzato con giudizio, responsabilità ed equità.

Articolo 13:

Per garantire la sopravvivenza a lungo termine della vita sulla Terra, le generazioni presenti hanno il dovere di compiere ogni sforzo per salvaguardare l'atmosfera e gli equilibri climatici e per evitare

nella misura del possibile gli spostamenti di persone legati a fattori ambientali o, ove tali spostamenti si producano, per assistere e proteggere le persone interessate.

(si potrebbe aggiungere un articolo 13 bis: le generazioni presenti hanno il dovere di evitare che le controversie degenerino in conflitti bellici e soprattutto che la predisposizione di mezzi di difesa si traduca nella più terribile minaccia di sterminio universale)

Articolo 14:

Le generazioni presenti hanno il dovere di orientare il progresso scientifico e tecnico verso la salvaguardia e la salute della specie umana e delle altre specie. A tal fine, esse devono in particolare garantire che l'accesso alle risorse biologiche e genetiche e la loro utilizzazione avvengano nel rispetto della dignità umana, delle conoscenze tradizionali e della biodiversità.

Articolo 15:

Gli Stati, gli altri soggetti e gli attori pubblici e privati hanno il dovere di integrare prospettive di lungo termine e di promuovere uno sviluppo umano e sostenibile. Tale sviluppo, così come i principi, i diritti e i doveri proclamati dalla presente dichiarazione devono essere oggetto di azioni di istruzione, di educazione e di attuazione.

Articolo 16:

Gli Stati hanno il dovere di assicurare l'efficacia dei principi, dei diritti e dei doveri proclamati dalla presente dichiarazione, anche predisponendo meccanismi che consentano di garantire il loro rispetto.

 

A GHEDI IL 20 GENNAIO LA MANIFESTAZIONE PER DIRE NO ALLE GUERRE SI AL DISARMO NUCLEARE

Chi non è bersaglio diretto non si senta al sicuro: in una guerra nucleare i sopravvissuti invidierebbero i morti!

di Alfonso Navarra – resoconto - un punto di vista particolare! - dopo Ghedi 20 gennaio 2018

A Ghedi si è svolta, il 20 gennaio, la manifestazione nazionale per dire “basta guerre, si disarmo nucleare”, indetta dal Forum contro la guerra (www.forumcontrolaguerra.org), con l'adesione di varie realtà, tra le quali i Disarmisti esigenti.

Il corteo ha attraversato la cittadina di circa 19.000 abitanti, si è fermato davanti alla RWM (produce le bombe che l'Arabia Saudita impiega in Yemen) e infine, dopo uno spostamento di 6 Km, si è concluso davanti alla base aerea “Luigi Olivari”, che ospita le B-61 del “nuclear sharing NATO”.

Secondo le informazioni diffuse dalla Federation of American Scientists (il progetto diretto dallo scienziato Hans Kristensen), sarebbero conservate a Ghedi 20 B61-4 dalla potenza variabile dai 45 ai 107 chilotoni (tra 3 e 8 volte più potenti della bomba di Hiroshima).

Tali testate dovrebbero essere sostituite da bombe termonucleari, di nuova generazione B61-12, trasportate dai cacciabombardieri invisibili e net-centrici F35 in assemblaggio presso lo stabilimento di Cameri (No); bombe che non saranno più a gravità ma sganciate dai bombardieri raggiungeranno autonomamente gli obiettivi anche a 80-100 km di distanza.

Non ci si può affatto lamentare della riuscita numera del corteo, visti i tempi che corrono: circa 1.000 attivisti reali, venuti da tutta Italia (anche da Napoli!), protagonisti di una marcia festosa, colorata e composita nelle sue presenze: comitati locali contro la militarizzazione, associazioni pacifiste cattoliche, gruppi no war e nonviolenti, centri sociali, sindacati di base, la lista Potere al Popolo...

Da menzionare la presenza di alcune personalità pacifiste: tra le altre, Claudio Carrara, presidente del MIR, don Fabio Corazzina, di Pax Christi, Vittorio Pallotti, del CDMPI (venuto a diffondere le copie de “La rivoluzione disarmista” di Carlo Cassola con il saggio di commento di Alberto L'Abate), Giuseppe Bruzzone, già obiettore di coscienza al servizio militare (ai tempi in cui la scelta si scontava con la galera), il consigliere regionale del M5S in Piemonte Gianpaolo Andrissi; e la curiosità della partecipazione dello scrittore Aldo Busi.

Per le assenze “brillano” invece tutti i politici locali: nessun (ex) parlamentare bresciano. Nessun esponente di partito che siede nei banchi del consiglio comunale. Del Sindaco, simpatizzante (così mi è stato riferito dai ghedesi) di Casa Pound, nemmeno l'ombra.

Al presidio finale, dopo gli organizzatori – Luigino Beltrami di Donne e Uomini contro la guerra faceva da presentatore - abbiamo preso la parola, tra i primi interventi: il sottoscritto, Alfonso Navarra, ricordando l'adesione dei Disarmisti esigenti anche alla piattaforma contro la guerra, lo scienziato critico Angelo Baracca e Giovanna Pagani, di WILPF Italia, che aveva già parlato davanti alla sede della RWM dichiarando "inaccettabile che lavoratori siano costretti a produrre armi omicide per guadagnare il pane."

Nel mio intervento finale ho citato la paura e la preoccupazione di Papa Francesco (le famose esternazioni sull'aereo in volo verso il Cile) per il possibile scoppio anche incidentale di una guerra “atomica”. Ed ho osservato che essere bersaglio, come i ghedesi, di uno scambio di testate nel contesto della prevista “guerra nucleare limitata in Europa” non esime affatto chi non è bersaglio diretto di uno scambio di colpi nucleare dal ritenersi fuori dal pericolo: se è vero, come è vero, che “i sopravvissuti invidieranno i morti”.

A questo proposito ho citato la testimonianza della sopravvissuta di Hiroshima proprio nel momento in cui è andata a ritirare ad Oslo, lo scorso 10 dicembre, il Premio Nobel per la pace assegnato ad ICAN.

L'orrore che ho visto non si può descrivere. Provo sensi di colpa per non avere capito che molta gente, in preda a sofferenze immani e insopportabili, di fatto mi chiedeva di aiutarla a morire subito”.

Per quanto riguarda più specificamente l'impegno locale della popolazione di Ghedi, ho ricordato l'esigenza, già richiamata in assemblea il 12 gennaio, nella sala consiliare, di un piano di protezione civile contro possibili incidenti nucleari con fuoriuscita di materiale fissile dovuti alla movimentazione delle testate (scontata visti i lavori di adattamento della base alle nuove armi e ai nuovi F-35).

Il mio intervento in quella assemlea, ripreso in parte da Carmine Piccolo, è reperibile su: https://www.facebook.com/100008920740111/videos/1774815556159119/?id=100008920740111

A Ghedi è stato anche distribuito un volantino dei Disarmisti esigenti, sotto riportato, riferentesi alla “Caravan Petrov” della Primavera 2018; e all'incontro internazionale del 19 maggio a Milano, primo anniversario della morte di Stanislav Petrov, su come affrontare e superare a livello globale il rischio nucleare.

APPELLO DEI DISARMISTI ESIGENTI

(www.disarmistiesigenti.org)

progetto e coalizione collegati con ICAN (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons) – premio Nobel per la pace 2017

Esigete! Il disarmo nucleare totale (Stéphane Hessel, ispiratore degli “Indignati” e dei “Disarmisti esigenti”) nella cornice dellaCaravan Petrov” - Primavera 2018 : incontri, proiezioni di docufilm e iniziative a tappe nelle località sedi di infrastrutture della guerra nucleare

19 maggio, primo anniversario della morte di Stanislav Petrov, il colonello dell'ex URSS che, il 26 settembre 1983, salvò il mondo dall'apocalisse nucleare.

INCONTRO INTERNAZIONALE A MILANO:

RISCHIO NUCLEARE: COME USCIRNE?

(Location da stabilire).

Prenotate la partecipazione scrivendo a: coordinamentodisarmisti@gmail.com

Dal 20 gennaio di Ghedi al 19 maggio di Milano

Facenti parte della Campagna ICAN, premio Nobel per la pace 2017, siamo impegnati, in quanto “pacifisti” radicali, obiettori nonviolenti alle spese militari e nucleari, attivi innanzitutto in Italia, contro le guerre neocoloniali dell'Italia.

Sono gli interventi dello “schieramento Occidentale” che, sotto vari cappelli (si porta molto oggi quello della NATO), vengono, dai nostri governi, spacciate come missioni di pace e/o di contrasto al terrorismo e al “traffico criminale” dei migranti.

Tra i loro reali scopi rientra il profitto, tra le altre multinazionali con base in varie nazioni di vecchi e nuovi imperi, delle “italiane” Leonardo ed ENI (il nostro complesso militare-industriale-energetico).

L'ultima della serie è quella che porterà nostre truppe in Niger, ricco di uranio e di risorse minerarie. Di qui la nostra doverosa adesione alla manifestazione del 20 gennaio di Ghedi ed alla piattaforma proposta dal Forum contro la guerra (www.forumcontrolaguerra.org).

No alle guerre, No al nucleare: l'essenza della piattaforma del 20 gennaio di Ghedi. A maggio 2018 abbiamo deciso, secondo noi in continuità, di focalizzarci in modo più mirato, con la “Caravan Petrov” e con l'incontro internazionale di Milano, il 19, sul rischio nucleare, da noi considerato la priorità delle priorità: lo contrastiamo per motivazioni di diritto umanitario, ecologiche, di democrazia e di giustizia sociale; ma innanzitutto perché vogliamo, donne e uomini di buona volontà e di buon sentire, sopravvivere e vivere, come singoli e come specie.

Per questo concepiamo la proibizione delle armi nucleari proclamata dal Trattato adottato dall'ONU il 7 luglio 2007 (l'Italia rigettando i diktat della NATO deve ratificarla!) solo come il motorino di avviamento di una più ampia e profonda “rivoluzione disarmista”.

Vale a dire, la sconfitta del militarismo come la sognava Carlo Cassola, il fondatore, nel 1978, della Lega per il disarmo unilaterale: l'internazionale presente Umanità che abolisce gli eserciti e le frontiere passando attraverso la denuclearizzazione effettiva.

La prima tappa concreta della denuclearizzazione secondo noi significa, in concordanza con il Forum contro la guerra: dismissione unilaterale delle “atomiche”, a partire da Ghedi, da Aviano, dagli 11 porti nucleari, che è il “grimaldello” anche per sciogliere l'Alleanza Atlantica.

Questo se, oltre la mobilitazione nazionale, riusciamo da subito a collegarci alla rete europea ed internazionale che si batte per la rimozione di tutte le armi H oggi ospitate, in attuazione del “nuclear sharing NATO”, dall'Italia, dalla Germania, dal Belgio, dall'Olanda e dalla Turchia.

La modernizzazione delle B-61 in B-61-12 a Ghedi ed Aviano, dispositivi che esigono i nuovi cacciabombardieri F-35, non dobbiamo dimenticarlo, rientra nella tendenza a prevedere l'uso delle armi nucleari sul campo di battaglia, riesumando e riattualizzando, appunto, la dottrina NATO del “first use” delle atomiche “tattiche” sul Teatro europeo, oggi da mettere in relazione con l'imminente, aggressiva, Nuclear Posture Review del Presidente USA Trump.

Siamo consapevoli e convinti che la la lotta per il disarmo e per la pace è sinergica con le lotte ecologiste, per i diritti umani, contro le disuguaglianze, per lo sviluppo umano equo.

Per questo il percorso che promuoviamo è nel solco dell'articolo 11 della nostra Costituzione, per limitazioni di sovranità degli Stati necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni, nel riconoscimento di un "diritto dell'Umanità", che coroni i diritti delle persone e dei popoli già proclamati dall'ONU.

Perseguiamo il percorso che dal bando delle armi nucleari (New York, 7 luglio 2017) deve anche portare all'eliminazione effettiva degli ordigni; ed in modo parallelo anche il percorso che dal “bando dei combustibili fossili” (Parigi, 12 dicembre 2015) deve condurre a superare l'intreccio tra minaccia nucleare e minaccia climatica (gli ordigni “atomici” vanno considerati come armi di distruzione climatica, vedi inverno nucleare) con la conversione ecologica e rinnovabile dell'economia e della società.

Ci muoviamo, in sostanza, sulla base dei principi della Carta della Terra fatta propria da organizzazioni rappresentative di milioni di persone, compresa l'UNESCO: ispirare in tutti i popoli un senso di interdipendenza globale e di responsabilità condivisa per il benessere di tutta la famiglia umana, della grande comunità della vita e delle generazioni future.

Ed è su questa base che chiediamo la collaborazione delle donne e degli uomini che battono contro la guerra. Con mezzi di pace.

Contattateci!

Anche per telefono al cell. 340-0736871

Il Messico presenta la ratifica del Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari all’Onu

17.01.2018 - New York- da Pressenza Redazione Italia

Il Messico presenta la ratifica del Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari all’Onu
(Foto di ICAN)

Ieri, 16 gennaio, presso la sede delle Nazioni Unite all’ONU  Miguel Ruiz-Cabañas, vice ministro per gli affari multilaterali e diritti umani, e il rappresentante permanente del Messico presso le Nazioni Unite,  Juan José Gómez Camacho hanno presentato ufficialmente la ratifica del loro paese al Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari.

Hector Guerra, militante di ICAN per il Centroamerica e i Caraibi ha dichiarato: “”La ratifica del Messico non sarebbe potuta arrivare in un momento migliore, dopo il falso allarme nucleare alle Hawaii. La minaccia nucleare è reale come sempre, tuttavia, il movimento per il  disarmo umanitario avanza e avanzano le azioni per arrivare alla proibizione delle armi nucleari;  il Messico segue la linea aperta dalla Guyana e fa sperare nelle firme di altri paesi della nostra regione.

Il Trattato di Proibizione delle Armi nucleari conta ora su 4 delle 50 ratifiche necessarie per entrare in vigore; è stato già firmato da 56 paesi dopo la sua approvazione il 7 luglio del 2016 all’ONU.

MANIFESTAZIONE A GHEDI E ALLA SUA AEROBASE IL 20 GENNAIO 2018

Invito del Forum contro la guerra a manifestare contro la presenza di armi atomiche sul territorio italiano e affinché il governo sottoscriva e ratifichi il Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari approvato da 122 Paesi il 7 luglio 2017

...continua a leggere "Il 20 gennaio 2018 a Ghedi da tutta Italia per il disarmo nucleare"

La minaccia degli ordigni nucleari viene aggravata dai programmi contenuti nel draft diffuso dall' Huffington Post

15.01.2018 – Alfonso Navarra - portavoce dei Disarmisti esigenti

 

 

Il nuovo presidente USA Donald Trump, il cui isolazionismo propagandistico fino a qualche mese fa veniva presentato da molti nello stesso ambiente No-war come una specie di criptopacifismo (ricordiamo che la sua visita a Roma, nel maggio 2016, fu contestata da una “manifestazione” di sole tre persone anche per questo motivo), sta agendo invece in piena coerenza con una retorica sempre sbandierata di forza e “virilità” militariste. L'America di nuovo grande magari ha da barricarsi dietro alte mura, possibilmente a spese altrui, ma difendendo i portoni con fuciloni “atomici” - e convenzionali - ben spianati, e questa trucidità difensiva da cow-boy dei vecchi western fu gridata da subito, senza equivoci, nelle piazze della campagna elettorale, incluse quelle telematiche!

Dall'Huffington post sono filtrate indiscrezioni sulla Nuclear Posture Review che sarà varata sotto la responsabilità del presidente Trump : vi si può leggere la bozza finale del documento che la sua amministrazione adotterà a febbraio. Il commento è di Ashley Feinberg: “He wants a lot more nukes”.

(Si vada su: https://www.huffingtonpost.com/entry/trump-nuclear-posture-review-2018_us_5a4d4773e4b06d1621bce4c5)

La Nuclear Posture Review (NPR) è un documento che definisce la “postura”, la strategia nucleare che ogni amministrazione statunitense stabilisce all’inizio del proprio mandato. Quella precedente dell’amministrazione Obama risale al 2010 tondo tondo: essa senza dubbio rifletteva solo in parte il discorso visionario pronunciato da Obama nel 2009 a Praga su “un modo libero dalle armi nucleari” (e il Trattato Nuovo START che un anno dopo stabilì con la Russia confermava molti pacifisti creduloni nella loro disillusione).

(Per scaricare la NPR di Obama: https://www.defense.gov/Portals/1/features/defenseReviews/NPR/2010_Nuclear_Posture_Review_Report.pdf)

Questi atti dell'Amministrazione Obama, START e NPR, pur insufficienti e contraddittori, però diminuivano la minaccia nucleare immediata che era stata rilanciata dall’Amministrazione di Bush Jr. (il quale nella guerra all’Iraq del 2003 esplicitamente non aveva escluso il ricorso a qualunque tipo di arma, con evidente riferimento all’arma nucleare: la giustificazione di un attacco nucleare preventivo!).

Trump ci riporta indietro di vari decenni in materia di politica nucleare, e, per quanto qualsiasi presidente USA dobbiamo considerarlo condizionato dagli enormi interessi del Pentagono e del complesso militare-industriale, nel suo caso sembra anche legittimo dubitare della “genialità” che sta millantando di fronte a chi critica le mitragliate di tweet dai contenuti diciamo eufemisticamente poco rituali ed istituzionali.

(Si veda di Alfonso Navarra: “La guerra nucleare spiegata a Greta”, EMI edizioni, 2007. Una bozza del libro su Internet è rinvenibile alla URL: files.meetup.com/206790/guerra_nucleare_greta_redazione_11-12-06.rtf )

La NPR di Trump

La sua NPR sembra la proiezione emblematica di una ossessione alla sicurezza armata che può condurre ad esiti autolesionisti, così come il disprezzo della diplomazia internazionale non giova certamente alla attrattività egemonica degli USA. In sintesi,  gli Stati Uniti svilupperanno nuove testate nucleari di piccola potenza (low yield) – “più utilizzabili” (more usable) –, e moltiplicano le circostanze in cui potranno fare ricorso a queste armi, abbassando così la soglia per il loro uso.

Può venire utile menzionare che il citato Nuovo START del 2010 vieta espressamente lo sviluppo di testate nucleari “nuove “, anche se questa norma è già stata aggirata dalle modifiche sostanziali della testata termonucleare B-61. La B-61, che già ospitiamo nelle basi di Ghedi ed Aviano, ridenominata B-61-12, diventa di fatto una testata nuova, con nuove capacità militari, nelle "strategie di guerra limitata al Teatro europeo".

(Su questo aspettto, collegato al nuclear sharing NATO: alfonso-navarra.webnode.it/archivio-articoli/dossier-nato/ )

Da Greg Mello, del Los Alamos Study Group ci vengono segnalati anche: la cessazione del programma "Interoperabile" Warhead e il mantenimento della Bomba da 1,2 megatoni, di cui si era deciso il pensionamento.

E' importante precisare, sottolinea Mello, che esistono elementi di continuità tra i documenti sulla NPR che si sono susseguiti nella storia; quindi anche tra la NPR di Obama e quella di Trump c'è la fiaccola che si trasmette dei programmi di modernizzazione degli ordigni nucleari.

Di per sé, la NPR non autorizza o finanzia i programmi di armi nucleari, costruisce infrastrutture o ordina le distribuzioni delle testate. E' il Congresso che deve autorizzare e finanziare i programmi: questo spiega perché storicamente molti programmi di armi nucleari non sono stati implementati. Anche nella sfera puramente militare il Presidente può solo ordinare ciò che è possibile nelle condizioni date e può incontrare una dura resistenza da parte di generali e ammiragli.

La NPR ha quindi lo status generale di una serie di linee guida e una descrizione di un programma legislativo relativo alle armi nucleari.

(si vada su: https://www.pressenza.com/2018/01/leaked-trump-nuclear-posture-review-aims-continue-obama-weapons-modernization-significant-tweaks/)

Precisato ciò, vediamo separatamente, per facilitare l'esposizione, i due aspetti che possiamo ritenere più significativi, secondo una gerarchia individuata dallo scienziato critico Angelo Baracca: 1) le testate low yield; 2) le loro modalità d'uso. 

(si vada su: https://www.pressenza.com/it/2018/01/trump-aggrava-irresponsabilmente-la-minaccia-delle-armi-nucleari/)

  1. Nuove testate di piccola potenza

La nuova NPR stabilisce lo sviluppo di due nuovi tipi testate nucleari:

1) Una nuova testata  low yield, profondamente modificata, per i missili Trident D5 lanciati dai nuovi sommergibili nucleari della classe Columbia (con una sola parte della testata termonucleare, quella a fissione).

2) La reintroduzione di missili  Cruise, pure lanciati dai sommergibili: questa decisione, che Trump aveva preannunciato qualche settimana fa, viene giustificata con il pretesto di rispondere  all’accusa alla Russia di violare il trattato INF con gli Iskander installati a Kalinigrad.

Sviluppando testate nuove si va ovviamente in direzione contraria a quella del disarmo nucleare; ma il punto è che, con la piccola potenza, dalla “deterrenza” ci si sposta verso un possibile uso “sul campo di battaglia”.

Non dovrebbe però essere chiaro che una guerra nucleare non si può chiamare guerra perché non può rimanere limitata: l’escalation e la generalizzazione sarebbero inevitabili, e gli effetti dell’esplosione o di uno scambio anche limitati di testate nucleari avrebbe conseguenze catastrofiche e livello globale?

(si veda Alfonso Navarra, “Gli ordigni nucleari come arma di distruzione climatica”, https://www.pressenza.com/it/2018/01/gli-ordigni-nucleari-armi-distruzione-climatica/).

 Modalità di impiego allargate per gli ordigni nucleari

In questa direzione va anche un notevole allargamento delle circostanze formalizzate che consentono il ricorso alle armi nucleari. La precedente NPR di Obama escludeva tale uso contro “ Stati non nucleari aderenti al Trattato di Non Proliferazione che ottemperano gli obblighi del trattato”. La nuova NPT di Trump apre invece la possibilità di ricorrere alle armi nucleari in risposta a un attacco non nucleare “che causi vittime di massa (mass casualties)” o sia “diretto contro infrastrutture critiche o siti di comando e controllo nucleare”.

Osserva in proposito, nel citato articolo su Pressenza, lo scienziato critico Angelo Baracca: “L’ambiguità di termini quali “mass casualties” e “critical infrastructure” implica che gli Stati Uniti possono considerare il ricorso alle armi nucleari praticamente in qualsiasi conflitto armato!

Questa decisione di Trump, se confermata nel documento ufficiale, violerebbe gli impegni presi dagli USA , insieme agli altri Stati nucleari, nella Conferenza di Revisione del TNP del 2010: “diminuire il ruolo e il significato delle armi nucleari in tutti i concetti, le dottrine e le politiche militari e di sicurezza” e di perseguire negoziati per l’ulteriore riduzione degli arsenali nucleari”.

Ciò sarebbe del resto in linea con il boicottaggio del nuovo Trattato di proibizione delle armi nucleari (TPAN) del 7 luglio scorso, su cui l'Amministrazione Trump ha trascinato tutta la NATO: esso TPAN avrebbe “alimentato aspettative completamente irrealistiche”, sarebbe “divisivo”, e danneggerebbe il regime di non proliferazione.

Oltre a quanto menzionato, gli Stati Uniti – finalmente lo dichiarano in modo ufficiale - non ratificheranno il Trattato di messa al bando dei test nucleari (CTBT) del 1996: essi non lo avevano mai fatto nei trascorsi 21 anni perché – è sempre il parere di Angelo Baracca - si sono sempre riservati di poter riprendere i test nucleari, e avevano potenziato a tale scopo il poligono del deserto del Nevada.

La nuova NPT di Trump va infine messa in relazione con la nuova strategia di sicurezza nazionale, dove troviamo l'affermazione esplicita che "la Cina e la Russia sfidano la potenza, l’influenza e gli interessi dell’America, tentando di erodere la sua sicurezza e prosperità".

Qui penso si possa concordare con una parte dell'analisi di Manlio Dinucci, collaboratore de “Il Manifesto): la vera posta in gioco per gli Stati uniti (è) “il rischio crescente di perdere la supremazia economica di fronte all’emergere di nuovi soggetti statuali e sociali, anzitutto Cina e Russia le quali stanno adottando misure per ridurre il predominio del dollaro che permette agli Usa di mantenere un ruolo dominante, stampando dollari il cui valore si basa non sulla reale capacità economica statunitense ma sul fatto che vengono usati quale valuta globale”.

(Si vada su: https://ilmanifesto.it/il-vero-libro-esplosivo-e-a-firma-trump/).

Dinucci cita, traducendoli, alcuni passi salienti del documento: “Cina e Russia vogliono formare un mondo antitetico ai valori e agli interessi Usa. La Cina cerca di prendere il posto degli Stati uniti nella regione del Pacifico, diffondendo il suo modello di economia a conduzione statale. La Russia cerca di riacquistare il suo status di grande potenza e stabilire sfere di influenza vicino ai suoi confini. Mira a indebolire l’influenza statunitense nel mondo e a dividerci dai nostri alleati e partner”.

Da questa analisi strategica americana deriverebbe una vera e propria missione affidata allo strumento militare USA: “Competeremo con tutti gli strumenti della nostra potenza nazionale per assicurare che le regioni del mondo non siano dominate da una singola potenza”, ossia per far sì che l'egemonia attuale degli Stati uniti si perpetui.

La “Strategia della sicurezza nazionale degli Stati uniti”, a firma Trump, ricorda Dinucci, coinvolgerebbe quindi l’Italia e gli altri paesi della Nato, chiamandoli a rafforzare il fianco orientale contro l’”aggressione russa”, e a destinare almeno il 2% del PIL alla spesa militare e il 20% di questa all’acquisizione di nuove forze e armi.

Proprio su quest'ultimo punto del coinvolgimento europeo interviene Daniel Ellsberg, analista militare che svelò i Pentagono Papers sul Vietnam, intervistato da “Repubblica” (15 gennaio 2018) sul libro appena dato alle stampe: “The Doomsday Machine”.

La domanda della giornalista Stefania Maurizi è: “Nonostante i progressi significativi nel disarmo, oggi ci sono migliaia di armi nucleari in <hair-trigger-alert>, ovvero pronte ad essere lanciate in pochi minuti. Cosa andrebbe fatto immediatamente?”

La risposta di Ellsberg è: “Gli Stati Uniti e la NATO non dovrebbero solo adottare la politica di no first use, ma dovrebbero agire in accordo con essa, eliminando dall'Europa tutte le armi nucleari tattiche, che sono tutte altamente vulnerabili e possono portare ad un lancio su falso allarme. Ciò significa rimuovere tutte le armi oggi in Italia, Germania, Belgio, Olanda e Turchia.

Ellsberg, ovviamente, non lesina le critiche nemmeno alla Russia: “Le minacce da parte di Putin di un first use delle armi nucleari – in connessione con l'Ucraina o con Kaliningrad – sono folli e immorali, come lo sono sempre state quelle della NATO”.

L'impegno di Ellsberg è, in conclusione, si parva licet, sinergico con quello del sottoscritto: allertare l'opinione pubblica sul carattere mortale della minaccia universale costituita dalle armi atomiche. Il “caso Petrov” su cui lavoriamo ne è una clamorosa conferma (vedi trailer con link sotto riportato del film su l'uomo che il 26 settembre 1983 salvò il mondo dalla guerra nucleare). E' questo di esigere il disarmo nucleare subito l'essenza del messaggio lanciato da “La follia del nucleare: come uscirne?”. Mi riferisco al libro scritto insieme a Mario Agostinelli e Luigi Mosca (Mimesis edizioni, 2016), che è uno strumento del lavoro dei “Disarmisti esigenti” (www.disarmistiesigenti.org) di cui sono attualmente portavoce.

 'The Man Who Saved The World' Promo Trailer ...

 

di Alfonso Navarra 
Milano - 9 gennaio 2018

L'inverno nucleare è lo scenario, di cui, tra gli altri, fu pioniere il famoso astrofisico Carl Sagan, che, leggiamo su Wikipedia, “conseguirebbe ad una ipotetica guerra termonucleare di estensione mondiale tra potenze, come la Russia, gli Stati Uniti, la Cina, la Francia, la Gran Bretagna e altri paesi in possesso di un arsenale di armamenti atomici dal potenziale distruttivo su scala globale”.
Gruppi di scienziati hanno elaborato nel corso degli anni diverse teorie riguardanti questo fenomeno: si sono basati innanzitutto sugli effetti riscontrati durante le esplosioni atomiche avvenute a Hiroshima e Nagasaki (in Giappone) sul finire della Seconda Guerra Mondiale, poi sui vari esperimenti nucleari portati a termine da molti stati nel periodo post-bellico e della Guerra fredda; infine sugli effetti collaterali del disastro di Chernobyl.
La guerra nucleare andrebbe a formare, in virtù dei venti, delle particelle di materia carbonizzata, delle polveri radioattive e di qualsiasi altra sostanza in grado di alzarsi nell'aria, una barriera impermeabile ai raggi solari che farebbe crollare le temperature nell'atmosfera. La combinazione tra le temperature gelide, l'oscurità permanente e le radiazioni dovute alle esplosioni atomiche produrrebbero sconvolgimenti climatici tali da pregiudicare la sopravvivenza delle specie animali e vegetali e provocare effetti devastanti anche sullo strato di ozono.
L'inverno nucleare deriverebbe dalla produzione di polveri fini in conseguenza dell'esplosione di testate nucleari su obiettivi civili (e quindi non sui mari o nei deserti come durante i test atomici).
Lo scenario di impiego massiccio delle armi poggia sul fatto che al momento delle esplosioni un moto convettivo (il fungo atomico) trasporta rapidamente tutte le polveri verso strati più alti.
Spiega sempre Wikipedia: “Questo dovrebbe creare una uniforme nube di polvere e cenere radioattiva sospesa nell'aria fra i 1000 e i 2000 metri da terra. La nube accumulerebbe l'energia solare e farebbe salire le temperature degli strati della tropopausa e alta troposfera fino a 80 °C mentre la superficie della Terra rimarrebbe protetta dai raggi solari e si raffredderebbe in media di 40 °C”. Scusate se è poco!
Vi sono anche scenari di impiego più contenuto di armi “atomiche” che vanno sotto il titolo di “guerra nucleare locale”: vedi articolo allegato de Le Scienze (marzo 2010), autori Alan Robock e Owen Brian Toon, dal sottoscritto citato ne: “La follia del nucleare: come uscirne” (coautori Luigi Mosca e Mario Agostinelli – Mimesis Edizioni, 2016).
Questo il sottotitolo del pezzo: “Ci si preoccupa dei rapporti tra Stati Uniti e Russia, ma una guerra nucleare regionale tra India e Pakistan potrebbe offuscare il Sole e affamare buona parte dell’umanità”.
Qui la previsione diciamo ottimistica è di solo un miliardo di morti dopo una ventina di anni, a scalare dall'epicentro del conflitto.
Nel 2014 un altro studio su un possibile conflitto nucleare tra India e Pakistan è salito agli onori della cronaca: questo invece è stato pubblicato sulla rivista Earth's Future dell'American Geological Society (AGU).
(si vada alla URL: http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/2013EF000205/full).
Siamo sempre ad uno scambio di 50 missili a testa di 15 kilotoni l'uno ma i morti previsti raddoppiano con l'uso di nuovi modelli: 2 miliardi al posto di uno.
La stessa cifra viene fuori da uno studio dell' International Physicians for the Prevention of Nuclear War (si vada su: http://www.ippnw.org/nuclear-famine.html). Secondo quel lavoro, un conflitto nucleare su piccola scala potrebbe portare ad una diminuzione nella produzione di grano di almeno il 10% per dieci anni, con picchi che raggiungerebbero il 20% nei momenti peggiori.
Gli ordigni nucleari, se la teoria dell'inverno nucleare fosse pienamente comprovata, potrebbero secondo ogni logica essere inseriti a tutti gli effetti nella categoria delle armi di distruzione climatica: le catastrofi climatiche che possono provocare sono un effetto essenziale del loro impiego.
Arma direttamente climatica non è quindi, ad esempio, solo la tecnologia elettromagnetica usata militarmente per sconvolgere l'ambiente: è proprio l'arma nucleare, che produce onde d'urto, tempeste di fuoco, inquinamento radioattivo ed impatto elettromagnetico; ma, con un impiego relativamente allargato, anche il cosiddetto “inverno nucleare”.
Un attacco nucleare contro la Corea di poche decine di bombe H non farebbe solo milioni di morti subito su un territorio circoscritto: il cambiamento climatico e la destabilizzazione agricola ed ecologica investirebbero un'area molto più ampia (la Cina è vicina!) e nel periodo di un paio di decenni potrebbero causare, come si è visto, centinaia di milioni di morti.
Nel 1976, un'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato una Convenzione internazionale (  Risoluzione 31/72 del 10 dicembre 1976) che ha vietato l'uso militare di tecniche di modifica dell'ambiente che hanno effetti diffusi, duraturi e gravi nel tempo.
Essa è nota come Convenzione ENMOD (Convention on the Prohibition of Military or Any Other Hostile Use of Environmental Modification Techniques), è stata aperta alla firma il 18 maggio 1977 a Ginevra ed è entrata in vigore il 5 ottobre 1978.
L'Italia ha firmato la Convenzione a Ginevra il 18 maggio 1977 e l'ha ratificata con la legge n. 962 del 29 novembre 1980.
(Per il suo testo andare alla URL: http://disarmament.un.org/treaties/t/enmod)
La Convenzione proibisce l'uso militare e ogni altro utilizzo ostile delle tecniche di modifiche ambientali aventi effetti estesi, duraturi o severi.
Il termine “tecniche di modifiche ambientali” si riferisce ad ogni tecnica finalizzata a cambiare – attraverso la manipolazione deliberata dei processi naturali – la dinamica, la composizione e la struttura della Terra, incluse la sua biosfera, litosfera, idrosfera e atmosfera, così come lo spazio esterno.
I criteri per la definizione di tali tecniche non sono definiti nel corpo della Convenzione ma nell'Intesa sull'Articolo I che, riportando quanto emerso in fase negoziale, esplicita i termini:
“esteso” come riferibile ad un'area di diverse centinaia di kilometri quadrati;
“duraturo” come riconducibile ad un periodo di mesi o di almeno una stagione;
“severo” come correlato ad un'azione che provoca danni seri o significativi alla vita umana, naturale alle risorse economiche o altre attività.
I primi due criteri sono valutati con parametri quantitativi e l'ultimo criterio con elementi qualitativi in parte riconducibili al concetto di sviluppo sostenibile.
Il divieto di guerra climatica, ovvero di utilizzo delle tecniche di modifica del clima o di geoingegneria con lo scopo di provocare danni o distruzioni, viene ripreso anche nella Convenzione sulla diversità biologica del 2010.
Vogliamo, dopo queste informazioni, a questo punto cercare il pelo nell'uovo?
La Convenzione ENMOD non tutelerebbe l'ambiente da qualunque danno provocato dalle azioni belliche o ostili ma vieterebbe solo quelle tecniche offensive che trasformano l'ambiente stesso in un'arma, ascrivibili alle tecniche di manipolazione ambientale.
In questo senso non vieterebbe l'uso di armi atomiche per distruggere – che so – Pyong Yang ed altre città coreane. Ma si dovrebbe anche considerare l'eventualità che l'attacco alle città di un Paese piccolo possa essere solo uno schermo che nasconde l'intenzione di provocare modifiche ambientali capaci di disorganizzare e portare alla fame un Paese più grande confinante.
Gli ordigni nucleari capaci di tali effetti potrebbero allora essere considerati proibiti ai sensi della citata Convenzione ENMOD e una conferenza di revisione convocata ad hoc dall'ONU potrebbe avallare un tale sviluppo innovativo del diritto internazionale.
Un'altra strada potrebbe essere quella di considerare, all'interno del percorso dell'accordo per contrastare il riscaldamento globale di Parigi del 12 dicembre 2015, la minaccia nucleare direttamente come una minaccia climatica, non solo un problema collegato alla seconda dalla potenzialità analoga di estinzione della specie umana.
La minaccia nucleare potrebbe essere vista come possibile minaccia climatica diretta, allo stesso modo dell'accumulo di gas serra.
Questo ragionamento costituirebbe un salto di paradigma anche per noi Disarmisti esigenti, che pure abbiamo lavorato sull'intreccio tra le due minacce sia a Parigi, sia a New York che a Bonn, cioé sia nel percorso disarmista che in quello climatico.
Preparare la guerra nucleare significa comunque preparare il più sconvolgente e repentino cataclisma climatico. Potrebbe avvenire non solo come effetto collaterale ma come risultato di una azione intenzionale.
Sembrerebbe quindi opportuno, anzi doveroso, che il percorso ONU delle COP climatiche (ora dalla COP 23 di Bonn si va alla COP 24 a Katowice in Polonia) ne prendesse consapevolezza e si cautelasse dall'inverno nucleare o da quanto altro potesse essere prodotto dalle armi nucleari come alterazione climatica deliberata.
La crisi coreana rende questi discorsi molto concreti per chiunque, nel momento in cui due leader statali – e disgraziatamente non si tratta di una barzelletta – fanno la gara a chi detiene il bottone nucleare più grosso!
Quanto sopra esposto dovrebbe comunque fare riflettere reti come la COALIZIONE PER IL CLIMA, che si sono costituite con l’obiettivo di costruire iniziative e mobilitazioni comuni, nazionali e territoriali, per raggiungere la massima sensibilizzazione possibile sulla lotta ai cambiamenti climatici, allo scopo di salvare il nostro Pianeta.
Se si ha a cuore il futuro dell'ecosistema globale bisogna adoperarsi per eliminare alla radice la minaccia nucleare, che oltretutto, come si è detto, potrebbe essere direttamente minaccia climatica.
Ne consegue la necessità di farsi partner attivo della Campagna ICAN (Abolizione delle armi nucleari), allo stesso modo in cui la Rete ICAN non farebbe male ad occuparsi dell'intreccio tra minaccia nucleare e minaccia climatica.
Non sarebbe affatto fuori tema “ecologista” la richiesta che, al di là delle singole organizzazioni aderenti, la COALIZIONE in quanto tale si facesse addirittura componente di ICAN in Italia, accogliendo l'appello di “SIAMO TUTTI PREMI NOBEL”, lanciato con la conferenza stampa al Senato dell'11 dicembre 2017.

30.12.2017 - Venegono Superiore (Va) PAX

L’Arcivescovo di Milano firma per il Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari
(Foto di Pax Christi)
L’arcivescovo di Milano Mario Delpini ha sottoscritto oggi la petizione affinché l’Italia firmi il Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari presso il Castello dei Missionari Comboniani di Venegono Superiore (VA), su iniziativa congiunta col Punto Pace di Pax Christi di Tradate.
L’arcivescovo era venuto in visita allo storico presepio animato che viene presentato ogni anno diverso alla popolazione. Quest’anno il tema scelto dagli allestitori è la ”nascita di una nuova umanità”

02.01.2018 - Trieste - da Pressenza

Pioggia e vento sulla Marcia della Pace a Trieste
Ritrovo e interventi sotto la loggia del Comune.
In questo scorcio di tempo tra Natale e Capodanno, diverse forze politiche hanno detto NO allo Ius Soli, impedendone l’approvazione, mentre a Trieste si vorrebbero negare i giocattoli ai bambini non italiani, con ciò favorendo la discriminazione di natura razzista. Per diffondere un messaggio di inclusione, coerente con la lettura papale nella Giornata Mondiale della Pace 2018 – Migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pace – il Comitato pace e convivenza “Danilo Dolci” ha invitato i cittadini alla Marcia del 1° gennaio a 70 anni dall’approvazione della Costituzione italiana.
E’ questo un modo di testimoniare laicamente, il desiderio di serena convivenza tra le Comunità che abitano questa città; quella italiana, la slovena, e le altre, storiche e di insediamento recente. In armonia col richiamo di Francesco al dovere dell’accoglienza e della promozione umana, di migranti e bisognosi. Che si estrinseca nell’ospitalità, nella protezione dallo sfruttamento e nello sviluppo della partecipazione sociale. Le Nazioni Unite definiranno due patti d’azione globale in materia, proprio nel 2018.
Questa edizione della Marcia non è partita come previsto alle 16 da piazza Unità, a causa del vento e della pioggia battente, ma si è radunata sotto la loggia del Comune, presso la targa che ricorda le leggi razziali promulgate qui da Mussolini. Alla presenza di circa 150 persone si sono svolti gli interventi, aperti da Gianfranco Schiavone responsabile dell’ICS (Consorzio italiano di solidarietà) il cui articolato e documentato discorso è riportato nel file in allegato.
Un invito in italiano e sloveno letto da Aurelio Juri, ex sindaco di Capodistria e premio Danilo Dolci 2007, a nome dei partecipanti alla Marcia per la Pace, è stato inviato ai Presidenti d’Italia e di Slovenia Mattarella e Pahor, ed ai Presidenti dei Parlamenti e dei rispettivi Governi, affinché riflettano sul NO espresso sul Trattato per la proibizione degli armamenti nucleari, approvato alle Nazioni Unite e premiato col Nobel per la pace alla Coalizione ICAN. E onorino l’importante documento assumendo l’impegno comune di Slovenia e Italia, per l’adesione e la ratifica del nuovo Trattato sull’esempio di Austria e Vaticano.
Marino Vocci, contadino della terra rossa istriana recentemente scomparso, e’ stato d’esempio per tutti noi nella costruzione della pace. Capire le ragioni dell’Altro e riconoscere se stessi nella sua diversità – ha detto sua figlia Eva – costituuisce il tesoro tratto dagli insegnamenti di Tomizza, Langer e Balducci. Veri contrabbandieri di pace fautori della rivoluzione nonviolenta, basata sulla condivisione e sullo scandalo della speranza, diceva David Turoldo, che hanno saputo conoscere l’animo tormentato di queste terre. Un grazie a Marino, che rincontreremo sui ponti costruiti per tutti noi.
Si chiama Mirwait Mohammed e viene da una zona del Pakistan al confine con l’Afghanistan. Ricercato in patria perché oppostosi all’islamismo radicale, ha dovuto fuggire per non essere ucciso o imprigionato come due dei suoi fratelli. 23 anni di età, ha girato a lungo prima di arrivare a Trieste, dove vive da 15 mesi. La sua storia è stata sintetizzata in una breve intervista al microfono per i partecipanti alla Marcia.
Frate Antonio Santini di Beati i costruttori di pace, giunto da Brescia a Trieste sotto l’acquazzone, ha commentato la Lettera di Natale scritta con Mario Vatta, Albino Bizzotto, Pierluigi Di Piazza e altri nove preti del Triveneto, in consonanza di spirito coi messaggi più innovativi di Francesco. Ad Antonio la moglie di Edvino Ugolini ha consegnato il premio “Ulivo d’argento 2018” intitolato alla memoria del poeta pacifista ed anarchico membro del Comitato Dolci, per la sua concreta attività a favore degli ultimi e della pace.

Noi Disarmisti Esigenti agiamo nell'ambito della "rivoluzione disarmista" (Carlo Cassola): la denuclearizzazione non è un pranzo di gala ad uso dei balletti diplomatici. Sono necessari profondi cambiamenti, che hanno il loro motore nella rivolta geopolitica degli Stati (attualmente in fase embrionale) sostenuta dalla mobilitazione di base (anche qui siamo molto al di sotto del necessario).

L'ordigno (non arma) nucleare, inserito nel suo apparato globale, cambia la natura del potere e della guerra.

Non è equivalente alle "armi di distruzione di massa" che pure sono state usate: le chimiche in particolare in modo diffuso durante la prima guerra mondiale.

Il potere nucleare crea un differenziale di potenza che fa fare un salto di qualità allo Stato che possiede gli ordigni "atomici".

Si ha una differenza di status e di rango nell'agone internazionale che le armi chimiche (ma anche quelle biologiche) non procurano.

La guerra nucleare inoltre non è guerra ma uno sconvolgimento distruttivo di altra natura, da paragonare, nell’uso limitato, alle catastrofi naturali, nell’uso bellico ai cataclismi planetari.

L'uso dell'arma chimica non cambia la natura della guerra, il suo modo fondamentale di combatterla, i suoi scopi, il suo senso.

(Questo vale a maggior ragione per altre categorie di armi proibite: le mine antiuomo, le cluster bombs).

Questi concetti però non sembrano chiari per chi afferma: togliere le armi nucleari non è poi così turbativo dell'ordine vigente, non richiede grossi cambiamenti.

La stessa NATO si potrebbe, a loro avviso, denuclearizzare e rimanere nella sostanza tale e quale.

Il presupposto dei pacifisti ispirati al marketing americano è: „queste armi sono dinosauri di un'epoca tecnologica trascorsa, se volete preparare ed eventualmente fare la guerra avete modi più moderni ed efficaci (anche se noi e voi ovviamente preferiamo la pace)“.

Il 19 maggio nell'incontro internazionale di Milano ci sforzeremo di chiarire ed approfondire perché questo punto di vista è erroneo e fuorviante. E paradossalmente in ciò siamo confortati dal pensiero militare più avveduto e scaltrito: cito in proposito il generale Fabio Mini di "Che guerra sarà", Il Mulino, 2017, che ho appena letto con estremo interesse.

Uno dei punti che Mini spiega e sottolinea è che per le due massime potenze nucleari la tensione è rivolta verso la guerra preventiva, alla ricerca del primo colpo nucleare vincente: se ne facciano una ragione tutti coloro che parlano in modo sempliciotto di disarmo nucleare liscio e facile.

L'obsolescenza del nucleare potrebbe scattare se, come si accennava, altre forme di armi e di guerra potessero provocare lo stesso differenziale di potenza: la capacità teorica di chi ne è dotato di annientare totalmente, e senza ripercussioni, chi non ne è dotato.

Mini si chiede se la cyberguerra può raggiungere la stessa capacità e funzione: ma al momento la risposta è negativa.

Essa – cyberguerra - è attualmente integrata nel sistema della potenza che ha al suo cuore il nucleare, e ne aumenta il rischio.

Per Mini una futura guerra nucleare è più che probabile, se si sta alle logiche ed alle tendenze in atto, che di fatto la preparano e la avvicinano.

L'altro punto che ci differenzia è la centralità del rischio nucleare, che in noi prevale sui ragionamenti geopolitici e giuridici.

Vale a dire che per noi, in ragione del pericolo mortale – incombente e concretissimo - che occorre scansare, la denuclearizzazione, ed in particolare il disarmo nucleare, è la priorità delle priorità. Nessun ragionamento geopolitico (il disarmo favorirà negli equilibri di potenza questo o quello?) o giuridico (per rimuovere le „atomiche“ si deve chiedere il permesso, a livello internazionale e/o nazionale, alla legge X o alla procedura Y?) può essere messo prima.

Quando parliamo con gli Stati NATO a noi non interessa sapere se la denuclearizzazione la indebolirà – la NATO - oppure se essa – denuclearizzazione - è compatibile con lo statuto dell’Alleanza e le sue strategie.

Noi prospettiamo ai governi NATO, come a chiunque, il punto di vista dell’Umanità che vuole sopravvivere liberandosi da un rischio mortale. Spetta poi ai governi gestire il processo di eliminazione del rischio, se lo ritengono, conservando (o tentando di conservare) vecchi quadri giuridici e di alleanze politico-militari. Non è compito nostro avere preoccupazioni o dare consigli in merito. Ad ognuno il suo ruolo ed il suo mestiere.

Quello che anima i DE è la consapevolezza ma anche il sentimento della minaccia esistenziale che è un imperativo categorico neutralizzare. E‘ il sentimento – non scontato – di chi pone l’amore ed il rispetto della vita (= la convivenza armonica tra società umana e Natura) come valori centrali. Ma anche la consapevolezza che la minaccia esistenziale globale ha tre inneschi innestati: 1) il nucleare, sia civile che militare; 2) lo squilibrio ecologico, con al centro il riscaldamento globale da combustibili fossili; 3) la diseguaglianza sociale crescente che la tecnologia della potenza sta trascinando persino sul livello biologico: lo stesso Mini ci ricorda che il Supersoldato sta trainando il Superuomo!

Riguardo alla strategia politica internazionale abbiamo posto il problema della centralità del Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari rispetto al Trattato di Non Proliferazione delle stesse. Il ritmo lento delle ratifiche (solo 3 ufficiali dopo 5 mesi mentre l’accordo di Parigi sul clima dopo 4 era già entrato in vigore! Ed è, questo di Parigi, un accordo che ha aperto una vera faglia geopolitica!) ci deve spingere a riflessioni e probabilmente a riconsiderazioni. Cassola è sempre lì ad ammonirci sul rischio di Patti alla Briand-Kellog (nel 1928 la guerra venne dichiarata fuori legge!): quindi occhio alla Nuclear Free Zone globale, il nostro obiettivo è il disarmo nucleare totale ed effettivo. Vediamo cosa succederà questo 2018 quando il „fronte del TPAN“ (speriamo si riveli tale e che almeno non ci siano defezioni tra i 122 Stati che il 7 luglio a New York lo anno adottato!) si confronterà con il „fronte del TNP“, intendendo con questa espressione le potenze che di esso si fanno scudo per giustificare il loro „oligopolio atomico“.

Noi abbiamo comunque sempre giocato una seconda carta da proporre come complementare: affiancare il „percorso umanitario“, oggi premiato dal Nobel per la pace, con il „percorso di Parigi“: dobbiamo aiutare la maturazione della consapevolezza e dell’impegno che la difesa della vita e del Pianeta da tutte le minacce esistenziali esige una limitazione della sovranità degli Stati nel senso del bene comune.

La rivoluzione disarmista, cioé l’Internazionale dell’Umanità, il federalismo mondiale che – nella cooperazione che crea sicurezza comune - abolisce frontiere ed eserciti nazionali, per noi è anche una rivoluzione ecologista: al cuore di essa ci sta la rapida transizione verso il „modello energetico rinnovabile al 100%“: e qui trova spazio e senso l’azione locale, territoriale, che deve inserirsi in un obiettivo globale con un coordinamento internazionale.

Per questo, promuovendo „Il Sole di Parigi (www.ilsolediparigi.it)“, partecipiamo alle COP dell’ONU contro il riscaldamento globale e ora stiamo lavorando per portare la „Coalizione per il Clima“ a lavorare per il TPAN anche alla COP 24 che si terrà nel novembre 2018 in Polonia.

Nel sito www.disarmistiesigenti.org ci presentiamo così: „I “Disarmisti esigenti” sono un progetto politico di attiviste e attivisti e personalità nonviolente, nonché di organizzazioni internazionali, nazionali e locali che lavorano per la pace e il disarmo. La nostra nascita nel 2014 avviene in risposta alla chiamata dell'appello di Stéphane Hessel ed Albert Jacquard ad “esigere un disarmo nucleare totale”. Abbiamo quindi dato vita e gambe ad un accordo operativo che si costituisce come strumento culturale e politico per contribuire al movimento mondiale antinucleare, impegnato a liberare l'umanità dalla principale minaccia esistenziale che pende sulla sua testa.  Ciò significa e comporta, tra l'altro, radicare in Italia la Campagna internazionale per l'abolizione delle armi nucleari, con l'ambizione, da parte nostra, che sia condivisa a  livello globale la necessità di una rapida transizione dalla proibizione giuridica (processo aperto dal Trattato del 7 luglio 2017) alla loro totale eliminazione fisica. Questo obiettivo, incoraggiato dal conferimento del premio Nobel per la pace ad ICAN (www.icanw.org), richiede una strategia ed un lavoro con un'ottica internazionale che rappresenta il nucleo della nostra ragion d'essere.”

Le organizzazioni fondatrici del progetto, la LOC, la LDU, la Campagna OSM-DPN, con i loro stretti partner (WILPF Italia, PeaceLink, Energia Felice, Accademia Kronos, la francese Armes Nucléaires STOP), sono di natura nonviolenta.

Questo spiega il tentativo di un metodo di lavoro aperto, inclusivo, attento al lavoro di base, che prende ispirazione dall’esperienza del vero erede di Aldo Capitini, il nostro caro Alberto L’Abate, appena scomparso, ma compresente.

L’ancoraggio a questo metodo ci ha fatto lanciare, grazie alla collaborazione della senatrice Loredana De Petris, l’11 dicembre scorso, con una conferenza stampa al Senato, la campagna „Siamo tutti premi Nobel“. Per noi ICAN non è un feudo di lobbysti del pacifismo, ma la casa di tutte le attiviste e gli attivisti che si sono battuti ed intendono battersi per la denuclearizzazione, con lotte ad ogni livello, alcune risalenti a decenni fa. L’appello è a tutti i soggetti collettivi dell’associazionsimo, grandi, medi, piccoli, a diventare membri ICAN.

E’ stato, da noi diffuso, in quella occasione,  con i No Guerra NO NATO, e con Pax Christi, un comunicato comune  (vai su: https://www.petizioni24.com/impegnodisarmistaparlamentari ) che costituirà anche la base per una richiesta di impegno coerente per i candidati nelle forze politiche che si presentano alle prossime elezioni politiche del 2018. L’impegno richiesto specifica che promuovere la firma e la ratifica, da parte del Governo italiano, del  TPAN comporta, per conseguenza logica, politica ed etica, la rimozione di tutto il dispositivo del nucleare militare dal territorio italiano e la fuoriuscita dalla condivisione nucleare NATO.

Alfonso Navarra – portavoce Disarmisti Esigenti

Milano 30 dicembre 2017

ICAN - PREMIO NOBEL PER LA PACE 2017

11.12.2017 - Disarmisti Esigenti www.disarmistiesigenti.org - WILPF Italia | Women's International League for Peace and Freedom https://wilpfitalia.wordpress.com/

Comunicato  con preghiera di pubblicazione e diffusione dopo la Conferenza stampa svoltasi stamattina in Senato, dalle ore 12 alle ore 13.00, su iniziativa della Senatrice Loredana De Petris. Info ufficio stampa: Alfonso Navarra (cell.340-0736871) – Laura Tussi (cell. 328-7727015)

Si è svolta stamattina, dalle ore 12 alle ore 13, presso la Sala Nassirya del Senato (Palazzo Madama), la conferenza stampa di una coalizione di organizzazioni che costituiscono in Italia una parte attiva della rete intenzionale ICAN (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons). Viene lanciata in Italia l’iniziativa: SIAMO TUTTI PREMI NOBEL nel momento in cui, a Oslo, si svolge la quattro giorni in occasione della cerimonia di conferimento del Premio Nobel per la Pace 2017 alla Campagna. L’obiettivo è  allargare le adesioni alla rete internazionale, attualmente formata da oltre 450 organizzazioni in 101 Paesi, ricordando che tutti i gruppi possono aderire ad ICAN – ed invitiamo caldamente a farlo – compilando il seguente form;

http://www.icanw.org/become-partner/

Il Nobel è stato assegnato in riconoscimento del lavoro che ha portato, il 7 luglio 2017, alla Conferenza ONU di New York che ha adottato il Trattato di proibizione della armi nucleari (TPAN). 122 si, 1 no (Olanda), 1 astenuto ma Italia assente, con tutti i Paesi NATO (eccezion fatta, appunto, per l’Olanda).

 

Nella quattro giorni di celebrazione – dal 9 al 12 dicembre – che fanno da cornice alla Consegna del Nobel sono previste diverse importanti iniziative, organizzate da ICAN: ricordiamo, tra le altre, l’assemblea di tutti gli attivisti internazionali (sabato 9 dicembre); una fiaccolata celebrativa con interventi degli attivisti internazionali di ICAN (pomeriggio di domenica 10 dicembre); un seminario  che focalizza l’impatto negativo delle armi nucleari sui diritti umani presso la sede della Croce Rossa norvegese (oggi, lunedì 11 dicembre) e l’inaugurazione della mostra dedicata ad ICAN e al disarmo nucleare presso il Centro Nobel (dalle 12 di martedì 12 dicembre).

Antonia Sani Baraldi, presentando la conferenza, ha ricordato il “parlamentarian pledge” sottoscritto da oltre 240 deputati e senatori italiani: i legislatori di tutto il mondo si impegnano a rilanciare i contenuti del TPAN. L’auspicio è che, su sollecitazione dei Deputati e dei Senatori sensibilizzati, rifiutando i diktat del Consiglio Atlantico del 20 settembre scorso, anche il Governo italiano prenda in seria considerazione la possibilità di firmare e ratificare quanto prima il TPAN.

Per firmare on line la petizione sulla ratifica da parte dell’Italia: https://www.petizioni24.com/italiaripensacisulbandodellearminucleari.

Alfonso Navarra, portavoce dei Disarmisti Esigenti, ha partecipato direttamente alla Conferenza di New York e nella sua relazione ha sottolineato la centralità del concetto di neutralizzare il “rischio nucleare”, da far prevalere sulle considerazioni geopolitiche ma anche su quelle formali del lacunoso diritto internazionale vigente. “Siamo convinti – ha affermato Navarra- che il disarmo nucleare generale sia una assoluta necessità, un diritto dell’Umanità da esigere (Stéphane Hessel), perché consapevoli della verità della formula di Einstein: “O l’Umanità distruggerà gli armamenti, o gli armamenti distruggeranno l’Umanità”, sintetizzata dallo scrittore antimilitarista Carlo Cassola, di cui ricorre il 100enario della nascita, con: “Rischio nucleare=fine del mondo”. Su questa problematica del rischio esistenziale assoluto, costituito dal nucleare, abbiamo deciso di organizzare un incontro internazionale il 19 maggio 2018 a Milano, primo anniversario della scomparsa di Stanislav Petrov. L’eroe sovietico non va dimenticato: nel 1983 salvò il mondo dall’Apocalisse atomica sventando le conseguenze di un falso allarme – un attacco missilistico contro Mosca! – dovuto ad un errore dei computer di avvistamento”.

 

Giovanna Pagani, anche essa presente a New York e di ritorno dalla COP 23 di Bonn, è la coordinatrice della Carovana delle donne per il disarmo nucleare, dedicata a Rosa Genoni ed Alberto L’Abate: “L’iniziativa ha avuto un successo di mobilitazioni diffuse anche tra i giovani e chiede, nella sua conclusione, di incontrare il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Intendiamo prospettargli come il nuovo quadro giuridico internazionale che si va profilando con il TPAN (si stimano ancora 2 anni per la sua entrata in vigore alla 50esima ratifica) sia più omogeneo con lo spirito pacifista della Costituzione italiana. Essa, Costituzione, nella sua applicazione coerente, rifiuterebbe di poter ospitare, come oggi succede, testate nucleari sul territorio nazionale. Di qui il nostro impegno a coordinare tutti i siti nucleari – le basi di Ghedi ed Aviano, i depositi come Longare, gli 11 porti in cui attracca la VI Flotta USA, Cameri in cui si assemblano gli F-35 – per promuovere azioni di resistenza popolare comune”.

 

La conferenza stampa si è conclusa con gli interventi delle organizzazioni che sono membri italiani ICAN.

 

Fabrizio Truini (Pax Christi) ha invitato a scrivere una lettera di protesta alla RAI causa la sua “censura” alla notizia della consegna ad Oslo del Premio Nobel per la pace ad ICAN (ed il generale silenzio su tutta la problematica del rischio nucleare).

 

Sono intervenuti anche Manlio Giacanelli, Accademia Associazione Medicina per la prevenzione della guerra nucleare), e Patrick Boylan (Peacelink)

 

Ha concluso Ennio La Malfa,  di Accademia Kronos, con la proposta di coinvolgere nell’impegno per il disarmo nucleare tutte le associazioni che costituiscono la coalizione per la giustizia climatica.

 

E’ stato, infine, diffuso, da parte di Giuseppe PadovanoNo Guerra NO NATO,  un comunicato comune con i Disarmisti esigenti, e WILPF Italia che costituirà anche la base per una richiesta di impegno coerente per i candidati nelle forze politiche che si presentano alle prossime elezioni politiche del 2018. L’impegno richiesto specifica che l’impegno a promuovere la firma e la ratifica, da parte del Governo italiano, del  TPAN comporta, per conseguenza logica, politica ed etica, la rimozione di tutto il dispositivo del nucleare militare dal territorio italiano e la fuoriuscita dalla condivisione nucleare NATO.

https://www.petizioni24.com/impegnodisarmistaparlamentari